I cornioli, tenaci e utili alberelli

Con il nome di cornioli intendiamo piccoli alberi, spesso poco più di cespugli, diffusi nelle vallate alpine ed appenniniche. Di rustiche abitudini convivono con altre specie e non formano mai boschi puri. Il corniolo maggiore si può notare nel bosco soprattutto a primavera quando, primo fra tutti, mette i suoi fiori gialli dorati ancor prima delle foglie, annunciando la fine della stagione fredda e rassicurando sulla ripresa del ciclo vegetativo. Il sanguinello, parente stretto del corniolo, è un arbusto che si trova frequentemente ai margini delle aree coltivate, tra le siepi spontanee o lungo i bordi delle strade in compagnia di pruni e biancospini.

Cercando di approfondire la loro conoscenza si può affermare che il corniolo maggiore, scientificamente Cornus mas L. ha il tronco rugoso; particolarmente longevo, se rispettato, tende a non crescere in altezza ma ad aumentare in circonferenza. Un esemplare di 120 centimetri di circonferenza alla base, mi è stato mostrato da un contadino sul conoide del monte Concarena, in aperta campagna, vicino ad una piccola costruzione per il ricovero degli animali o degli attrezzi agricoli. In dialetto locale è comunemente chiamato “cornàl” ma anche “martèl” a mio avviso confondendolo con il bosso del quale conserva la durezza del legno. Il fusto e i rami di questa pianta erano impiegati per realizzare gli attrezzi agricoli che richiedevano lunga durata e notevole robustezza: ruote, aratri, erpici, rastrelli. Anche oggi, artigiani e scultori ricercano il legno di Cornus per piccole sculture, bastoni d’ombrello o da passeggio, oggetti decorativi e scatole intarsiate.
Un caro amico capontino lo apprezza per realizzare piccole sculture e meravigliosi intarsi. Il legno lavorato diventa liscio e lucido.
Terminata la fioritura il corniolo maggiore mette foglie ovali e, a settembre, fruttifica con “bacche” rosse, chiamate corniole, delle dimensioni di un’oliva, acidule, ma commestibili, molto appetibili anche dagli uccelli. Anticipando i cari pennuti, si possono raccogliere corniole a sufficienza per farne marmellata o un infuso, in alcool, dal sapore gradevolissimo. In alcuni paesi dell’Est Europa questi frutti vengono macerati, lasciati fermentare e distillati per preparare un’acquavite chiamata “dernovka”. Si tramanda che nel medioevo Santa Ildegarda di Bingen, suora benedettina elevata a Dottore della Chiesa da Benedetto XVI, ne vantasse le virtù terapeutiche. I monaci coltivavano il corniolo nei giardini dei loro conventi, avendone riconosciuto le proprietà febbrifughe, astringenti e antidiarroiche.

Cugino del corniolo maggiore è il sanguinello (Cornus sanguinea L.). Appartiene allo stesso genere, anche se di aspetto molto diverso. Più diffuso, non ha la pretesa di sembrare albero. Forma siepi fitte, riconoscibili anche da lontano per il colore rosso dei rametti. Da questa caratteristica deriva il suo nome specifico (sanguinea). Il sanguinello è diffuso nelle vallate alpine, anche se difficilmente lo si può rinvenire al di sopra dei 1.000 metri di quota.
Fiorisce da aprile a giugno. I suoi fiori bianchi e profumati, si sviluppano contemporaneamente alle foglie simili a quelle del cugino maggior e, in autunno, assumono uno splendido colore rosso vivo.
Da agosto a settembre dona i suoi piccoli frutti, neri e non tossici, anche se di odore sgradevole, gustosi e ricchi di vitamina C. Freschi danno una buona resa per marmellate e succhi di frutta. Dal punto di vista erboristico manifestano proprietà antitrombotiche e anticoagulanti. Anche se i maggiolini li trovano strepitosi, sonogli uccelli che ne consumano con abbondanza disperdendone i semi, che passano indisturbati per il loro tratto intestinale.

Dalla mia amica Marinella apprendo, come anticamente, fosse diffusa la pratica di estrarre olio dai semi di sanguinello, per essere impiegato nelle lampade come combustibile, per tingere di grigio o di azzurro le pelli e per fabbricare sapone.
Fare le scope con i suoi ramuli era considerata un’arte. Ogni famiglia contadina aveva il suo ‘esperto’ che sapeva intrecciare in modo magistrale rami corti e lunghi del sanguinello per preparare le scope.
Nei tempi passati, i bambini a scuola temevano le “ispie” o “stroppe” di sanguinella, che i maestri più severi utilizzavano per punire gli studenti indisciplinati.
Anni fa, ma purtroppo anche di recente, i rami di sanguinello erano impiegati dai bracconieri per costruire i “bachetù”, cospargendoli di vischio colloso per catturare gli uccelli, oppure per preparare trappole chiamate archetti dove gli sfortunati pennuti rimanevano appesi agonizzanti per ore. Si auspica che questa barbara pratica possa scomparire evitando ai poveri uccelli grandi sofferenze.

Enzo Bona