Dalla parte delle donne

E’ stata sempre dalla parte delle donne, battendosi per loro e per sè stessa. E’ Lidia Poet la prima avvocatessa italiana e la prima donna ad entrare nell’Ordine degli Avvocati, seppur in tarda età. Un personaggio talmente interessante da essere trattato in una serie Tv, la cui protagonista è Matilda De Angelis che interpreta Lidia Poet. Se ne è discusso molto sulla stampa e non solo, gli stessi discendenti hanno avuto da ridire su come, nella serie Tv, sia stato trattato il personaggio. In realtà la serie è piuttosto aderente alla storia di questa donna che molto ha fatto per le altre donne in fatto di diritti. E se non cadiamo nel luogo comune dei facili costumi attribuiti a Lidia Poet dallo sceneggiatore della serie, quello che emerge è un carattere forte che si è battuto come un leone pur di riuscire ad entrare nell’ordine degli avvocati.

Matilda De Angelis interpreta Lidia Poet

Poet ha dato importanti contributi alla realizzazione dell’attuale diritto penitenziario e ha partecipato attivamente all’organizzazione del primo Congresso delle donne italiane che si è tenuto a Roma nel 1908. Nata da un’agiata famiglia valdese, si trasferì da adolescente a Pinerolo con la famiglia dove il fratello maggiore, Giovanni Enrico, aveva già avviato uno studio legale. Lidia si è laureata all’Università di Torino. Entriamo più nel dettaglio della sua vita. Lidia Poet si è laureata nel 1881 discutendo una tesi sulla condizione femminile nella società e sul diritto di voto per le donne. Fece poi i suoi due anni di pratica in un ufficio legale e una volta finito il praticantato chiese l’iscrizione all’Ordine che arrivò nel 1883. Purtroppo l’iscrizione venne revocata lo stesso anno dalla Corte d’Appello e anche se la Poet presentò un ricorso molto articolato alla Corte di Cassazione, non fu riammessa nell’Ordine in quanto la Cassazione confermò nel 1884 la sentenza della Corte d’Appello. A quei tempi, così come si legge nella sentenza “la donna non può esercitare l’avvocatura” per una serie di argomentazioni che erano in realtà frutto di stereotipi: il vestiario utilizzato in Tribunale non era consono alle donne così come gli argomenti da trattare considerati imbarazzanti per le “fanciulle oneste”.

Lidia Poet

Lidia Poet non potè quindi esercitare la professione a pieno titolo, ma riuscì a continuare a lavorare in ambito legale collaborando con il fratello Giovanni Enrico. Si occupò sempre di diritti, quelli delle donne, quelli dei minori e degli emarginati. Partecitò a diversi congressi internazionali dove ebbe ruoli di rilievo per oltre trent’anni nei quali si occupò dei diritti dei detenuti e dei minori, promuovendo l’istituzione dei tribunali dei minori. E in ambito internazionale ebbe anche diversi riconoscimenti come quello del governo francese che la nominò Officier d’Académie, onorificenza conferita in virtù dei lavori svolti al congresso Penitenziario di Parigi del 1895. Si battè per l’emancipazione femminile aderendo al Consiglio nazionale delle Donne italiane nel 1903 e venne incaricata di dirigere i lavori della sezione giuridica nei primi congressi femminili organizzati tra il 1908 e il 1914.

Una donna di grande rilievo quindi che prestò servizio nella Croce Rossa quando scoppiò la Prima Guerra mondiale. E fu proprio la Cri che le riconobbe la medaglia d’argento per il lavoro svolto. Alla fine della guerra, nel 1919, fu approvata la legge Sacchi (n.1179 del 17 luglio 1919) che autorizzò finalmente le donne a entrare nei pubblici uffici, ad eccezione della magistratura, della politica e dei ruoli militari. Nel particolare, l’articolo 7 di quella legge apriva le porte del Foro alle donne e fu proprio questo aritcolo che permise a Lidia Poet di entrare nell’Ordine degli Avvocati, all’età di 65 anni e di diventare la prima donna in Italia ad esservi ammessa. Nel 1922 divenne Presidentessa del Comitato pro voto donne di Torino. Si spense all’età di 94 anni, dopo una lunga vita di battaglie per i diritti.

Nel 2021 il consiglio dell’Ordine degli avvocati le ha dedicato un cippo commemorativo nei giardini del Palazzo di Giustizia. Come si suol dire: “meglio tardi che mai”.

Redazione