Genziana: la ricetta antifebbre di un parroco di montagna

Nel novero delle piante di interesse erboristico che vegetano sui monti un ruolo importante lo riveste il genere Gentiana. Queste piante erbacee, infatti, contengono numerosi principi attivi: alcaloidi, vitamina C, glucosidi e principi amari, tra i quali la amarogentina, la sostanza più amara che si conosca in natura. Ne esistono con fiori azzurri, solitamente chiamate genzianelle, e a fiore giallo di dimensioni maggiori, alte anche un metro; quest’ultime sono le specie utilizzate nella confezione di preparati oppure nella aromatizzazione dei liquori. È anche curioso conoscere che il nome del genere Gentiana è legato a Gentius, re dell’Illiria, vissuto nel secondo secolo, che fece conoscere a tutti le virtù di questa specie che lui stesso apprese da erboristi e stregoni vissuti sui monti Balcani. Il povero Genzio non ebbe gran fortuna e dovette arrendersi alle legioni romane finendo la sua vita a Spoleto, prigioniero del console Lucio Anicio, più fortunato fu il destino del genere a cui aveva dato il nome.

Tutte le genziane contengono le stesse proprietà medicinali, ma l’uso erboristico è riservato alla Genziana maggiore (Gentiana lutea) e alla Genziana punteggiata (Gentiana punctata), delle quali principalmente si utilizzano le radici. Queste, sono grosse, ramose e si diramano in profondità per circa un metro, tanto che è difficilissimo estrarle dal terreno. La legge inquadra le genziane nelle specie da proteggere vietando e regolamentandone la raccolta. Preso atto delle normative e diligentemente seguite, si può tuttavia chiedere il permesso per la raccolta ad uso erboristico rilasciata da enti autorizzati: Province o Parchi. Anche con l’autorizzazione, la raccolta non è semplice in quanto queste specie vivono a quote elevate, prossime ai 2000 metri e sono confondibili, soprattutto in primavera con una pianta tossica, ossia il Veratro (Veratrum album) che, se ingerito, provoca avvelenamento e anche la morte. Anni fa, sulle Alpi, la radice di Genziana veniva raccolta massicciamente per rifornire alcune distillerie che ne utilizzavano il macerato per preparare liquori o caramelle dal sapore amarognolo tanto apprezzate da coloro che vivevano la vita in dolcezza. Si deve tener conto che la pianta di Genziana, per sviluppare una radice “appetibile” impiega anche trent’anni, quindi oltre alle cautele suggerite dalla legge, va considerato l’impatto che una raccolta spropositata può causare.

Genziana Punctata

La Genziana maggiore inoltre è piuttosto rara e preferisce pascoli su suolo calcareo, mentre la Genziana punteggiata è meno sensibile al substrato ed è diffusa soprattutto nei macereti e nelle praterie alpine che sfumano negli arbusteti. Molto più facile è incontrare il velenoso Veratro, frequente nei pascoli e nelle zone nitrificate nei pressi delle malghe dove le bestie rimangono a lungo raggruppate e quindi con le loro deiezioni arricchiscono il terreno d’azoto. Le radici di Genziana vanno raccolte nel periodo autunnale (settembre-ottobre), dopo la fioritura, quando le piante hanno foglie. In questo periodo la confusione con il Veratro diventa più difficile poiché la Genziana ha sempre foglie opposte sul fusto con coppie ruotate progressivamente di 90° mentre il Veratro le ha alterne e ruotate di 120°. Anche i fiori di Genziana sono diversi da quelli del Veratro: la prima ha vistose corolle gialle, mentre il secondo sviluppa un’infiorescenza con piccoli fiori verdastri, dello stesso colore di tutta la pianta. La differenza tra le due specie si coglie più facilmente quando le due piante crescono una accanto all’altra, nonostante ciò consiglio di raccogliere le radici di Genziana solo se siete accompagnati da un botanico o da persona fidata che distingue queste due piante con sicurezza. Una volta estratta dal terreno, la radice non va lavata, ma ripulita dalla terra, fatta a tocchetti e messa a seccare all’ombra per alcuni giorni. Solo dopo l’essicazione si può conservarla in sacchetti di carta (quelli del pane). È sconsigliato l’uso dei sacchetti di plastica per evitare fenomeni di fermentazione. Vi resterà per giorni un sapore amaro sulle dita nonostante i continui lavaggi delle mani, ma tranquilli, dopo un paio di giorni tutto rientra nella norma.

Genziana Lutea

Per ottenere un facile digestivo basta mettere un pezzetto (3 grammi) di radice in un quarto di vino e berlo durante il pasto. Questo tonifica e favorisce la digestione e oltremodo conferisce quel poco d’amaro che è piacevole degustare. Tradizionalmente un pezzo di radice viene messa nella grappa e lasciata per un mesetto in infusione fin quando il colore del liquido diventa giallastro; a questo punto il digestivo è pronto per essere bevuto, ma con moderazione. Un ottimo liquore a base di Genziana viene anche prodotto artigianalmente utilizzando 2 litri di acqua, 2 kg di zucchero, 70 grammi di radice di Genziana, 1 litro di vino (non fiacco), 1 litro di alcol per liquori e un bottiglietta di marzapane. Si fa bollire l’acqua con lo zucchero quindi si lasciano in infusione la Genziana con il vino per una settimana. Si filtra e si aggiunge all’acqua fredda. Per ultimo vanno aggiunti l’alcol per liquori e il marzapane. I principi attivi contenuti nella Genziana agiscono a seguito della stimolazione dei recettori del gusto nella bocca con la produzione di saliva e succhi gastrici, favorendo la digestione. Nel XV secolo il grande senese Pierandrea Matthioli, medico a Trento del principe vescovo Bernardo Cles, suggeriva l’utilizzo della Genziana nel seguente modo: “… l’acqua fatta dalle radici al bagno, che chiamano di Maria, sana mirabilmente, come più volte ho isperimentato io, le febbri causate dalle oppilationi [Ostruzioni, occlusioni] delle vieurinarie, delle vie biliari, dell’intestino, ammazza i vermini nel corpo de i fanciulli, & purga tutte le macole della faccia, lavandosene spesso …”. Cure impossibili da utilizzare ai giorni nostri come è sconsigliabile il rimedio proposto cento anni più tardi dal medico romano Castore Durante: “ … il succo della gentiana sana le ferite profonde, & è vera medicina dell’ulcere cavernose. Il medesimo succo è utile linimento all’infiamagioni de gl’occhi: mettesi ne i collirij acuti in cambio d’oppio”.

Interessante anche la nota all’uso riportato dal botanico bresciano Roncalli Parolino (1647) che nei suoi richiami agli usi locali ricorda Gentiana lutea come antidoto ai morsi dei cani idrofobi e delle vipere. Di questo uso empirico ormai non vi è più traccia. Per chiudere questa noterella può essere curioso sapere che anche il “Libro dei Defunti” della Parrocchia di Pescarzo nella media Valle Camonica, riguardante il periodo 1733-1791, riporta sulle ultime pagine alcune ricette stilate dal curato Don Giovanni Battista Giordani (Iseo 1704 – Niardo 1767). Una di queste utilizza la Genziana. Riporto con la lingua del tempo: “Ricetta d’un Antidoto per le Febri 3ne, e 4ne, e di qualunque Febre che continua. Oncie una di Radice di Gientiana, fatta in polvere, e mezz’Oncia di china polverizzata. Metti a l’una e l’altra in Boccale, e mezzo di Vin Bianco Generoso in una Bozza ben chiuso. Lasciando in Enfusione ore 24 e di questo né darai al Patiente un Becchiere, mezz’ora avanti la Febre per la prima volta, ed il restante di vino né darai poi un Becchiere ogni mattina susseguente mischiando, e sconvolgendo ogni volta la Bozza…”. Non bisogna essere scettici su questi rimedi antichi in quanto la povera gente, ma anche la benestante, non aveva altre risorse per curarsi che rivolgersi a protomedici che spesso somministravano alle persone i loro preparati in cambio di generi di consumo. Rimane una domanda che vorrei rivolgere a Don Giordani. Come faccio a sapere quando è “mezz’ora” avanti la Febbre?

Enzo Bona