Il sorprendente e perverso fascino delle pianure vercellesi

Ci sono posti disertati dal grande turismo, perché poco conosciuti o perché la loro vocazione non è quella di attirare visitatori. Sono in pianura ma allungando il collo si scorge sullo sfondo il profilo delle Alpi. Sono di terra ma per tanti chilometri, e in ogni direzione, l’acqua è l’elemento più presente. Sono aree destinate all’agricoltura ma girando sul territorio del comune di Trino ci si imbatte nella centrale nucleare Enrico Fermi, dissetata dal Po e dismessa da anni, presidiata giorno e notte dalle guardie armate. Noi dobbiamo gratitudine a quelle terre perché grazie alle risaie che riempiono il paesaggio, e agli storici canali Cavour e Farini che le hanno irrigate per tutti questi anni, abbiamo sempre potuto contare su un ottimo riso a chilometri zero, da mettere in tavola con poca spesa e che si trova su tutti gli scaffali dei supermercati ma anche nelle piccole e curate botteghe dei rivenditori locali, dove la qualità del prodotto è sempre il primo parametro tenuto in considerazione. Si può dire che le immense risaie di quelle parti, che si spingono fino al novarese e al pavese, abbiano nutrito l’Europa.

Stiamo parlando della zona della Provincia di Vercelli, appena a nord dei comuni di Crescentino, il primo centro importante che si incontra quando si esce dall’autostrada fra Torino e Milano e di Trino, appunto. In realtà non è vero che la zona è meta di turisti o curiosi. Oltre ai paesaggi di una bellezza imbarazzante, dove i colori, la luce e gli odori mutano in funzione della presenza dell’acqua nelle risaie e dove in qualche momento dell’anno si percorrono le strade con la sensazione di essere in barca, oltre ai paesi circondati dalle coltivazioni, molto spesso piccoli e distanti fra loro, oltre alle cittadine con i lunghi portici che si snodano in centro, le chiese e tutta la loro storia, oltre al Parco Naturale della Partecipanza e delle Grange Vercellesi, che contiene una palude e ospita biodiversità con alcune rarissime specie vegetali e, solo per fare un esempio, con l’unico sito riproduttivo a livello italiano della Pittima Reale, la zona individuata a nord della Strada Provinciale 31 bis è meta di appassionati dell’occulto e del paranormale.

Non è di questo che vogliamo parlare ma si sa che l’argomento può incuriosire e allora accenniamo alle cose interessanti che si possono visitare in quei paraggi.

Saletta di Costanzana (coordinate geografiche 45.222101, 8.364527), un minuscolo borgo pressoché abbandonato, dove una vasta area è stata recintata con una robusta palizzata con lo scopo di tenere lontani i curiosi e dove gli accessi al tempio (edificato fra vecchi cascinali vuoti e cadenti e prospiciente un cimitero a sua volta abbandonato), sono murati per scoraggiare la celebrazione delle messe nere. Tempio di San Sebastiano (coordinate 45.219548, 8.371522) di poco defilato dal borgo e inibito al pubblico. Cimitero abbandonato della Darola e Chiesa della Madonna delle vigne, quest’ultima sconsacrata dopo l’esercizio di riti satanici e abbandonata dal 1784. All’interno, e meta di appassionati di ogni parte d’Italia, si trova il cosiddetto “spartito del diavolo”, dipinto sotto un organo a canne a sua volta affrescato sulla parete. Le coordinate geografiche sono 45.220802, 8.228506 e il posto è legato a doppio filo con il Principato di Lucedio, un affascinante e perfettamente conservato complesso architettonico del dodicesimo secolo, un tempo abbazia e protagonista di una strana leggenda, ora sede di attività ricettive e di ristorazione (coordinate 45.237584, 8.232352).

Ma l’intento di questo articolo è quello di mettere l’accento sull’innegabile fascino di quel pezzo di terra, così particolare e affine a certi paesaggi descritti nei romanzi di Kerouac, per esempio, come “Sulla Strada” o nelle novelle di King, come i “Figli del grano”, che al cinema è diventato “Grano rosso sangue” o “Il corpo”, che sul grande schermo si è trasformato nel famoso e mai sufficientemente osannato “Stand by me”.

Sono strade strette e diritte, dove interminabili file di pali in legno consunto fanno da spina dorsale alle vecchie linee elettriche, sono enormi cascinali con solai alti e pericolosi che si affacciano sulle corti, come nel racconto “L’ultimo piolo di King o nel romanzo “Il signor diavolo” di Avati. Sono giganteschi dormitori vuoti, contornati da grandi porticati e costruiti di mattoni rossi e tetti in coppo. Sono aie di terra battuta. Sono edifici lunghi centinaia di metri che si perdono nella linea piatta dell’orizzonte e dove si immagina, come in “Riso Amaro”, di ascoltare i canti della mondine accompagnarsi col tramonto. Sono chiuse, saracinesche, stramazzi e impianti idraulici imponenti, canali gonfi d’acqua che hai paura di caderci dentro e ponticelli con magri parapetti che si affacciano sulla piena. Sono mulini. Sono altri canali: grandi, piccoli e piccolissimi, che tagliano a fette le distese di riso apparentemente senza fine come campi di grano nel Midwest americano, come si vede nel film La città sarà distrutta all’alba. Sono strade bianche che attraversano le coltivazioni per chilometri e dove si è fortunati a incrociare un trattore dopo ore di cammino. Sono un caldo che sfianca, zanzare grandi come passeri, Aironi Cenerini, rane e bisce d’acqua.

È l’umidità capace di togliere il fiato, come in “Brivido Caldo”. Sono il silenzio, sono eserciti di mezzi agricoli, vecchi e nuovi, schierati nei cortili delle aziende e pronti a partire all’alba. Sono giganteschi silos in alluminio e vecchi depositi di stoccaggio. Sono l’ingegno, il progresso e il duro lavoro. Sono musei ricchi di suggestioni come l’Antica riseria del Mulino San Giovanni a Fontanetto Po. Sono i posti, a nostro giudizio, perfetti per ambientare un romanzo thriller. Se il delta del Po e le umide pianure della bassa hanno ispirato il gotco padano di Pupi Avati, e se pur girando in lungo e in largo non abbia visto nulla che somigli a una casa dalle finestre che ridono, sono sicuro che, come avrebbe detto Guccini, Fra la Via Emilia e il West, la zona a nord di Trino Vercellese e di Crescentino meriti almeno l’attenzione di scrittori e creativi, un sopralluogo in un sabato di primavera quando le risaie sono allagate, una sosta per comprare il riso selezionato e credo che potrebbe chiamarsi: Fra il Canale Cavour e il West.

Roberto Capocristi