«Oggi si parla del Brasile».
«Intendi parlare delle spiagge di Copacabana o vuoi anticipare il Carnevale carioca del samba che deriva dalle tradizionali danze tribali portate in Brasile dagli schiavi deportati dall’Africa Occidentale per lavorare nelle piantagioni di caffè?»
«No, niente di questo».
«Allora vuoi parlare dei BRICS, l’acronimo che indica le economie emergenti, una piattaforma sempre più popolata dopo che il Sudafrica si è aggiunto a Brasile, Russia, India e Cina?»
«No, voglio parlare di un poeta brasiliano, Castro de Alves, che sino a qualche anno fa non conoscevo.

Poi, un pomeriggio, giocando con il telecomando alla ricerca dell’arrivo della tappa dolomitica del Giro d’Italia, mi sono imbattuto in quella che – credo – fosse una telenovela. C’era una donna, bionda, assorta nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso nel vuoto, assente. Non si capiva se fosse triste o felice. Il volto non lasciava trasparire emozioni. Poi capii che era molto triste, per qualcosa di spiacevole che era accaduto e rendeva impossibile realizzare il suo sogno d’amore. In sottofondo, una calda voce narrante, leggeva dei versi molto belli che parlavano di un airone triste, che viveva sulle sponde del fiume. Poiché la telenovela era prodotta in Brasile, ho guardato su internet, digitando Airone triste, poeta brasiliano… ed ecco il nome che cercavo, Antônio de Castro Alves, un poeta che nell’800 ha cantato per la libertà degli schiavi».
Questi i versi che avevo sentito recitare e che mi avevano colpito:
Il tiranno e la schiava
Io sono come l’airone triste
che vive sulle sponde del fiume.
Le gocce di rugiada della notte
mi fanno tremare di freddo,
mi fanno tremare di freddo
come il giunco del lago
felice del passero errante
che è libero e che libero vola
poco distante dal suo nido
L’airone vede oltre, sente…. se sospetta di essere scrutato se ne va, fugge via più veloce del vento! Ogni giorno, però, torna puntuale a controllare il suo habitat. Se lo guardi capisci che è c’è qualcosa di magico: nel suo silenzio, nella sua solitudine, nel suo raccoglimento. Distaccato, rigoroso, quando s’innalza in volo è come se tutta la sua anima volasse con lui. Un airone triste – dice il poeta – e un giunco di lago che trema di freddo, ma che è felice di poter ospitare, tra i tanti uccelli che lì fanno tappa, il passero errante che è libero e che libero vola. Quando ho letto questi versi, mi sono detto: “questo è un inno alla libertà”.

Allora ho riconsiderato il titolo, il tiranno e la schiava…La schiava vive una condizione di dipendenza assoluta, deve stare attenta e controllare ogni sua mossa. Nel testo non si parla della schiava, ma è evidente che il poeta la paragona all’airone triste, che ha il suo trono sul fiume. L’airone sente per primo la tempesta, cerca riparo, non rinuncia alla sua grazia. Avanza lentamente, invita alla prudenza, evita i pericoli, annienta i serpenti. Combatte solo se attaccato, come gli spiriti più sapienti. Per questo la figura dell’airone viene associata a quella di Cristo, “sapienza eterna”. Altri vedono nell’airone la figura di “Gesù Abbandonato”, in quanto sostengono che pianga lacrime di sangue quando il dolore l’opprime. Plinio il Vecchio, osservando il suo volo lo considerava di buon augurio se era diretto in direzione Nord – Sud, poiché pensava che liberasse dai pericoli e dalle paure. La sua fama tra i popoli è grande: presso gli antichi richiamava il centro spirituale del mondo. Atena ne fa un suo messaggero (simbolo di giustizia), Esopo ne parla in una favola. Nel Medioevo era associato alla timidezza, al silenzio, ma era anche simbolo della meditazione e della sapienza. L’airone, quindi, ponte tra culture e mondi diversi, gli egizi, gli sciamani, ho detto Plinio il Vecchio, i nativi americani, ciascuno gli attribuiva un significato o una virtù. L’airone è acqua, è fiume, ma è connesso anche con l’elemento terra, racchiude qualcosa di primordiale, che aiuta ad essere stabili, forti, autosufficienti, dotati di equilibrio.

Tutte condizioni necessarie alla quotidiana fatica della schiava, che accetta il suo destino e sa che non deve piegarsi, perché ha dentro il desiderio della libertà di cui gode quel passero errante.
Il passero, come in Leopardi, genera una riflessione.
In questo contesto, questa riflessione è un inno di libertà.
Le gocce di rugiada della notte
mi fanno tremare di freddo,
mi fanno tremare di freddo
come il giunco del lago
felice del passero errante
che è libero e che libero vola
poco distante dal suo nido
Ciò che la schiava invidia al passero è proprio questo volare libero, ma soprattutto il volare poco distante dal nido, cosa per lei impossibile perché è stata strappata con la violenza dalla sua terra, dal cuore profondo dell’Africa. Questi versi mi piacciono molto, come mi piacciono quelli che seguono, una vera confessione d’amore:
Laccio di seta
Lo sai, bimba mia,
sono pazzo d’amore ,
ho perso per strada tutti i miei pensieri.
Dove sono?
Nel tempo, nello spazio, nella nebbia?
Non ridere, e prendimi con un laccio di seta.
Questo innamorato non c’è più con la testa, è totalmente preso da questa donna che chiama teneramente bimba mia.
Dove sono? Intende dove sono i miei pensieri, dove sono io, dov’è il mio essere?
Dove sto andando? Nel tempo, nello spazio, nella nebbia?
Tempo e spazio sono le due coordinate principali,
con l’aggiunta della nebbia che sembra dilatare tutto in qualcosa di surreale, di indefinito…
Non ridere, e prendimi con un laccio di seta.
Questa, in fondo, è l’unica cosa che il poeta desideri.
Essere preso con un laccio, che lo tenga ben stretto alla donna, per poter dare sfogo alla sua passione.
Per scrivere versi molto belli, non serve passare attraverso una condizione di dolore, come si può vedere in altre circostanze, non serve nemmeno una lucida razionalità.
A volte, come in questo caso, è sufficiente l’intuizione capace di dare voce all’emozione che il poeta si sente dentro.
Ma chi era questo poeta che cantava l’amore e la libertà?
Antônio de Castro Alves, nasce a Muritiba, il 14 marzo 1847 e morirà a Salvador, il 6 luglio 1871, a soli 24 anni.
E’ uno dei più importanti poeti brasiliani del 19esimo secolo, conosciuto come il grande sostenitore dell’abolizionismo. Alves nasce in una fazenda situata nella regione di Bahia, in Brasile. Il suo percorso di studi incomincia a Salvador, capitale del territorio di Bahia, e prosegue dapprima a Recife e poi a San Paolo, dove frequenta la facoltà di diritto, senza però riuscire a laurearsi. Vivendo nelle grandi città brasiliane, il poeta viene a contatto con le grandi problematiche sociali e in breve tempo diventa sostenitore della causa degli schiavi, dei poveri, degli emarginati delle favelas. Per questi motivi, ancora oggi, è adorato nel suo paese e viene considerato uno dei capostipiti della cultura democratica brasiliana. La schiavitù in Brasile venne abolita soltanto nel 1888, grazie all’intervento della principessa Isabella, figlia di Dom Pedro II, quindi 23 anni dopo la ratifica del XIII emendamento (dicembre 1865) che poneva fine allo schiavitù negli Stati Uniti. Durante la sua permanenza a Recife, il poeta ebbe una relazione con l’attrice portoghese Eugênia Câmara, che seguì durante i suoi tour: lei recitava, lui scriveva i poemi abolizionisti. Nella città di Rio de Janeiro, ebbe l’occasione di incontrare importanti personaggi della cultura brasiliana ma, alle prime avvisaglie della tubercolosi, rientrò nel territorio di Bahia dove morì all’età di 24 anni. Alves è stato definito dalla critica un poeta “oratorio”, un poeta da declamare, ma anche uno scrittore originale, per la creatività, l’eloquenza, il talento dei suoi ideali artistici. Può essere considerato un anticipatore del realismo, in particolare quando focalizza la sua attenzione sui delicati problemi della schiavitù, oggettivando il più possibile la sua lirica, come nel caso del famoso poemetto O navio negreiro (La nave negriera).

La sua opera è influenzata da Byron e Alfred de Musset, ma soprattutto risente degli studi e delle letture di Victor Hugo, che era suo contemporaneo. Ci congediamo da questo poeta leggendo una poesia, anch’essa molto bella, intitolata Amare ed Essere Amato, che ben descrive il desiderio capace di farsi sogno. Il desiderio di ciò che di bello, di grande, di sublime succede in amore quando due anime, due corpi, due cuori, due occhi, due bocche si fondono in una reciprocità di accordi amorosi. Dentro questa lirica c’è davvero tutto, narrato con accenti tardo romantici, con leggerezza e passione allo stesso tempo, ma senza alcuna volgarità.
Amare ed Essere Amato
Amare ed essere amato! Con che desiderio
Con quanto ardore questo sogno adorato
Ho coccolato nel mio delirio ardente
Lungo queste dolci notti di attenzioni!
Essere amato da te, il tuo respiro
Ad alitare sulla mia calda fronte!
Nei tuoi occhi fissare il mio pensiero,
Sentire in me la tua anima, avere solo vita
Per un tanto puro e celeste sentimento
Vedere le nostre vite quasi come due calmi fiumi,
Insieme, insieme ci perderemo nell’oceano,
Baciare le tue labbra in un delirio insano
Le nostre anime unite, il nostro respiro,
Confuso anche, amante, amato
Come un angelo felice…che pensiero!?
Bellissima…Le nostre anime unite, unito il nostro respiro, confuso anche…, al punto che non si capisce più chi dei due respiri, dentro questo sentimento, dentro questa forte emozione, amante, amato allo stesso tempo…Conclude con un punto esclamativo e un punto di domanda: che pensiero…come se si meravigliasse del fatto che gli sia venuto spontaneo paragonare la sua felicità a quella di un angelo.
Parlando della tecnica usata, occorre notare che in questo componimento ogni verso inizia con la lettera maiuscola come, per esempio, nell’Infinito di Leopardi. E’ una violazione poetica alla regola, per farci notare che ogni verso è a se stante e potrebbe reggersi senza necessità del verso successivo.
Franco Rizzi