La primavera arriva con le cicorie: il tarassaco

Chi di noi da bimbo non ha mai soffiato sulle soffici infruttescenze del “piscialetto” provocando una nuvola di semi piumati? Certo senza saperlo aiutavamo la diffusione dei piccoli acheni piumati del tarassaco e ci divertivamo a vedere la bianca nuvola che così si formava. Comunemente sulle Alpi e sull’Appennino il tarassaco è chiamato cicoria, ma questo nome è improprio in quanto la “cicoria” è tutt’altra specie, alta anche un metro e con un bellissimo fiore di colore azzurro. Il “piscialetto” invece, tarassaco o dente di leone, è una pianta erbacea d’altrettanta bellezza che cresce nei campi e prati concimati con fioritura molto prolungata durante i mesi primaverili ed estivi. E’ specie perenne con robusta radice a fittone che penetra nel terreno a volte per più di 10 centimetri. Le foglie, di dimensioni variabilissime, possono raggiungere i 50 cm, sono lobate e partono tutte dallo stesso punto formando in tal modo una rosetta basale. I fusti fioriferi sono traslucidi, cavi e, se spezzati, secernono un lattice bianco. Alla sommità dei fusti i numerosi fiori tubolosi sono raccolti in un capolino dal colore giallo vivace.

Da ogni fiore si sviluppa un achenio provvisto del caratteristico pappo: un ciuffo di peli bianchi, originatosi dal calice modificato, che, agendo come un paracadute, agevola col vento la dispersione del seme, quando questo si stacca dal capolino. Fin dal 500 si ha notizia che questa specie fa parte della dieta alimentare delle popolazioni europee. Generalmente le sue foglie, se raccolte giovani e tenere, si consumano crude in insalata, ma possono essere lessate. L’acqua di risulta è molto diuretica anche se amara. Oltre che pianta alimentare quindi il tarassaco può essere considerato specie di interesse erboristico e terapeutico. Nella tradizione, soprattutto in periodo bellico, si ricorda anche la torrefazione della radice fittonante per preparare un surrogato del caffè, che se non ricorda nemmeno lontanamente il sapore di questa bevanda, ha però il pregio di non essere affatto eccitante.

Nel 1546 il protomedico Jerome Bock (1498 – 1554) la consigliava come diuretico. Ora la medicina ufficiale ha molti altri rimedi efficaci e trascura le proprietà di questa specie che trova uso comunemente nell’alimentazione rurale.

L’efficacia delle sostanze contenute nel tarassaco (Taraxacum officinale Weber) sulla stimolazione dell’apparato digestivo umano è nota da secoli. L’investigazione scientifica su queste proprietà è un classico esempio di come il pregiudizio del metodo scientifico contro la tradizione può portare a risultati errati. Le ricerche per isolare un singolo principio attivo sono fallite per molti anni, portando alcuni ricercatori a negare il valore della tradizione, fino a quando non si è capito che questa ipotesi era riduttiva e si è rivalutata l’importanza della coesistenza di più principi attivi, che è una delle regole su cui si basa la fitoterapia.

I fiori del tarassaco sono ricchi di un dolce nettare, bottinato dalle api che ci restituiscono uno squisitissimo miele, ma alcuni montanari sono in grado di preparare un “miele alternativo” direttamente dai fiori del tarassaco.

Nella mia famiglia si consumiamo le foglie sia crude che cotte. Ottime con una sardina e una fetta di polenta fredda e, perché no, anche un uovo sodo. I più pazienti hanno però la possibilità di assaporare questa rustica specie durante tutto l’anno, raccogliendone la parte ingrossata da cui si staccano le foglie (cuori di cioria). Dopo averli privati delle foglie più lunghe e scottati con acqua e aceto per un paio di minuti, i “cuori” devono essere ben asciugati e posti in un vasetto con olio, come si fa con i carciofi. Il sapore? Ottimo e migliore di questi ultimi avendo quel gusto amarognolo che tanto stimola l’appetito. Ovviamente questa ultima impressione culinaria è molto personale, tuttavia, aperto un vasetto e proposto ai miei ospiti magari con un paio di fette di salame, non è mai accaduto che ne rimanesse traccia.

Enzo Bona