L’Italia è il paese dei borghi e dei paesi, il paese dei mille campanili e delle mille tradizioni culturali, gastronomiche, folcloristiche. La Sicilia non è da meno, in questa ricchezza che è una delle caratteristiche della nostra terra. Sospeso tra cielo e mare, c’è un paese che si affaccia su uno dei panorami più belli che Madre Natura abbia mai creato. Siamo in provincia di Messina, a circa dieci chilometri da Milazzo. Siamo a Venetico, borgo ricco di storia e di tradizione, un paese di mezza collina dove si respira ancora l’aria di un tempo e dove chi ama silenzio e tranquillità può venire a trascorrere giornate di assoluto riposo. La Sicilia vanta molti dei borghi più belli d’Italia, da Palazzolo Acreide fino a Gangi passando per Monterosso o Chiaramonte Gulfi, paesi costruiti sui monti o lungo le coste frastagliate, semplici cerchi di case attorno ad una chiesa o un castello, o piccole città con tradizioni storiche consolidate da secoli, dove il succedersi delle dominazioni ha creato miscugli di arte straordinari.
Venetico è molto di più: non è solo un paese affacciato sulle isole Eolie e il golfo di Milazzo, è una calamita che attrae sia chi arriva per la prima volta sia chi di queste strade e case ha memoria e vi ritorna ogni volta per godere di qualche giorno di riposo assoluto nel silenzio. Circondato da uliveti e vigneti, che sono la sua ricchezza, Venetico appare, all’improvviso, dopo l’ultima curva della strada che lo collega alla litoranea, sdraiato sul fianco della collina, protetto dalle alte torri del castello: una distesa di case con tetti rossi e terrazze inframezzate dai campanili della chiese. Le prime informazioni su Venetico risalgono al tredicesimo secolo: poche e frammentate, raccontano di due fratelli, Simone e Rainero de Venetico, che diedero il nome al feudo, limitandosi alla coltivazione dei terreni con un piccolo gruppo di coloni. A causa delle alterne vicende della famiglia, i cui discendenti non ebbero figli, intorno alla metà del quindicesimo secolo, il feudo venne venduto dal re Alfonso d’Aragona a Corrado Spadafora, insieme alla gabella delle terre di Truppa e Cavalleria.
Il feudo venne concesso in perpetuo anche agli eredi di Corrado Spadafora che richiese e ottenne il titolo di barone e all’inizio del diciassettesimo secolo la famiglia Spadafora, con un feudo ormai ampiamente consolidato e abitato, ricevette dalla Real Corte il “mero e misto impero”, cioè la facoltà di giudicare e punire anche con la pena di morte, facendo costruire su una spianata nella parte alta del paese le “forche”, spianata sulla parte alta del paese che ancora oggi viene chiamata così. Si deve al barone Spadafora la crescita demografica del paese, poiché egli fece giungere con ogni probabilità immigrati da altre zone per colonizzare i possedimenti e per permetterne l’utilizzo in agricoltura, secondo un criterio abbastanza diffuso anche in altre parti della Sicilia: la città di Vittoria, grosso centro abitato in provincia di Ragusa, ad esempio, nacque per volontà della famiglia Colonna come colonia penale per i deportati e deve il suo nome proprio a Vittoria Colonna. Tornando alla storia di Venetico, nel 1629 Francesco Spadafora Ruffo venne nominato primo Principe di Venetico da Filippo IV di Spagna. Fino all’inizio del diciottesimo secolo, Venetico e la sua popolazione rimasero in regime feudale, in un mondo avulso dai cambiamenti che portarono all’abolizione della mano morta e dei grandi possedimenti di stampo medievale, poi, una epidemia di peste bubbonica prima e, probabilmente, il trasferimento di una parte della popolazione in altri feudi della famiglia Spadafora, determinarono un calo demografico notevole nel paese, che vide decimata la popolazione.
Altri due avvenimenti causarono lutti nel paese: il terremoto del 1908 e la Grande Guerra, che vide la partenza della “meglio gioventù” del paese: molti non tornarono, di altri si sono perse le tracce. Ben ventidue giovani uomini trovarono la morte tra le trincee del Carso, gli ospedali da campo e i campi di battaglia. Con tutti gli uomini abili al lavoro al fronte, toccò alla donne rimaste prendere in mano le redini della conduzione di terreni ed attività. E delle loro forza del loro coraggio del loro spirito di iniziativa è giusto in queste righe fare menzione. Si deve alla ricerca appassionata e fruttuosa di Franco Tricomi la ricostruzione puntuale e precisa di quegli anni, di come la popolazione visse gli avvenimenti e l’elenco dei caduti. Il suo saggio “Hanno deciso per te, storia di caduti siciliani nella prima guerra mondiale”, in collaborazione con Cristina Biondi e Giuseppe Pandolfo, edito da Armando Siciliano Editore, e che vede anche un mio piccolo contributo, offre uno spaccato di vita vissuta e di storia, una riflessione profonda sulla inutilità di tutte le guerre e sulle loro conseguenze. Venetico oggi conserva ricordo e memoria della storia passata, vista attraverso il castello che lo domina, da poco di proprietà della Regione Siciliana, le sue chiese, tutte restaurate: la Chiesa Madre dedicata a san Nicolò Patrono del paese, quella di sant’Anna, gioiello incastonato fra le scale che collegano la parte alta con quella bassa del paese, la Chiesa di Santa Caterina, sulla spianata da cui si può ammirare il tramonto strepitoso sul golfo di Milazzo. Si deve a Don Antonino Merlino la ricerca puntigliosa del patrimonio artistico delle chiese, il restauro accurato dei quadri e delle statue, il ripristino della ricca collezione di quadri e l’apertura della biblioteca accanto alla Chiesa parrocchiale.
Venetico vive di turismo, di pesca e di coltivazioni agricole, ma anche di lavorazione di laterizi. Da qualche anno questo paese, “che ruba l’anima e non te la ridà più indietro” (cit.), ha visto la ripresa di due delle tradizioni locali che ne rappresentano simbolicamente la vita e la memoria: la Via Crucis vivente del Venerdì santo, la rappresentazione delle ultime ore di Gesù Cristo sulla terra, voluta da monsignor Casella nel lontano 1933 e messa in scena dagli abitanti del paese che diventano attori, costumisti, sarti, e la sagra della vendemmia, nell’ultima domenica di settembre, un momento di condivisione della esperienza vissuta dagli anziani che diventa ricordo e memoria da trasmettere. Dulcis in fundo: Venetico offre un percorso gastronomico interessante tra granite e brioche con il “tuppo”, la varietà di pizze sfornate dal ristorante “Da Clara” e i piatti della tradizione culinaria del posto: il pesce stocco alla ghiotta, le costardelle fritte, la pasta con le cozze, le melenzane ripiene e gli involtini di pesce spada, gioia per gli occhi e cibo per la mente.
Adriana Antoci