Emilio Vedova, il parente che non sapevo

Di un certo Emilio in casa ogni tanto se ne parlava. Il cugino di mia madre, Cesare, di tanto in tanto veniva a trovarci. Aveva utilizzato la nostra casa anche come set per alcune storie di Bolero, una delle prime riviste di fotoromanzi. Eh sì, nel letto dei miei c’è stato anche Corrado Pani… che ai più giovani il nome non dirà nulla, ma per gli attempati come me sì.

Quando inizia a dipingere, mi sembrò cosa logica andare a trovare Cesare a casa sua… era stato professore a Brera e a quel tempo abitava in una casa di campagna alle porte di Milano. Da piccolo andavo ad aiutarlo nella raccolta dei pomodori e stavo le ore a guardare i suoi schizzi su pezzi di carta… poi, un giorno, a casa di mia madre parlammo delle mie opere e nel discorso uscì il nome di Emilio.

«Ma Emilio chi?»

«Vedova… Emilio è Emilio Vedova»

«O cazzo!»

Emilio Vedova al lavoro

Era il cognato di Cesare, in quanto aveva sposato la sorella.

All’epoca abitavano in Liguria in un paesino dell’entroterra. La moglie aveva un negozietto di alimentari e lui stava cominciando la sua carriera come pittore e non è che nuotavano nell’oro, anzi. Cesare ci raccontò un aneddoto.

Una domenica mattina andò a trovare Vedova un ricco milanesotto, di quelli che la domenica a pranzo andavano in Liguria per mangiare i funghi… Emilio lo fece entrare nel suo studio e gli fece vedere alcune opere.

«Maestro… mi piacciono queste due, non ci capisco molto ma vorrei acquistare queste… quanto vengono?»

«Cinque milioni e cinquecentomila l’una»

Il milanesotto prese il libretto degli assegni e ne compilò uno.

«Ecco, dieci milioni per tutte e due»

La moglie cominciò a salticchiare dalla gioia, quella cifra la faceva in sei mesi di negozio.

Emilio prese l’assegno, lo guardò… e poi lo strappò.

Il milanesotto, con il classico accento…

«Ue Maestro, il dieci percento di sconto si fa a tutti! E poi non le ho chiesto nemmeno la fattura!»

Emilio lo prese sottobraccio e praticamente lo buttò fuori dallo studio. La domenica finì con una litigata tra lui e la moglie.

Una sera venni invitato da uno tizio di una grossa galleria d’arte di Milano, all’inaugurazione di una mostra di Corrente, un movimento artistico fondato a Milano alla fine degli anni ’30 da E. Treccani. Entrammo per primi con il mio tesserino da fotoreporter. Le sale erano ancora vuote e potemmo gustarci le opere esposte.

Guttuso, Rosai, Treccani, Sassu, Manzù e altri nomi… poi entrai nella sala dedicata a Vedova.

Sulla parete di fronte all’ingresso c’era una sua opera di sei metri per quattro… s’intitolava Cattedrale. Io, che nel mio piccolo mi ero appena approcciato all’informale, mi sentii piegare le ginocchia quando vidi la data di esecuzione: 1936. Dipingevo come lui ma ero ormai fuori tempo.

Non toccai i pennelli per circa cinque anni e non riuscii più fare opere simili, a parte una serie per l’11 settembre e una dedicata alla Shoa.

Poi mi vennero in mente le parole di Cesare.

«Emilio è uno dei 5 pittori viventi a livello internazionale degno di portarsi addosso il termine: pittore»

Seguii la sua carriera negli anni e vistai alcune sue mostre. Non ebbi mai il coraggio di chiedere un incontro, preferii lasciarlo nell’ambito dei miti. Ancora oggi, i suoi tondi riescono ad emozionarmi.

Fabio Pedrazzi