Di giganti, di draghi, fuoco e vulcani

Cosa hanno in comune i titani, i draghi, i vulcani e i terremoti? La stranezza di fenomeni difficili e incomprensibili come un’eruzione di un vulcano o un terremoto, il tentativo di dare una spiegazione che servisse ad allontanare la paura e il terrore davanti ad una manifestazione così indecifrabile e repentina, la fantasia degli antichi Greci e la sovrapposizione di racconti tramandati per secoli fino ad arrivare ai giorni nostri hanno alimentato miti e leggende.

In Sicilia hanno vissuto i giganti, verrebbe da dire, leggendo non solo le pagine di Ovidio o di Diodoro Siculo, che dalla Teogonia di Esiodo hanno attinto a piene mani, ma anche quelle di Boccaccio e di Ariosto, che raccontano di uomini giganteschi che hanno abitato l’isola, tra grotte oscure e caverne nascoste. Le leggende che raccontano di questi esseri mostruosi sono moltissime e si intrecciano con i fenomeni naturali che accompagnano da sempre la vita delle popolazioni dell’isola e ruotano attorno al ruolo centrale che ha avuto l’Etna nel corso dei millenni. Per i Greci, infatti, i vulcani erano figure antropomorfe, che manifestavano attraverso la natura la volontà positiva o negativa delle divinità. Vale per tutti l’esempio di uno dei miti autoctoni della Sicilia, situato nella zona orientale dell’isola, in corrispondenza all’odierno lago di Naftia. In questi crateri, “lacus ribollentes” come dice Macrobio, dove i continui boati e il forte odore di zolfo terrorizzavano gli abitanti, si instaurò il culto dei Palici o Palikoi, nel cui tempio venivano legati giuramenti, vi trovavano asilo e gli schiavi ed erano condannati alla cecità gli spergiuri.

E sempre all’Etna risalgono i miti della lotta tra i titani e gli dei dell’Olimpo, delle Gigantomachie, dei Ciclopi e dei Lestrigoni. La storia è nota e racconta della sconfitta di questi esseri mostruosi che istigati dalla madre Gea, mossero guerra all’Olimpo e sconfitti dopo una lunga lotta, vennero cacciati dalle dimore degli dei e precipitati sulla Terra, dove rimasero imprigionati nelle sue viscere più profonde. Tiféo, figlio del Tartaro, l’essere mostruoso dotato di cento teste di drago, fu seppellito sotto la Sicilia. Il mito lo immaginava disteso supino con i piedi rivolti ad occidente, le braccia lungo l’asse che va da nord a sud e la testa ad oriente. In pratica il gigante sostiene tutta l’isola: Messina con la mano destra, Pachino con la sinistra, Trapani con i piedi e con la bocca rivolta verso l’apertura del cono vulcanico del monte Etna, dal quale ogni volta che si infuria, vomita fuoco e lava e nel suo tentativo disperato di liberarsi dalla prigionia, provoca terremoti. All’Etna appare legato anche il mito degli Ecatonchiri, terribili giganti dotati di cento braccia, trasposizione mitologica e affascinante delle colate di lava che eruttate dal vulcano si diramano in cento rivoli, come fossero appunto braccia, e giungono fino a mare.

Ma in realtà in Sicilia dono state rinvenute ossa e scatole craniche molto simili a quelle umane, ma decisamente più grandi, che hanno alimentato per secoli la leggenda dei giganti vissuti nell’isola. Dalla piana di Luparello, in provincia di Palermo, passando per Petralia Soprana, nelle Madonie, fino alla grotta del Monte Erice, per arrivare a Siracusa e Lentini, la Sicilia appare disseminata di resti di ossa fuori dal normale. Già storici del peso di Strabone e Plutarco avevano raccontato di simili scoperte, e dai loro scritti aveva preso spunto Tommaso Falzello, un abate vissuto a Sciacca nel XVI secolo che nel suo trattato “De Rebus Siculis Decades Duae” tratta, in due volumi, della storia e della geografia dell’isola, con continui riferimenti alle sue antichità. Le storie dei rinvenimenti di ossa enormi seguono quasi tutte lo stesso filo rosso: in genere si tratta di scoperte casuali, ad opera di operai e o di contadini che nella quotidianità del loro lavoro, si imbattono sempre per caso in resti di corpi alti almeno otto cubiti, se non di più (cioè circa 18 metri) e che, appena toccati, si disintegrano lasciando solo polvere e alcune tracce di molari, mascelle o parti del cranio. Così è avvenuto a Carini, Milillo, Calatrasi. Tutte prove evidenti della presenza di esseri straordinari nell’isola. Le spiegazioni di tali fenomeni ad opera dell’abate Falzello riconducevano a fantasiose congiunzioni di pianeti o a influssi di astri o, in ultimo, alla volontà di Dio che aveva voluto dare prova della sua potenza creando uomini così grandi e dotati di forza enorme.

Dobbiamo arrivare all’inizio del XIX secolo, con gli studi scientifici di ScinĂ  prima e di Gemmellaro poi, per avere una spiegazione che potesse fare un poco di luce questo mistero che aveva affascinato persino Petrarca e di cui parlava giĂ  nell’antichitĂ  il filosofo agrigentino Empedocle. L’abate Domenico ScinĂ , fisico e storico, studioso tra i primi della geomorfologia dell’isola, pubblicò una sua relazione nella quale sosteneva che le ossa rinvenute appartenevano sicuramente ad animali, ippopotami o elefanti. E a questo punto iniziò una nuova ricerca di leggende e di miti che avevano come protagonisti proprio gli elefanti di Sicilia, i cui resti vennero ritrovati nella grotta dei Puntali nel Palermitano da Gaetano Gemmellaro, paleontologo vissuto alla fine del XIX secolo, che stabilì con studi accurati che le ossa ritrovate appartenevano agli elefanti. Una scoperta eccezionale che ha consentito di dimostrare che, in origine, gli elefanti siciliani pesavano oltre 8000 chili ed erano altri circa tre metri. La riduzione di taglia è dovuta a una quantitĂ  di fattori quali l’isolamento, la mancanza di predatori, l’adattamento all’ambiente. Animali piĂą piccoli dei loro cugini africani, la cui presenza ha comunque ispirato il mito dei Ciclopi per la profonda cavitĂ  nella parte anteriore del cranio, destinata ad ospitare una proboscide, cavitĂ  che poteva essere scambiata facilmente per un solo occhio, prova tangibile di una leggenda diffusa in tutto il Mediterraneo, leggenda che alimenta il mito, cioè una serie di racconti di eventi realmente accaduti, il cui fondo di veritĂ  viene trasposto fino a sfociare nel mostruoso perchĂ© rivestito di caratteri soprannaturali. Oggi i resti di quegli elefanti sono esposti nel museo Gemmellaro di Palermo e al Paolo Orsi di Siracusa e da questi fossili un gruppo di ricercatori delle UniversitĂ  di Palermo, Potsdam, York, Islanda, Cambridge e del Museo di Storia Naturale di Londra, è riuscito a estrarre un frammento di DNA.

Due curiosità prima di chiudere: nel Duomo di Petralia Soprana, sulle Madonie, si trovano due enormi ossa, uniche in tutta la Sicilia, appartenenti non ad una creatura leggendaria o mitica, bensì ad un colossale cetaceo. Sono due costole, danneggiate da tagli e fori operati dalla mano dell’uomo. Infine, a Mistretta, in Provincia di Messina, alla fine del mese di agosto si svolge il “raduno dei giganti”, in una straordinaria commistione di fede, folclore, mito e leggende che vede protagonisti due giganti di cartapesta, Kronos e Mitya, che in corteo accompagnano la Madonna della Luce fino al Santuario di Maria Santissima dei Miracoli e una volta arrivati a destinazione si pongono come sentinelle a destra e a sinistra della porta della Chiesa, impugnando l’uno una spada e l’altra un mazzetto di fiori di campo, come fossero guardie del corpo, in una scenografia e coreografia antica, ma sempre nuova, che si conclude con il ballo sfrenato dei giganti davanti al falò, che ricorda le luminarie che i contadini accendevano al tempo dei raccolti in onore di Demetra.

Adriana Antoci