“Ordinammo al capitano di accostare il più possibile all’isola…un angolo della terra dimenticato al momento della creazione, rimasto al tempo del caos…su tutta l’isola non un albero, non uno spicchio di verde… soltanto, sul fondo di qualche gravina, …rari steli di quell’erica che ha indotto Strabone a chiamarla Ericusa”.
Così si legge sul diario di viaggio di Alexandre Dumas, che nel lontano 1835 circumnavigò l‘sola viola, chiamata così per il colore dei cespugli di erica che vi crescono, la più lontana e selvaggia delle isole Eolie, chiamata Erikussa dai greci, poi diventata Alicudi, l’isola delle femmine che volano, territorio scabro dove fino a qualche anno fa non c’era nemmeno la luce elettrica e dove ancora oggi gli unici mezzi di trasporto sono gli asini.
Di forma circolare, che tradisce la sua origine vulcanica, con una superficie di soli cinque chilometri quadrati, appare al navigante con le sue coste rocciose a picco sul mare, dominata dal Filo dell’Arpa, il suo unico monte. Per trovare insediamenti e attività umane, bisogna raggiungere il versante meridionale, dove il lavoro faticoso di generazioni di arcudari ha creato le “lenze”, piccoli appezzamenti terrazzati dove si coltivano ulivi, uva e cereali, indispensabili mezzi di sostentamento in una economia che vive essenzialmente di pesca.
Ma sono proprio i cereali che hanno alimentato e foraggiato leggende e miti che si affastellano in una terra già conosciuta dai sicilioti, conquistata dai Greci, abitata da dei e sopravvissuta ad eruzioni e terremoti. Perché i cereali? Perché ad Alicudi vive una tradizione fatta di racconti fiabeschi di majare o mahare, donne dotate di poteri straordinari, isolane che da umili e semplici pescatrici o contadine all’improvviso, come in preda ad una frenesia inspiegabile, si levavano in volo, prendevano l’aspetto di corvi, si libravano in alto volando fino a Palermo o in Tunisia, riuscendo a “tagliare” le trombe marine che si creavano sul mare e poi tornavano, umili e miti, a svolgere mestieri faticosi di tutti i giorni, portando con sé dai loro voli notturni stoffe magnifiche, mai viste sull’isola, o spezie colorate.
Pare che questo fenomeno strano si sia ripetuto all’inizio del secolo scorso, tra il 1902 e il 1905 e una spiegazione scientifica esiste: colpevole di queste allucinazioni è un fungo, un parassita che si annida in un cereale, la segale cornuta, così chiamata per gli sclerozi a forma di corna che crescono sulle spighe della pianta. Il fungo ha il nome scientifico di Clavices purpurea e una volta ingerito ha potenti capacità allucinatorie. Conosciuto anche con il nome francese di “ergot”, questo fungo fu utilizzato da un chimico svizzero, Albert Hoffmann, che ha sintetizzato e isolato i principi alcaloidi dei funghi psichedelici, la psilocina e la psilocibina, creando l’acido lisergico, l’LSD, uno degli allucinogeni più potenti al mondo. Assumere grandi quantità di ergot provoca l’ ergotismo cancrenoso, cioè il fuoco di sant’Antonio o fuoco sacro, mentre, se assunto in dosi massicce determina profondi stati visionari. Con ogni probabilità gli arcudari assumevano quindi una sostanza allucinogena ingerendo il pane che, cotto nei forni in comune sull’isola, veniva distribuito alla popolazione che se ne cibava e ingeriva anche il fungo che causava queste visioni straordinarie.
Fin qui la spiegazione scientifica, ma Alicudi, coì lontana e selvaggia, vive anche di mistero e di leggende. Pare che fossero esistite veramente donne dotate di poteri straordinari che, dopo aver mescolato con l’acqua le bacche della segale, fossero capaci di spiccare il volo e di librarsi sulle onde del mare che circonda l’isola, evitare le tempeste e proteggere i marinai, loro parenti e consanguinei, dalle trombe marine, tagliandole in due con una serie di scongiuri e gesti delle mani e inserendo a pieno titolo queste dominae herbarum nel “circuito” della stregoneria europea e in quella dell’Italia meridionale che ha una lunghissima tradizione di erboriste capaci di produrre unguenti e pozioni, così come attesta il Pitrè, già citato ampiamente in queste pagine, che narra del processo tenuto circa quattrocento anni fa contro una donna originaria delle isole Eolie, accusata dalla Santa Inquisizione di essere una strega e che, arrestata e rinchiusa in prigione, evase volando.
Ad Alicudi, dove i silenzi specie di notte al buio si ampliano creando strane assonanze e dove l’assenza di luce regala bizzarre percezioni, sembrerebbe riduttivo circoscrivere la vicenda delle majare tagliatrici di tempeste in così breve tempo, (cinque anni appena) e considerare tale fenomeno isolato nel tempo.
Infatti, in questa terra dove i Greci si insediarono, da secoli sopravvivevano i culti legati a Demetra e a Dioniso, che affondano nei misteri eleusini, nati in Tessaglia, terra magica, raccontati da Strabone o Antonino Liberale, e che probabilmente coloni ellenici trasportarono sulle isole, utilizzando per il culto misterico, così come accadde più avanti nel tempo a Roma, la bevanda rituale che si chiamava Kikeon, il Ciceone, che pare contenesse papaveri d’oppio, sacri a Demetra e psylocibe, funghi psicotropi dedicati a Persefone, sua figlia. Si tratta di culti misterici nati circa quindici secoli prima della venuta di Cristo come sottolinea nei suoi scritti Giorgio Samorini, nel suo saggio “Mitologia delle piante inebrianti” e come sottolinea ampiamente anche Marilena Macrina Maffei, etnologa, che ha dedicato buona parte della sua vita alla ricerca vivendo e lavorando proprio sulle isole, raccogliendo testimonianze e racconti. Il suo saggio “La danza delle streghe. Cunti e credenze dell’arcipelago eoliano” è illuminante da questo punto di vista.
Due curiosità prima di chiudere per sottolineare il mondo magico della majare nella più sperduta delle Eolie: la “Fossa Felci”, un vulcano spento, ospita, stranezza in una terra così desolatamente brulla, una ricchissima vegetazione. La leggenda racconta che la notte del 24 giugno (data cardine in quasi tutte le culture), se si rimane svegli per tutta la notte guardando fisso una felce per ore, alla luce dell’alba si potrà vedere il fiore di san Giovanni, oggetto dotato di proprietà magiche ricercato sia da demoni che da streghe. E ancora. Esiste una leggenda che narra di tre streghe che al calare della notte preparano squisite pietanze sulla spiaggia, invitando al banchetto pescatori e marinai, che però dovranno consumare tutto quello che la tavola offre senza alcuna diffidenza, ricevendo in cambio protezione contro le insidie del mare, così come facevano forse le ladies warriors del secolo scorso, le donne pescatrici dell’isola. Ma questa è un’altra storia.
Adriana Antoci