God save the King…ma anche Julian Assange

Le possibilità per salvare Julian Assange dall’estradizione stanno ormai affievolendosi. Il celebre giornalista fondatore di Wikileaks rischia la condanna a 175 anni di carcere negli Stati Uniti, per aver reso pubbliche le violazioni dei diritti umani perpetrate dagli americani in Iraq e Afghanistan, oltre che per aver pubblicato documenti segreti sull’operato del governo statunitense e sulla diplomazia made in USA.La dipartita della compianta regina Elisabetta (con i cambiamenti che ne conseguono) e l’escalation della guerra in Ucraina II rischiano di far passare ancora più inosservato questo fatto di cronaca. Se l’estradizione dovesse avvenire (cosa ormai certa), con ogni probabilità il giornalista australiano dovrà scontare il resto della vita in una prigione federale statunitense.

Julian Assange oggi

Ma facciamo qualche passo indietro. Julian Assange fonda Wikileaks nel 2006, un sito -preme ricordarlo – senza scopi di lucro. Wikileaks assurge agli onori della cronaca solo nell’aprile 2010, con la pubblicazione di un video segreto in cui un elicottero statunitense in Iraq spara e uccide 12 civili totalmente innocenti. Da lì parte lo tsunami. Poco dopo vengono pubblicati documenti top-secret sull’Afghanistan, stragi di civili e torture in Iraq, e infine documenti segreti sulla diplomazia statunitense, che vengono distribuiti addirittura al New York Times e ad altre importanti testate giornalistiche, causando non pochi problemi diplomatici e nelle relazioni internazionali. Da lì inizia la caccia all’uomo. La procura di Stoccolma lo accusa di quattro capi d’imputazione (due reati di molestie sessuali, uno di stupro e uno di coercizione illegale), e Assange grida al complotto. Si rifugia nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra nel 2012, dove ottiene asilo politico. Vive lì confinato in due stanzette spartane e soffocanti (molto peggio degli appartamenti dei poveri agli arresti domiciliari) per ben 7 anni. Nel 2019 perde l’asilo politico, e viene arrestato dalla polizia britannica e incarcerato presso la Prigione Belmarsh di Sua Maestà. Il governo britannico accoglie infine l’estradizione negli Stati Uniti nel giugno 2022.

La vicenda di Assange avviene nel quasi totale silenzio dei mass media mainstream, che sembrano interessarsi solo in minima parte a un’angheria così grave commessa da uno stato sovrano – e democratico – nei confronti di un giornalista libero. Qualche titoletto sulle pagine meno lette, o addirittura bavaglio su una vicenda che invece dovrebbe essere articolo di apertura. Come lo sarebbe, molto probabilmente, se al posto degli Stati Uniti ci fosse la Russia.

Julian Assange incarna, più di tutti, un giornalismo libero dalle catene, scevro di compromessi col potere e con l’ordine costituito. È già dovuto passare sotto le forche caudine, e anche più di una volta, per essersi eretto a difesa della press freedom. Se la sua condanna dovesse realizzarsi, senz’altro sarebbe un colpo basso alla già incerta libertà di stampa nel mondo.

Non ci resta che invocare l’onnipotente. E come direbbero i britannici liberi…God save the King, but also Julian Assange.

Davide Bernardin