Di solstizi e di “Muzzuni”

“Questa del Muzzuni altro non è che il fossile vivente di una antica civiltà scomparsa ed è una fortuna che Alcara conservi… questi riti… documento vivente della nostra radice umana e culturale. Così scrive Antonino Buttitta, antropologo siciliano nel suo libro “Antropologia e letteratura”, Sellerio Editore, nel raccontare della festa forse più antica ancora presente in Sicilia, miracolosamente sopravvissuta alla stratificazione di civiltà e dominazioni, una eredità immateriale di grandissima importanza per i valori simbolici che riesce a trasmettere, un racconto che si tramanda di generazione in generazione, preservato e valorizzato, una commistione singolare di riti apotropaici, fede, folclore.

La festa del “Muzzuni” conserva ancora oggi le caratteristiche dei riti dell’antica Grecia officiati in occasioni del solstizio d’estate, rimanda alle feste propiziatorie degli antichi culti ellenici, con particolare riferimento a Demetra, dea della terra, Kore, dea del grano e Adone, il dio del rinnovamento della terra.

Alcara li Fusi, paese della provincia di Mesina, sorge ai piedi della Rocca Traura, dal caratteristico colore rossastro. Situato nel parco dei Nebrodi, di recente inserito nel percorso dei borghi che comprende tra gli altri i comuni di Brolo e di Montalbano Elicona fino ad arrivare all’altopiano dell’Argimusco e ai suoi megaliti, contrafforti di pietra e roccia arenaria quarzosa che alcuni antropologi fanno risalire a costruzioni di antiche popolazioni preistoriche, come fossero dolmen o antichi menhir.

La leggenda racconta di un ecisti che, intorno al 1183 a.C., fondò la città dopo essere fuggito dalla città di Troia, dopo la sua caduta per mano dei Greci. Al comando di Patron Turio, o Patrone, come si trova in altre versioni della leggenda, un gruppo di coloni fuggiti dalle terre dell’Asia Minore, si stabilirono sui monti Nebrodi e là costruirono i primi insediamenti della città, a partire dal castello, di cui sono ancora visibili i resti delle torri.

Di tradizione ellenica, la festa di Mezza-estate che si celebra ogni anno ad Alcara Li Fusi, raccoglie e contempera anche la tradizione successiva, in un sincretismo che non conosce eguali in tutta la Sicilia.

Dal 21 giugno, giorno del solstizio, la celebrazione è stata spostata al ventiquattro, festa liturgica in onore di san Giovanni, l’unico santo di cui la cristianità celebra anche la data di nascita. Sono questi i giorni più lunghi dell’anno, quelli in cui il “sol stetit”, il sole si ferma creando il “Mezzogiorno senza ombre”, data la perfetta perpendicolarità del sole allo Zenith. Fenomeno questo che ha sempre affascinato tutte le civiltà al punto tale da celebrare questo evento con riti propiziatori.

La festa del “Muzzuni” è, come dire, un assemblaggio di tutte queste tradizioni antiche, sovrapposte nei secoli e mantenute in piedi da una tradizione radicata nella storia del paese.

Per Muzzuni si intende una brocca mozzata, senza collo, spezzata (facile il riscontro con la figura di san Giovanni), oppure un fascio di spighe di grano falciato, mozzato come la testa del Santo, quasi un ricordo della vittima che in tempi remotissimi si sacrificava per rendere propizio il raccolto e per fecondare con il sangue la terra.

Dopo la processione religiosa con il simulacro del Cristo e quello di san Giovanni Battista, processione che si snoda per le vie del paese durante il pomeriggio, al giungere della sera, al rientro delle statue in Chiesa Madre, ha inizio la seconda parte delle celebrazioni.

Gli altarini già preparati lungo le strade del paese si adornano di tappeti coloratissimi, chiamati pizzare, tessuti rigorosamente con antichi telai a pedale, e che sostituiscono con i loro colori brillanti le stoffe bianche che fino a quel momento aveva abbellito gli stessi altari. Sui tappeti vengono sistemati i laureddi, steli di grano fatto germogliare al buio, oggetti tipici del mondo e della cultura contadina e, al centro, portato da una ragazza vestita di bianco a ricordo delle antiche vestali, il Muzzuni, preparato dalle donne del quartiere che adornano la brocca con ori e gioielli a simboleggiare ricchezza e prosperità. Davanti al Muzzuni si legano fidanzamenti, si sciolgono liti, si fanno promesse e giuramenti, si rinnovano amicizie con il rito della cumparanza, si balla e si canta sulla musica di chjanote, ruggere e laudate, rielaborazioni di antichi canti medievali, a voler sottolineare ulteriormente la commistione avvenuta nel corso dei secoli.

Canti licenziosi a volte che hanno come temi principali l’amore e i campi e che fanno ricordare i riti dionisiaci importati dall’antica Grecia. La festa dura per tutta la notte, ritenuta da sempre una notte magica in cui si racconta che tutto può accadere, un momento in cui le ore di buio sono davvero poche rispetto alla luminosità del giorno e in cui il trionfo della luce diurna dona il suo benefico calore su tutta la terra, quasi una rinascita e una promessa di fertilità e abbondanza, che ben tremila anni di storia dell’uomo non sono riusciti a cancellare. Festa potente e possente, celebrazione che raccoglie l’essenza dell’umanità, nell’offerta del “muzzuni” alla madre terra, a Demetra, nel grano appena falciato e nei giardini di Adone appena germogliati,  i laureddi, che raccontano la storia del giovane ucciso da Ares, geloso dell’amore di Afrodite per lui, il cui ricordo rimane negli anemoni, i fiori del vento nati dalle lacrime della dea.

Due notazioni: la festa del Muzzuni è stata inserita nel patrimonio immateriale della Regione Sicilia; inoltre,  il Gal Nebrodi Plus ha voluto avviare da qualche anno un percorso culturale intitolato “Solstizi, circuito delle feste dei Nebrodi”, itinerario volto a far conoscere questo territorio, isola nell’isola, che mantiene ancora la sua anima più intima e quasi selvaggia, dove ancora oggi i ritmi delle vita sono scanditi dal susseguirsi delle stagioni e dalla ciclicità che ne deriva.

Adriana Antoci