Elisabeth Bathory: contessa sanguinaria

Al contrario del suo corrispettivo maschile, il famosissimo Conte Dracula, l’equivalente femminile è poco conosciuto. Elizabeth Bathory (1560 1610) era la nipote del re di Polonia e apparteneva a una delle famiglie aristocratiche più importanti dell’Ungheria. Ricevette un’istruzione approfondita rispetto i dettami del tempo, molto superiore a qualsiasi giovane nobile del periodo, conosceva e scriveva quattro lingue. Nella sua famiglia, a causa della consanguineità, anche il padre aveva spostato una cugina, non mancavano segni di squilibrio mentale di cui anche lei soffriva. La famiglia le organizzò un matrimonio con il conte Ferencz Nadasdy quando era ancora una bambina nel 1571, aveva appena 11 anni, mentre il suo sposo ne aveva cinque di più. Elizabeth fu mandata a casa del conte, dove la suocera l’avrebbe educata in maniera severa e puritana. Il rapporto tra le due donne era però orribile, Elizabeth che proveniva da una famiglia molto più altolocata mal sopportava le prevaricazioni della suocera.

A 13 anni rimase incinta di un servo, non occorre molta immaginazione per capire che questi fu ucciso, lei rinchiusa e il bambino eliminato alla nascita. Tutto ciò servì ad affrettare il matrimonio. All’evento partecipò tutta l’aristocrazia della zona, il marito assunse il cognome della moglie, essendo questa di rango più elevato e andarono a vivere in un castello dei Carpazi che dominava l’attuale Slovacchia. Il conte, soprannominato “il cavaliere nero”, amava molto più la guerra che la sua sposa, per cui la lasciava molto spesso da sola al castello, inoltre amava torturare i servi senza però ucciderli, una delle sue torture preferite era quella di cospargere una ragazza di miele e lasciarla legata vicino alle arnie di sua proprietà. Rimanendo sempre sola Elizabeth iniziò così ad avere relazioni lesbiche, che scivolavano nel sadomasochismo, con le sue domestiche. Pare che si dilettasse a infilare aghi e a mordere le sue amanti. Nei primi dieci anni di matrimonio non ebbe figli, ma nei successivi nove seguenti partorì tre femmine e un maschio.

Alla morte del marito, assassinato in un bordello, cacciò la suocera e tutti i parenti del coniuge dalla dimora e dalle terre, che ora le appartenevano legittimamente. Parallelamente iniziò a circondarsi di alchimisti, streghe e stregoni. Un giorno una delle sue domestiche, mentre la pettinava le tirò un po’ troppo i capelli, Elizabeth la schiaffeggiò fino a farle uscire del sangue che le schizzò sulla mano. A quel punto le parve che la pelle in quella zona ne fosse rinvigorita, quasi ringiovanita e chiamati i suoi assistenti fece assassinare la malcapitata tagliandole la gola fino a dissanguarla, pronunciando diaboliche litanie. Da quel giorno la Bathory iniziò l’orribile pratica di farsi il bagno nel sangue umano. Tra il 1604 e il 1610 i suoi agenti le procurarono quotidianamente donne dai 9 ai 16 anni per i suoi sanguinosi rituali. Ella era convinta che il sangue delle vergini l’aiutasse a ritrovare e mantenere la giovinezza, immergendosi ogni giorno nella speranza e la convinzione di ottenerla in eterno. Ma non finisce qui, sembra che fosse sua usanza, dopo il bagno, di essere ripulita dalla lingua delle domestiche che erano costrette a leccarla fino alla completa detersione.

Con l’andare del tempo però, il suo interesse per le giovani vittime si spostò dalla campagna alla gioventù aristocratica. Fu a quel punto che la giustizia iniziò a fare il suo dovere, avendola sempre ignorata fino a quel momento. La contessa Bathory fu arrestata e processata e a farlo ci pensò l’imperatore Mattia II, nemico giurato che voleva conquistare le sue terre. Si dice che fu responsabile di ben 650 omicidi. Fu rinchiusa nelle segrete del castello che dimorava, dove vedeva raramente la luce e dove veniva nutrita con poco cibo, per prolungare la sua agonia. Morì dopo quattro anni tra grida di follia e sofferenza, un destino che forse oggi chiameremmo… karma.

La sua fama è giunta fino ai nostri giorni ed è considerata una delle donne più sanguinarie della storia.

Sonia Filippi