I Pandolfo

Una saga familiare che dalla prima Grande Guerra attraversa il tempo, ma non lo spazio, visto che rimane ancorata ad una Sicilia che è luogo d’amore. Stiamo parlando dell’ultimo romanzo di Andriana Antoci edito da PlaceBook Publishing & Writer Agency: “I Pandolfo”. Adriana Antoci la conosciamo non solo per i suoi scritti, ma per i suoi articoli dove narra della Sicilia e di miti, leggende e curiosità. E’ nata a Ragusa dove vive e lavora anche se da anni si è trasferita in campagna nella frazione di San Giacomo. L’abbiamo intervistata per i lettori di Kukaos.

Perché hai deciso di scrivere questo libro?

Amo raccontare storie di famiglia, intrecci di relazioni, mi piace seguire i personaggi che creo per un arco di tempo relativamente lungo.

E cosa vorresti che arrivasse ai lettori di questa storia?

Della inutilitĂ  della guerra, della difficoltĂ  del vivere situazioni difficili e della formidabile capacitĂ  di risalire le chine piĂą scivolose.

Il titolo come lo hai scelto?

In realtà, il titolo è stato scelto insieme a Claudia Filippini e Fabio Pedrazzi, con il sottotitolo per sottolineare i protagonisti del racconto.

Raccontaci perché hai scelto il primo dopoguerra (1915/1919)?

Avevo già raccontato del secondo dopoguerra. Ho scelto il “macroinsieme” che va dagli anni venti del secolo scorso fino al 1940 per raccontare dell’altra guerra, della epidemia di spagnola, delle nuove scoperte e dei capovolgimenti politici e per descrivere come nel “microinsieme” che sono i miei personaggi tutto questo abbia determinato scelte volute o causate.

Questo libro è una specie di saga, ti sei ispirata a personaggi reali?

La mia bisnonna, rimasta vedova con una bambina piccolissima durante la prima guerra mondiale, un medico chirurgo di Ragusa originario proprio di Scicli, al quale mi ha legato un profondo affetto, mio padre sopravvissuto quasi miracolosamente alla spagnola, le “donne dei gelsomini” nella piana di Milazzo. E poi gli oggetti che ancora conservo a casa: il baule di Nino Pandolfo è quello del mio bisnonno, la scrivania dove Agata trascorre ore di lavoro è quella di mio padre.

Che fonti hai utilizzato?

Manuali di storia, ricerca in biblioteca, documenti ufficiali e l’aiuto di Franco Tricomi, in particolare per quel che riguarda la vita dei militari nelle trincee del Trentino.

Cos’è per te la sicilianità?

Filosofia di vita, soffio dell’anima, modo di essere, luogo di contraddizioni e contrasti, che scaturiscono da millenni di storia e che ne fanno un unicum.

Ma non c’è il rischio di rimanere nei confini dell’Isola?

In realtà, la Sicilia è il posto, o meglio i tanti luoghi, dove sentimenti universali come amore, odio, rabbia, generosità sono rappresentati attraverso i miei personaggi. Emozioni comuni a tutta l’umanità, come ad esempio l’atteggiamento malsano di Elena o la lungimiranza di Agata o la voglia di riscatto di Teresa.

E perché parlare di Sicilia?

Perché è il mondo che amo, che vivo tutti i giorni, con la sua bellezza e i suoi scadimenti, i mille problemi e le imperfezioni che la rendono viva.

A tuo giudizio che ruolo ha oggi il romanzo storico?

Superata forse la motivazione di diffondere elementi di storia e di avvenimenti lontani nel tempo, così come veniva concepito ed era stato creato nell’ottocento, rimane adesso una “struttura” potente e geniale nella quale convertire le emozioni di chi scrive, anche se la diffusione della cultura in senso lato con l’utilizzo di strumenti impensabili ai tempi di Scott ha creato nuovi presupposti e nuovi metodi di conoscenza della storia e della concatenazione di avvenimenti che ne determinano il divenire.

Bianca Folino