Thailandia, paradiso del sesso e della droga. Tutti sanno che molti turisti sessuali si recano in Thailandia perchè qui hanno le cose facili, soprattutto con i minorenni, ma forse pochi sanno che alla fine degli anni Ottanta in Thailanda è stato avviato uno dei più grandi progetti di lotta alla droga. Un progetto riuscito secondo le Nazioni Unite che ha permesso di eliminare la piaga dell’oppio e il problema del narcotraffico in una delle regioni considerate tra le più “calde” del Pianeta.
Stiamo parlando del “triangolo d’oro” un luogo che solo dal nome evoca traffici illegali e produttori di droga. Questo nome deriva dalla lingua Thai e indica il punto in cui il fiume Mae Sai arriva nel Mekong, cioè nella zona di confine tra Birmania, Laos e Thailandaia. Si tratta di un’area di 225 mila chilometri quadrati che include le colline degli Stati Shan, nel Nord-Est della Brimania, le montagne del Nord della Thailandia e gli altipiani del Laos.
Fin dall’800 qui sono state avviate le coltivazioni di oppio, più precisamente dei papaveri dai quali si ricava l’oppio e qui in quel periodo tutti ne facevano uso, bambini compresi. Il 70 per cento delle terre era coltivata a papaveri da oppio. Fino agli anni Ottanta, quando si è deciso di sostituire le colture di oppio con altre, sostenibili come caffè e tè che ancora oggi sono gestite da tribù indigente delle montagne del Nord che vivono in piccoli villaggi di capanne. Tra il 1985 e il 2015 la coltivazione di papavero da oppio in Thailandia è scesa del 97 per cento e non è più stata ripresa. Certo, sarebbe bello se la stesssa logica fosse applicata anche ai turisti sessuali, che come è noto sono in larga percentuale italiani, con progetti alternativi studiati per evitare un commercio davvero poco etico, nonchè uno sfruttamento delle persone e dei minori in particolare.
Del “triangolo d’oro” rimane però un museo, l’House of Opium, nella città di Chiang Saen che racconta proprio la storia di quella zona e delle coltivazioni con oggetti d’antiquariato: pesi, bilance, pipe, stuoie e cuscini.
Scopo del museo è quello di raccogliere elementi e testimonianze di quello che per la città è stato una forma di sostentamento importante. Insomma l’oppio come croce e delizia di queste zone. Sì, perchè per quanto le modalità di coltivazione e raccolta di queste sostanze e l’immissione nel mercato non erano leciti tuttavia questa attività permetteva alle famiglie di avere una forma di sostentamento. Nel museo ci sono anche diversi cartelloni che spiegano non solo il periodo di coltivazione ma anche la trasformazione della sostanza in eroina.
Il museo vuole essere una traccia di memoria di qualcosa che per quanto illegale e dannoso per la salute umana ha fatto diventare ricca la zona.
Redazione