Guardian Angels – Prima parte

LA FINE DEL PENSIERO PROGRESSISTA NEWYORCHESE

Dai graffiti al Rap, dalla break-dance al break-beat, dai party esclusivi ai pantaloni col cavallo basso, dalle canottiere da basket oversize alla diatriba East Coast/West Coast, è stato del tutto perso di vista il significato primigenio del Hip-Hop e la sua natura profondamente sociale fondata sul riscatto e la cittadinanza attiva. Il percorso Afrobeat che culmina alla fine degli anni Settanta del Novecento con la nascita delle prime comunità rap che mirano a togliere dalla strada i giovani afroamericani del ghetto restituendogli dignità mediante l’espressione artistica e il lacerante grido atto a svegliare il ceto medio e bianco di Manhatthan con l’arrivo di quello che sarà sempre definito alla perfezione con una sola parola – titolo per altro di una delle prime e fondamentali canzoni del genere: The Message.

Here comes the Message!

Ecco che cosa si è perso: il “Messaggio”.
Come ogni fenomeno di nicchia che riesce ad emergere e raggiungere il grande pubblico, si giunge a svuotarne il contenuto sviluppando all’ennesima potenza l’involucro. La confezione del mondo alternativo diviene simbolo popolare dapprima di rivalsa e distinzione per poi arrivare nei supermercati e nei grandi magazzini, sdoganando se stesso e svilendo il proprio significato originario.
Ma tornando indietro nel tempo, alle radici del Hip-Hop, cavalcando a ritroso l’onda alla ricerca di un mare in tempesta tormentato dalla diseguaglianza e dal degrado urbano, arriviamo sulle rive del fiume Hudson, in quel di New York City, proprio nel quartiere del Bronx, dove tutto ha avuto inizio. Ed è qui che, nel 1978, il crimine raggiungeva ormai da tempo una proporzione degna di un film distopico; ed è proprio qui che, sempre nel 1978, la giunta comunale non aveva ancora riflettuto su un piano di gentrificazione massiva e lasciava letteralmente cadere a pezzi gargantueschi mostri di cemento appartenenti all’anteguerra, fatiscenti templi di disagio, dipendenze e miseria. Sono i quartieri popolari che vanno dal Queens a Long Island e lambiscono Brooklyn – proprio al confine con l’altrettanto malconcia “Real Little Italy” – abitati dalla massa multiforme afroamericana che nella propria struttura sociale include sorprendentemente un melting pot razziale dalle potenzialità tensive immani: chicanos, portoricani, haitiani, armeni, russi, polacchi, cubani, messicani e quanto di più eclettico possa conepire il fenomeno atroce dell’immigrazione massiva del secondo dopoguerra. Siamo alla seconda generazione e questi ragazzi perduti rappresentano quanto di più americano si possa immaginare: sono nati a New York, stanno crescendo a New York, dovrebbero in teoria essere dei cittadini liberi e fieri di poter cogliere le straordinarie opportunità della “land of the free”. E invece la vita gli riserva odio, intolleranza, marginalità e depressione umana ed economica. Sono ghettizzati, appunto; lasciati a se stessi in un clima di tensione rigido come una notte di gennaio. Sono esposti ad ogni rischio e non riescono a trovare un lavoro o uno sbocco educativo. Mancano le strutture, mancano le scuole, mancano le basi della civiltà occidentale. Non esce l’acqua dai rubinetti, le fogne sono scoperte, le malattie imperversano e devastano: una su tutte l’AIDS, che miete vittime inconsapevoli proprio in queste zone. Si crea dunque uno stigma: povero vuol dire malato, disagiato vuol dire criminale, ecc.

Giovani Guardian Angels


È un circolo vizioso costruito sulle fondamenta dei pregiudizi, sentimenti orrendi che giungono di là dal fiume, tra i grattacieli dell’Upper East Side e tra le ville degli Hamptons.
Eppure, il dramma di una città invivibile è arrivato anche da quelle parti perché il malaffare alla fine fa danni ovunque.
Ci si gira dall’altra parte e non si vuol vedere.
Ma che cosa, esattamente, non si vuole vedere?
Agli albori della cultura Hip-Hop, il vero “messaggio”, il primo che destò attenzione e che riuscì ad uscire dal “ghetto” non fu una canzone, non un beat particolarmente orecchiabile, no: furono delle scritte.
La prima testimonianza dalla quale non c’era modo di nascondersi per l’uomo della borghesia fu l’arte dei graffiti apposti non più sulle pareti dei fatiscenti luoghi laddove l’afroamericano risiedeva, bensì realizzati sui vagoni della metropolitana.
La metropolitana era quanto di più di democratico esistesse a New York nel 1978. Non era solo un mezzo di trasporto ma un eccezionale strumento di comunicazione. Fu l’occasione perfetta per urlare a tutta la città, senza distinzione di etnia, ceto, idee politiche o credo religioso, che nel Bronx si viveva nella disperazione. La “subway” era sempre la stessa e passava più o meno ovunque. La vedeva il gioielliere ebreo, il barbiere italiano, il broker W.A.S.P. , il politico cattolico, il fabbro irlandese, il poliziotto polacco, il droghiere iraniano. Alcuni si scandalizzavano, altri ignoravano, altri ancora riflettevano, tanti si spaventavano.
Ma dentro di loro la paura non era indirizzata verso il crimine o la malavita, verso l’AIDS o il “diverso”: nel profondo del newyorchese medio si instillava il terrore che se le cose continuavano così, presto il degrado e la povertà sarebbero arrivati anche alla sua porta.
Gli afroamericani e gli immigrati di seconda generazione sono tanti, rappresentano una maggioranza silenziosa, ma fino a ieri non avevano strumenti per far sentire la loro voce.
Oggi è arrivato l’Hip-Hop.

Lisa Sliwa, moglie del fondatore dei Guardian Angels, in uno scatto che dimostra quanto tale associazione non fosse né di destra né di sinistra, maschilista o femminista, razzista o omofoba, ma che si trattasse solo di una penosa “guerra tra poveri”


I “pezzi” (in inglese “tags”, nome dato ai graffiti in slang), lanciano il messaggio laddove passa il treno che tutto spoglia della sua sovrastruttura benpensante e ipocrita.
Parallelamente a questa imposizione culturale, mentre si legge tra le scritte e i meravigliosi disegni su ogni vagone quali e quanti siano i problemi del Bronx, a bordo delle metropolitane si scatena il caos: delinquenza, rapine, aggressioni, stupri diventano la metamorfosi raccapricciante che deforma la miseria in malvagità e lo svantaggio culturale in bestialità disumana.
Il novantanove percento dei criminali che si aggirano tra i treni di New York è ovviamente composto da persone che con il Rap non c’entrano nulla ma sarà sufficiente vedere il colore della pelle e il vestiario indossato da tali gangs di criminali per stigmatizzare ulteriormente quelle che invece nei quartieri più difficili è l’unico insegnamento civico valido per i ragazzi.
Il rap diventa automaticamente cattivo.
E tutto sembra vano: per fortuna non sarà così.
Sulle metropolitane si sviluppa un fenomeno che durante gli anni Ottanta sarà così diffuso da arrivare a preoccupare le istituzioni. L’odio indossa la divisa e si maschera da volontariato, portando alla ribalta le schiere dei “Guardian Angels”. Bianchi o neri che fossero, i medio borghesi inorriditi e terrorizzati (dal “messaggio” più che dalla criminalità in sé), organizzano vere e proprie ronde di quartiere assumendo il ruolo di vigilantes delle metropolitane cittadine. La sconfitta più grande per una città che si identificava come un faro liberale e progressista in mezzo ad un’America intollerante fatta di possessori di armi da fuoco e sceriffi improvvisati.
In tutto questo, il Comune dov’era? Dov’era la polizia?

Un disagio che non fa distinzioni, persi nella giungla urbana, tra infermiere che vanno a lavoro e stanchi pendolari di ogni etnia


Sono domande che si danno una risposta da sola, basta guardare una qualsiasi foto dell’epoca per capire lo stato in cui versava la cosa pubblica alla fine degli anni settanta all’ombra delle Twin Towers.
Eppure Trump Sr. (il papà) faceva affari d’oro con mega speculazioni proprio in combutta con l’ufficio del sindaco, ristrutturando interi quartieri e imbambolando la gente con aperture di grandi magazzini pieni di attrattive e divertimenti. Pure il figlio, il Real Donald che conosciamo tutti, iniziava a dibattersi nei meandri della tangentopoli a stelle e strisce più fruttuosa e dannata di sempre.
Eppure, eppure, con le apparenze si giustifica (quasi) tutto.
Mentre là sotto, a Brooklyn, prendere una metropolitana era diventata guerriglia.
I Guardian Angels furono dunque un’esasperazione, una trasfigurazione, una bruttura purulenta nelle crepe di una solidità sociale sbriciolata e pronta a crollare su se stessa.
E furono testimonianza kitsch dell’inizio turbolento degli anni Ottanta.
Dove Kitsch non siginifica solo volgare e di cattivo gusto, ma anche violento e antagonista, reazionario e folle, contro l’unico vero manifesto sano e illuminato atto a squarciare l’oscurità del tempo: l’Hip-Hop

FINE PRIMA PARTE

Michele Simonetti