Come uno straccio bagnato

Lo conosciamo per gli articoli settimanali pubblicati su Kukaos e che ci parlano di cinema e musica ma con un taglio moderno e approfondito. Michele Simonetti, classe 1983, è entrato ufficialmente a far parte della famiglia Placebook Publishing & Writer Agency con il suo romanzo autobiografico “Come un pezzo di stoffa bagnata” uscito poche settimane fa. Simonetti vive e lavora a Lucca sua città natale con la compagna e il figlio. E’ un content creator e web designer che ha collaborato con riviste, blog, siti web ed emittenti televisivi interpretando la figura dello “storyteller”. Lo abbiamo intervistato per I lettori di Kukaos.

Raccontaci qualcosa di te, chi è Michele Simonetti?

Michele Simonetti è tanta gente, perché ahilui non ha una personalità definita. In questa

situazione rappresenta la sua patologia: è un depresso bipolare, una condizione di cui è

necessario parlare senza più vergogna. E vive una vita “normale”, affrontando le sfide di

ogni giorno con le stesse difficoltà di tutti, amplificate esponenzialmente a livello emotivo.

E’ questo che fa la patologia psichiatrica, nel bene (perché c’è anche un bene) e nel male.

Quando è “nel bene” Michele è un novelist, uno storyteller, un social media manager, un

graphic designer esperto in comunicazione.

Quando è “nel male”, Michele è un caso umano che mente a se stesso e che disistima la

sua persona ritenendosi più o meno un buono a nulla.

Com’è nata l’idea di questo libro?

Come un pezzo di stoffa bagnata nasce come un diario terapeutico atto a tener traccia dei

progressi e delle involuzioni della depressione, durante un ciclo di cure psichiatriche e

psicoterapeutiche iniziate dopo una crisi acuta.

Come un pezzo di stoffa bagnata, con il passare degli anni, è diventato un necessario

volano su cui far agire la leva della divulgazione. E’ fondamentale diffondere il seguente

messaggio: “Non siamo soli”.

Hai avuto coraggio a condividere una patologia e un vissuto personali, pensi che

possa essere utile a qualcuno? E perchè?

Chi soffre di depressione è in ottima compagnia: nove milioni di italiani più o meno

consapevoli.

La consapevolezza come arma contro lo stigma sociale che ancora attanaglia questo

Paese. Una comunità immensa verso la quale ho il dovere di far girare il libro quanto più

possibile al fine di dare il suo contributo ad infondere sicurezza e coraggio a chi si trova

nella mia condizione.

E’ stato difficile per te scrivere questo libro?

Vorrei tanto rispondere di sì ma nei fatti è stato facilissimo, tremendamente spontaneo.

Talvolta, rileggendolo, mi spaventa questa attitudine a vomitare estreme sincerità che

forse non interessano a nessuno.

Il valore terapeutico della scrittura è universalmente riconosciuto, ma tu ne hai fatto

un mestiere, quindi cos’è per te la scrittura?

Ritengo che scrivere, prima di tutto, sia un bisogno viscerale e istintivo.

Fin dalle rudimentali tecniche cuneiformi si scrive per tenere traccia e conservare la

memoria, ed è per questa ragione che l’uomo ha sviluppato tale necessità. Ogni parola,

fatto, evento, rimarrà ai posteri. Raccontare è il nostro retaggio e rappresenta l’unico

strumento di cui disponiamo per cercare di non ripetere gli errori dei nostri predecessori.

Questa è la tua prima esperienza editoriale, ce la racconti?

Sono incredulo, stupito e frastornato. Mai avrei pensato di venire accolto in una casa

editrice con il calore di una famiglia, di un’autentica squadra dove – fatto mai accaduto

prima – tutti agiscono verso un obiettivo comune, con grande spirito di condivisione.

L’editoria non è un mondo a me nuovo, poiché ho lavorato a stretto contatto con svariaterealtà redazionali (web, tv, radio), ma “questo” tipo di concezione è assolutamente

rivoluzionario. Credo sia doveroso un sincero ringraziamento ed un oggettivo plauso a

Fabio, Claudia e naturalmente a te, cara Bianca, per ogni opportunità proposta.

Quando ti è stata comunicata la diagnosi di bipolarismo, come l’hai presa?

Dentro di me ero perfettamente cosciente di essere bipolare – il che è una grande fortuna

e un fondamentale vantaggio – pertanto non mi ha affatto sorpreso. Posso dire che mi ha

sollevato: quando si tratta di disordini psichiatrici è molto difficile riuscire a venire

adeguatamente inquadrati a livello clinico.

E come affronti la tua quotidianità?

La mia quotidianità è metaforicamente rappresentabile come delle vertiginose montagne

russe che ti proiettano in un mondo in cui può risultare facilissimo far danni di ingente

portata, sull’onda dell’entusiasmo, così come di dimostrarmi (con grande sorpresa) in

grado di slanci empatici ed atti coraggiosi di calibro mirabolante; al contempo, può divenire

impossibile andare al supermercato, fare una telefonata, parlare con qualcuno, alzarsi dal

letto.

Tu racconti di una guerra tra alti e bassi continui, come trovi l’equilibrio?

Non è possibile trovare l’equilibrio, sono giunto alla conclusione che sia mera utopia. E’

però possibile convivere col proprio male esistenziale (risultato di un disordine chimico) e

riuscire ogni giorno ad “arrivare a sera” tramite la spontaneità, senza mentire a se stessi.

Un compromesso con il proprio ego, rispettando i propri limiti e celebrando i propri –

ancorché minuscoli – traguardi. E poi accettare, farsi aiutare e curarsi senza pregiudizio o

paura.

Fossimo ipertesi o diabetici lo faremmo senza alcuna difficoltà.

Ebbene, siamo tristi cronici , come detto a causa di una disfunzione chimica del nostro

organismo: insoddisfatti e incompleti per ragioni del tutto patologiche.

In pratica, a livello umano, emotivo o mentale, non abbiamo niente che non va. Non siamo

dei codardi, non siamo dei vili, non siamo degli stronzi egoisti o degli stupidi insicuri.

Siamo malati.

Se non riusciamo ad andare a trovare un amico o a presentarci ad un appuntamento, non

dobbiamo sentirci inadeguati (anche se socialmente ancora lo siamo).

Non importa che gli altri ci capiscano; da che mondo è mondo, qualcuno capirà la nostra

condizione, qualcuno no, qualcuno se ne stuferà dopo qualche tempo, stanco di

sopportare (e non dovremmo fargliene una colpa).

Siamo più fragili di Don Abbondio ma questo non significa affatto che siamo dei vigliacchi

inaffidabili, anzi: dobbiamo ogni giorno combattere (con l’obbligo di vincere) contro un

mostro invisibile che esiste e a cui nessuno è disposto a credere.

Progetti futuri?

Lavorare, che significa scrivere. Trovare il tempo per la mia famiglia e le energie per far

gioire mio figlio e cercare ogni giorno di essere un riferimento ed una certezza per la

compagna che ha avuto l’ardire di scegliermi.

In cantiere c’è una raccolta di racconti e una di articoli, verso cui ho un conflittualerapporto di amore e odio: un giorno mi sembrano scritti degni di Proust, un altro

spazzatura da destinare alla stufa.

Spero solo, stavolta, di non metterci altri tre o quattro anni per decidermi!

Bianca Folino