Su queste pagine si è già trattato dei miti autoctoni della terra di Sicilia, con preciso riferimento al culto del dio Adrano, venerato dai Siculi nel tempio custoditi dai molossi posti a guardia delle sue mura. Ma il culto di Adrano nel pantheon delle divinità venerate dagli antichi abitanti di queste terre non è isolato, tutt’altro. Nel corso millenario della vita nell’ isola altri culti autoctoni nati da una società prevalentemente di pastori e agricoltori hanno continuato a vivere nel tempo trovando una facile sponda nei culti importati dalla dominazione greca, le cui mire espansionistiche puntavano soprattutto a trovare nuovi spazi per le coltivazioni agricole e la terra di Sicilia era ovviamente il luogo più adatto. Esistevano già culti che veneravano divinità nel tentativo di spiegare fenomeni naturali in una terra “che balla”, come purtroppo sappiamo, culti nati per spiegare fenomeni naturali ritenuti manifestazioni terrificanti di forze soprannaturali.
Su questi culti si inserirono facilmente le nuove divinità, importate, per così dire. Ma i culti indigeni rimasero e anche se cambiarono nome, ne permane ancora l’essenza fino al giorno di oggi, mediata attraverso i secoli e il mutamento epocale che causò la religione cristiana. Un archetipo nella terra di Sicilia è rappresentato dalla storia di Daphnis, che diventa leggenda e poi mito e rappresenta uno dei punti di incontro della civiltà autoctona con quella greca. Al pastorello Daphnis i sicialini offrivano già da tempo sacrifici annuali e ne ricordavano la triste storia. Si narra infatti di un pastore, figlio di Hermes e della ninfa Dafnide, che viveva lungo la valle del fiume Irminio, che scorre nei pressi dell’odierna Ragusa. Abbandonato dalla madre, fu adottato dai pastori che vivevano sui monti Erei, la catena montuosa degli Iblei che culmina con il Monte Lauro. Di bellezza straordinaria e dotato di una bellissima voce, era solito accompagnare i suoi canti con la zampogna che gli aveva donato il dio Pan che lo aveva anche istruito nell’arte musicale.
Di lui si innamorò, ricambiato, la ninfa Nomia (il nome della ninfa cambia a seconda delle versioni che ci sono arrivate e diventa Talia o Echemenide), alla quale il pastore aveva promesso fedeltà eterna. Giuramento che Dafni infranse quando incontrò la regina Clifene. Del tradimento e dell’offesa ricevuta la ninfa chiese conto e ragione nientedimeno che a Hera, moglie di Zeus, che, come tutti sanno, di tradimenti ricevuti e di offese inghiottite aveva ampia conoscenza. E la vendetta arrivò, puntuale e terribile. Dafni venne accecato e da quel momento, triste solo e brancolante (mi si passi il paragone con l’Omero foscoliano) vagò per l’isola fino a quando, giunto nei pressi di Cefalù, si lasciò cadere da un’alta rupe precipitando nel mare. Fin qui la storia, che diventa leggenda e mito nella sfrenata fantasia dei Siculi prima e dei Greci poi, grazie anche ai racconti degli aedi, ripresi da storici come Diodoro Siculo, Stesicoro e Timeo da Tauromenio. Ma oggi, cosa rimane di questo racconto così pieno di intrecci? Intanto i luoghi: la rupe da cui il pastorello precipitò in mare esiste davvero e vi si intravede una forma pietrificata di testa umana, “a tiesta”, come si dice in dialetto. Oggi la rocca di Cefalù è stata inserita dalla Regione Siciliana nel registro dei luoghi e dell’identità della memoria. Poi, il nomen-omen: Daphnis, cioè δάφνη in greco significa alloro, pianta che cresceva abbondante proprio sui monti Iblei dove visse il pastorello e la cui cima più alta, Monte Lauro, prende il nome dagli alberi che vi crescevano.
La presenza di Pan, divinità minore del pantheon greco, che, mezzo uomo e mezzo animale, rappresentato barbuto, col mento prominente e il corpo villoso, insegna a Daphnis l’arte musicale, sembra essere il punto di incontro tra il mito greco e la componente siciliana dove la presenza agricola e pastorale era predominante. Tracce del suo culto si ritrovano in varie parti della Sicilia, da Egesta fino alla villa del Casale di piazza Armerina, di epoca romana. Ultime due considerazioni: nella mediazione cristiana, il dio Pan con il suo corpo tozzo e sgraziato perde la sua connotazione positiva e diventa la rappresentazione iconica del male. Sempre la mediazione cristiana riprende il culto dedicato a Daphnis onorato con la festa delle Dendroforie o Daphnephoria, così come riporta egregiamente Emanuele Ciaceri nel suo “Culti e miti nella storia dell’antica Sicilia”, Giuseppe Brancato Editore, testo considerato un punto di riferimento per chi si appresta a leggere di storia di Sicilia. Dalla festa che celebrava riti legati alla vegetazione e all’iniziazione dei giovani alla vita adulta, si innesta il culto, stratificato e sovrapposto, prima ad Apollo e poi ai Santi Martiri del cristianesimo, secondo un criterio usato di frequente.
Infine, ultima considerazione che si associa al modo di vedere del mondo siciliano: Daphnis è accecato per vendetta, per aver tradito il giuramento di fedeltà e subisce il tipico castigo che i Siculi infliggevano agli spergiuri. Hera si vendica come dea e come donna ferita, mente un’altra dea e donna, invece, diventa archetipo, in Sicilia, della benevolenza e della generosità: parliamo di Cerere, o Kore. Ma questa è un’altra storia
Adriana Antoci