Nel variopinto mondo di Sicilia, con il suo fascino e le sue contraddizioni, grandissima parte ha avuto la dominazione greca, di cui in queste pagine si è già scritto. L’isola, colonizzata a partire dal 753 a.C., ha vissuto per secoli la presenza del mondo ellenico, soppiantato e sovrapposto a quello romano e in seguito alle altre dominazioni che ne hanno attraversato tempo e memoria.
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É soprattutto il mondo della filosofia ad avere avuto un rapporto strettissimo con la Grecia. Della Sicilia raccontano molti degli autori e pensatori greci, dal filosofo Platone, che si innamorò di questa parte di mondo, visitando l’isola più e più volte, affascinato dal mistero dell’Etna, all’interno della quale la leggenda narra che vi sia caduto Empedocle, il filosofo agrigentino che come riferisce Bertrand Russel nella sua Storia della filosofia occidentale, citando un poeta anonimo “saltò in Etna, ed è stato arrostito intero”, pagando così il suo peccato di ὕβρις nel voler testardamente spiegare i misteri del vulcano. Pare sempre, secondo la legenda, che l’Etna poi eruttò tra lapilli e cenere soltanto i sandali del filosofo, a dimostrare che la potenza della natura supera qualsiasi spiegazione che l’uomo possa cercare. Discepolo di Empedocle fu Gorgia da Lentini, divenuto poi uno dei più abili retori del tempo, riconosciuto come uno dei più celebri “sofisti” del tempo, uno dei primi difensori di Elena di Troia, la donna bellissima causa della guerra e che nei suoi scritti diventa invece una donna da compatire, perché preda della follia dell’amore, del volere degli dei e soprattutto soggiogata dalla forza della parola, che Gorgia chiamava φάρμακον, medicina, in grado sia di curare i mali che di irretire e stregare e persino avvelenare.
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E di parole e di parole in poesia si intendeva e molto bene Saffo che pare abbia visitato queste terre di Sicilia ma non per divertimento e per diletto, ma perché costretta all’esilio lontana dalla sua Lesbo e dal θίασος che aveva fondato. Questa lettura della vita di Saffo ci rimanda un’immagine diversa e per certi versi poco conosciuta della donna che ha scritto versi immortali e ci racconta di una donna forte che ha vissuto anche un ruolo politico all’interno della cerchia delle mura di Mitilene e che per questo ha pagato in prima persona perdendo il diritto a vivere per qualche tempo nella sua isola.
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Questa storia ha il fascino e la suggestione che potremmo ritrovare in un racconto dove il confine con la realtà e la fantasia è talmente labile da risultare quasi invisibile e parte dalla scoperta casuale di un frammento di papiro decifrato all’Università di Oxford da uno dei massimi esperti del settore, Dirk Obbink. Il frammento non solo contiene un carme di Saffo quasi completo, e questa è già una rarità assoluta, ma non racconta del mal d’amore e delle emozioni che il sentimento suscita, bensì descrive l’angoscia della poetessa che invoca il ritorno felice in patria dei suoi fratelli, Larico e Carasso, partiti per nave per svolgere i commerci che rappresentavano una delle entrate economiche più importanti della famiglia. Il poema che si presenta come una preghiera rivolta agli dei perché assicurino il felice ritorno a casa dei due fratelli e conosciuto ormai come “Brothers Poem”, fuor di metafora potrebbe nascondere un aspetto semisconosciuto della vita della poetessa. Scritto in strofe saffiche, cioè un metro che prende il nome dalla poetessa, composto da tre versi più lunghi e uno più corto, letto in termini allegorici potrebbe indicare un passaggio importante della vita di Saffo. La ripetizione continua del termine nave, ναύς in greco, potrebbe essere indicativo della difficile situazione politica attraversata dalla città di Mitilene, in cui i disordini derivanti dalle lotti fra i tiranni avevano creato una situazione insostenibile per la famiglia della “decima Musa”, come la chiamava Platone, che si vide costretta a fuggire dalla sua città, in quanto esposta in primo piano nelle lotte interne che videro alla fine vincitore Pittaco, nominato conciliatore della città e che costrinse all’esilio la poetessa e la sua famiglia. Saffo arrivò così in Sicilia, e trovò rifugio presso l’odierna Erice, negli anni, come afferma il Marmor Parium, in cui ad Atene era arconte Crizia.
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Ma perché Saffo scelse Erice?
La città era colonia fondata dagli esuli troiani che, fuggiti dalla città, trovarono rifugio nella parte più occidentale della Sicilia e qui si insediarono insieme ad un primo nucleo di Focesi. Entrambi i nuclei continuarono a parlare il dialetto eolico, lo steso parlato a Mitilene e a Lesbo, creando una sorta di enclave dove per affinità di modi di dire e per usanze si trovò a suo agio la poetessa, figlia di Scamandromino, il cui nome la dice lunga sulle origini troiane della famiglia e dove probabilmente i fratelli che lei cita nel poema avevano già instaurato dei commerci.
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Ma soprattutto perché ad Erice ‘era il tempio dedicato ad Afrodite, la Venere Ericina, conosciuto in tutto il Mediterraneo. Saffo era sacerdotessa di Afrodite, come ci racconta il poeta Alceo, alla quale aveva dedicato il primo componimento dell’edizione alessandrina dei suo nove libri, e non ci si deve stupire quindi se continuò a servire la dea anche ad Erice, insieme, probabilmente, ad altri esuli che avevano trovato rifugio in Sicilia e le cui figlie furono affidate a lei per continuare ad essere educate nel nuovo tiasos, dove il culto dell’eleganza, del bello e della raffinatezza rappresentava il centro dell’apprendimento. Questo strano e suggestivo filo rosso che lega la “chioma di viole, la veneranda Saffo dal riso di miele” a Mitilene e ad Erice nel tempo e nel corso dei secoli non si è spezzato e ancora oggi il ricordo della Ericina ridens, come la chiama Orazio, permane nella tradizione che racconta che le donne più belle (nel senso compiuto del termine che indica una bellezza non solo fisica, ma anche di raffinata cultura) si ritrovino proprio ad Erice.
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Due curiosità prima di chiudere: il viaggiatore e geografo arabo Al Idrisi e secoli più tardi Giovan Giorgio Trissino riprendono questa affascinante teoria e ricordano nei loro scritti proprio la bellezza delle donne di Erice. E ritornando agli scritti di Gorgia e al suo approccio alla vicenda di Elena di Troia, piace ricordare che anche Euripide nella sua tragedia “Elena” immagina storia e finale diverso per la donna più bella, che in realtà secondo il tragediografo non mise mai piede nella città perché al suo posto venne inviato un εἴδωλον, una immagine come si diceva in greco, una specie di fantasma con le sue meravigliose fattezze. Ma forse, in fin dei conti, della permanenza di Saffo in Sicilia rimangono retaggi di poeti che si sono succeduti nei secoli in questa terra, a partire da quel Cielo d’Alcamo che con la sua “Rosa fresca aulentissima” ha aperto le porte alla nuova lingua italiana.
Adriana Antoci