Chi non conosce Claudia Filippini, una delle due anime della Placebook Publishing & Writer Agency. I testi degli autori targati Placebook passano tra le sue sapienti mani e non solo. Ha talento da vendere perché su quello ha lavorato fino a farlo diventare competenza e questo fa di lei un’artista a tutto tondo, scrittrice che in passato ha amato dipingere e editor capace di impreziosire i testi e dar luce allo scrittore perché nell’editing utilizza la propria sensibilità che è pittosto spiccata. Filippini è una persona diretta e trasparente, molto passionale. Ama lo studio e l’approfondimento e non lascia mai nulla al caso, fa le cose “de’ core” come direbbe lei, romana doc. Crede e investe nelle relazioni interpersonali tanto che è una di quelle persone che si butterebbe nel fuoco per un amico. Ma quando un amico la delude allora la disillusione si fa per lei altrettanto cocente. Una vita non sempre facile alle spalle (e di cui non fa mistero) e lavori diversi nel mondo della scrittura e dell’editoria. Di recente è appena uscito, per Placebook naturalmente, “Il ritorno del pendolo” ultima puntata di una trilogia iniziata con “La dritta schiena”. L’abbiamo piacevolmente intervistata per i lettori di Kukaos.
Il ritorno del pendolo, perché hai scelto questo titolo?
Hai mai letto il Kybalion? Voglio citare un pensiero riportato in questo libro: “Niente sfugge al principio di Causa ed Effetto, anche se molti sono i piani di casualità: inoltre è possibile usare le leggi del più alto per trionfare su quelle del più basso”. Questo viene rappresentato con l’oscillazione del pendolo che allegoricamente, con il suo oscillare, passa dal positivo al negativo e viceversa e bisogna imparare a farlo passare sulle nostre teste oppure attendere che la parte negativa passi per godere di quella positiva. La storia di Miriam è proprio questo ed il titolo del libro è rappresentativo.
Questo libro è il seguito di La dritta schiena e L’anima e lo spettro. La trilogia è stata una scelta o il semplice piacere di continuare a scrivere una storia?
L’idea è arrivata, diciamo, per caso. Mi sembrava che la storia iniziata con “La dritta schiena” seguita da “L’anima e lo spettro” dovesse avere una conclusione. C’erano delle storie in sospeso che si dovevano ancora raccontare. Dovevo chiudere il cerchio e svuotare la soffitta, come dico io, cioè lasciar andare dentro di me dei ricordi e delle storie del passato.
L’anima e lo spettro lo hai scritto a 4 mani con Bryan Torrigiani, cosa conservi di quell’esperienza?
È stato bellissimo e divertentissimo. Bryan è una persona meravigliosa con la quale ho lavorato magnificamente. Lui ha avuto la capacità di adattare il suo stile di scrittura al mio e io sono riuscita a fare altrettanto. La cosa divertente, è notare il suo imbarazzo quando ho descritto le scene d’amore e di passione dei due protagonisti. Scrivevo e mi scendevano le lacrime dagli occhi per quanto ridevo. Quando gliele inviavo non faceva mai commenti. Io, che per natura sono dispettosa, calcavo la mano. Sai, quando una persona scrive, si immedesima nel personaggio della storia e questa parte è stata fantastica.
Quale espediente avete utilizzato per fare incontrare I vostri personaggi?
Ho semplicemente creato una situazione in cui la protagonista, Miriam, era messa nella condizione di necessità per cui aveva bisogno di una figura come quella di Diego Neri. In più mi sono riallacciata alle sue storie, specialmente nella parte in cui lui era fuori dalle missioni. Agganciandomi a questo, il gioco è stato facile.
Tra gialli, romanzi e il primo libro edito da PlaceBook cosa preferisci, o cosa rinnegheresti?
Ogni libro è una storia a sé. Rinnegheresti mai un figlio? Ogni mio libro è stato lo specchio del periodo che ho vissuto. Forse, rileggendoli cambierei qualche frase, qualche virgola, ma poi mi dico… se è nato così, così sia.
Quale significato ha per te scrivere?
Evasione? Creatività? Liberazione? Sogno? Quanti aggettivi potrei dare a questa forma di espressione mentale e interiore! Tantissimi, credimi. Io mentre scrivo vedo un film nella mia mente, la sera prima di dormire, la mia immaginazione partorisce situazioni, storie, intrecci e quando il tempo me lo consente, li metto tradotti in parole. Troppo, troppo bello!
E la tua passione per la pittura?
Bella domanda questa!!! Faceva parte di un periodo della mia vita dove mi isolavo dal mondo e attraverso i colori e le forme esprimevo quello che c’era nel mio animo. La pittura mi ha tirato fuori da un periodo buio e mi ha fatto capire tante cose. Per esempio, che per dare profondità a quello che stai dipingendo, devi dare ombra e luce. Così ho scoperto la luce attraverso le ombre.
Meglio scrivere o l’editing?
Fare editing è un lavoro che svolgo tenendo sempre presente che ho in mano un pezzo d’anima dell’autore. Cerco di farlo al meglio senza stravolgere la natura di chi l’ha scritto ma, che i miei autori non me ne vogliano, scrivere è un’altra cosa.
Il progetto PlaceBook al quale hai dato vita insieme a Fabio Pedrazzi è ormai giunto al suo quarto anno d’età, c’è qualcosa che cambieresti?
Dagli errori s’impara e non si rinnegano mai. Qualcuno probabilmente lo avremmo fatto anche noi, come dar troppo credito ad alcune persone. La cosa che mi rende tranquilla e orgogliosa di quello che abbiamo fatto è che è stato iniziato e continua ad andare avanti con la nostra esperienza e il cuore e non credo, obbiettivamente, sia cosa da poco.
Sempre sulla PlaceBook, ritieni che ci sia ancora margine di crescita?
Tutto è sempre nel divenire. Se parliamo di numeri, cioè più scrittori, questo non dipende da noi. Se invece si intende crescita qualitativa, credo che abbiamo migliorato tantissimo e spero che questo trend sia sempre in aumento.
Si dice che ci sono troppi scrittori, a tuo giudizio, è ancora utile al mondo pubblicare libri?
Dovremmo prima di tutto stabilire cosa s’intende per scrittore. Se qualcuno pubblica un solo libro, non è uno scrittore. La definizione esatta è: Chi si dedica all’attività letteraria in quanto mosso da un intendimento d’arte. Detto questo credo di aver detto tutto. Ci vuole molta umiltà in questo mondo e forse con quella, piano piano si può anche arrivare a definirsi tale. Scrivere è un conto, saper scrivere un altro. Sì, è vero, ci sono più scrittori che lettori soprattutto molti dei primi sono convinti di aver scritto l’opera omnia. Scrivere è qualcosa che viene lasciato ai posteri, quindi perché smettere di pubblicare libri, proprio ora che la società sta sempre di più abbandonando la cultura per altre cose che annebbiano e basta il cervello?
Qualche lavoro in cantiere?
Sì, un nuovo personaggio che vivrà in un futuro non proprio positivo. Ma non ti anticipo nulla.
Bianca Folino