“Permettetemi di dare il meglio di me” è il motto che appare sul suo sito. Potremo dire di lui che ama l’arte e che è un artista a tutto tondo, ma preferiamo che sia lui stesso a raccontare di sé ai lettori di Kukaos. Matteo Martis è nato a Cagliari nel 1979 e tutt’ora vive nella sua provincia, a Monastir, insegnando alla scuola primaria del paese dove vive e allo Ied (Istituto europeo di Design) di Cagliari dove tiene lezioni di Musica e Teatro Musicale. Teatro, scrittura e musica, queste sono da sempre le sue grandi passioni e nel 2007 ha vinto una borsa di studio che gli ha permesso di frequentare un Master in composizione a New York dove si è laureato nel 2009. Ma ha preferito tornare in Italia e al suo paese portando con sé tutto ciò che ha appreso e cercando di trasmetterlo ai suoi studenti, convinto che ogni esperienza e ogni conoscenza non siano mai sprecate. Ha composto per il teatro e ha realizzato colonne sonore per corti oltre che per gli spettacoli per i quali ha scritto anche i testi.
Parlaci un po’ di te, chi è Matteo Martis?
Sono diplomato in pianoforte, direzione di coro, direzione d’orchestra e mi sono specializzato alla New York University in composizione per teatro musicale. Insegno musica e teatro nella scuola primaria di Dolianova (vicino a Cagliari) e presso lo IED di Cagliari. Affianco all’attività di insegnante quella di compositore, in particolare di musical e di colonne sonore. I miei spettacoli “Pinocchio! Tra reale e virtuale…” e “Stradivari” hanno ricevuto importanti riconoscimenti nazionali per la migliore regia e migliore spettacolo, e il film “Nausicaa l’altra Odissea”, del quale ho firmato la colonna sonora, è stato premiato al Festival del Cinema di Venezia nel 2017. Ultimamente mi sto dedicando alla scrittura e lo scorso novembre ho pubblicato il mio primo romanzo, Anime Erranti, per la casa editrice Grafica del Parteolla.
Come nasce questa tua passione artistica?
Nasce dai tempi della scuola elementare (ai miei tempi si chiamava ancora così) grazie alla mia maestra che mi ha fatto conoscere il mondo del teatro e mi ha trasmesso una grande passione per la comunicazione multimediale. In famiglia respiravo l’aria della musica e a 8 anni ho intrapreso lo studio dell’organo elettronico, partecipando a dei concorsi nazionali: gli ottimi risultati hanno senza dubbio rafforzato la scelta di approfondire questo mondo. Sono entrato in conservatorio per studiare pianoforte e composizione, e mentre seguivo il percorso accademico ho sempre spostato il mio sguardo verso il teatro: ho scritto il mio primo musical a 15 anni, era “Un canto di Natale” di Dickens. Credo che sia stato quel lavoro a segnare per sempre la mia strada: un ambiente creativo dove musica, scrittura e teatro potessero convivere. Nel corso del tempo, quella che all’inizio era solo una grande passione, si è arricchita diventando anche una vera professione.
Raccontaci qualcosa sul tuo romanzo, Anime erranti
Ho scritto “Anime erranti” nell’estate del 2015 partendo da una sceneggiatura teatrale che avevo scritto qualche anno prima, mentre mi trovavo a New York. Forse proprio la lontananza dalla mia terra mi ha spinto a scrivere una storia ambientata in un piccolo paese della Sardegna, nel 1943. Tutto inizia con Mallena, vecchia misteriosa e sfuggente, che torna in paese alla ricerca del neonato da lei stessa salvato dalla morte ventuno anni prima e rievocando la maledizione pronunciata dalla giovane Lia poco prima di morire dando alla luce il bambino: “mio figlio mi vendicherà”. Il ritorno di Mallena cambierà le sorti di quel neonato ormai uomo, di un’intera comunità ma soprattutto delle persone che avevano causato la morte di Lia.
“Anime erranti” è una storia di affermazione personale, vendetta, onore, amore e morte. Presenta forti richiami a diversi generi narrativi, da quello storico a quello gotico e di mistero, ma ha come fulcro la rivisitazione di alcuni miti della tradizione sarda (le panas, l’accabadora) e la creazione di nuovi miti. Il mondo e il tempo delle anime erranti sono quelli in cui realtà e superstizione si incontrano provocando grandi cambiamenti nella vita dei personaggi. Essi sono l’emblema della società contadina degli anni quaranta: da un lato ci sono coloro che affrontano con dignità e sacrificio la quotidianità in un periodo storico difficile come quello della seconda guerra mondiale; dall’altro coloro che cercano l’affermazione personale attraverso l’arrivismo e scelte egoistiche in grado annientare ogni eventuale ostacolo, umano o ideologico.
Ti occupi di scrittura, ma anche di musica e teatro, quale delle tre preferisci?
Sarebbe come chiedere a un padre quale dei suoi tre figli preferisce. Per me non c’è distinzione: in tutto quello che faccio cerco, come prima cosa, di trasmettere emozioni e per farlo ho bisogno di un linguaggio in grado di parlare a tutti. Musica, teatro, scrittura sono i mezzi che di volta in volta utilizzo per raggiungere le persone e ogni mio lavoro presenta una fusione pressoché continua di questi tre elementi. Mi piace muovermi in un mondo creativo che mi sia congeniale e senza una di queste tre colonne mi sentirei incompleto.
Come si inserisce l’insegnamento in questo scenario?
Ho avuto tanti insegnanti, ma solo alcuni mi hanno davvero formato artisticamente e umanamente perché alla base del loro modo di insegnare, oltre a uno straordinario talento, c’era una grandissima generosità, un “dare” incondizionato che si apprezza solo dopo tanti anni di formazione. Credo, quindi, che un così importante lascito meriti di essere tramandato. Mi sono appassionato all’insegnamento quando ho capito che potevo trasmettere emozioni anche “oltre” il palcoscenico, raggiungendo le persone in luoghi diversi, come la scuola. Per me insegnare è un modo per completare la mia visione dell’arte, fatta di scambio, condivisione e di apprendimento costante.
Credi che le forme artistiche possano arricchire la didattica?
Credo che oggi tutti gli studenti, dai bambini agli universitari, abbiano la necessità di svincolarsi dalla rigidità didattica che domina il mondo scolastico e accademico, per avvicinarsi a un modo di apprendere più completo e “contaminato”. L’arte (e lo studio dell’arte) non deve essere vista come un disciplina a sé ma come un comune denominatore per arrivare agli obiettivi che ogni altra disciplina si prefigge.
Quali strategie usi per avvicinare i bambini all’arte?
Quando ho tenuto il mio primo laboratorio teatrale, circa vent’anni fa, ricordo che mi chiedevo: “Come posso farmi capire dai bambini? Come posso parlare con loro di musica e teatro considerando con hanno mai avuto un’esperienza diretta?”. Ben presto ho capito che non c’era bisogno di troppi preamboli o di spiegazioni teoriche preparatorie, ma di concretezza: fare, provare, avere un contatto diretto con questo mondo era il modo più semplice e diretto per portarli “dentro” questo mondo. Giocare a fare teatro è come fare teatro sul serio. Perché in ogni gioco c’è un modo più o meno consapevole di apprendere e di replicare la propria visione della realtà. Questo è il primo passo su cui baso tutto il mio lavoro. Il resto nasce da un’attenta conoscenza del gruppo e da un’analisi delle necessità di ciascuno, a cui fa seguito una scelta molto scrupolosa dei contenuti che andranno a riempire il mio “box creativo”, una sorta di grande archivio con idee, storie, musiche e spettacoli da utilizzare di volta in volta in base alle esigenze del gruppo.
E com’è la loro risposta, secondo la tua esperienza?
Nella fase creativa e preparatoria i bambini si divertono moltissimo, perché la dimensione del gioco prevale e dalla scrittura creativa nascono spesso le idee più interessanti. Pian piano li porto dentro la consapevolezza delle proprie capacità e dei propri obiettivi artistici attraverso l’approfondimento dei contenuti, l’uso della voce e del corpo in scena. Poi, quando si inizia a provare per uno spettacolo, tutto cambia: il gioco si trasforma in qualcosa di molto concreto e i bambini reagiscono in modo diverso in base al proprio carattere: ci sono quelli che fremono dalla voglia di esibirsi, quelli che ci proveranno senza sapere come andrà e quelli che vengono spinti dalla forza del gruppo ma che eviterebbero di esibirsi. Non forzo mai nessuno ad andare in scena se veramente non se la sente, ma prima di arrivare a questa scelta cerco comunque di aiutarlo a trovare la propria dimensione all’interno di uno spettacolo teatrale. A volte è sufficiente un piccolo spazio, ma sicuro, dentro il quale si sente davvero padrone di ciò che ha imparato. Didatticamente parlando, scoprire questo spazio è la conquista più grande e, per me, la gratificazione maggiore.
Tu insegni alla primaria ma anche all’università, ecco cosa credi manchi oggi alla scuola per poter dare il meglio di sé?
La scuola, a mio avviso, sta già provando a dare il meglio di sé. Questo accade ogni volta che un docente riesce nell’ardua impresa di portare avanti un progetto extra curricolare sapendo di non avere un centesimo a disposizione. Per fare ciò occorre coraggio, caparbietà e molta immaginazione. Servono insegnanti con le menti aperte, preparati nel proprio campo ma assetati di creatività, persone che hanno visto il mondo e vogliono provare a ricrearlo tra le mura scolastiche. Infine occorre che si persegua il gusto del “bello”, inteso non solo come ideale estetico ma soprattutto etico. L’arte è il modo perfetto per raggiungere questo straordinario obiettivo. Ma occorrono risorse finanziarie e spazi da dedicare alle attività artistiche. Investire nell’arte sarebbe un modo importante per dare voce ai tanti docenti che “vorrebbero ma non possono” fare questo tipo di attività. E gli alunni potrebbero finalmente sperimentare una didattica ricca di stimoli, in grado di formare non solo la mente ma anche il cuore.
Progetti futuri?
I progetti futuri sono tanti, ma il primo passo sarà rimettere in movimento il settore culturale. La pandemia può aver fermato la possibilità di condividere spazi e occasioni, ma non ha fermato il processo creativo. Tanto è stato fatto in questi mesi di sosta e speriamo si possa al più presto riportare la gente a teatro, nelle sale da concerto, al cinema. Da parte mia spero di poter contribuire a questa rinascita molto presto, andando in scena con il musical basato sul mio romanzo “Anime erranti”. Questo lavoro sta nascendo grazie alla collaborazione di Bepi Vigna, regista e sceneggiatore, che si è appassionato al mio libro fin dalle prime bozze. Ho poi in cantiere la colonna sonora di un film e la stesura di un altro romanzo. Infine, spero di poter riprendere l’attività teatrale anche all’interno della scuola: nonostante le difficoltà che dovremo affrontare dal prossimo anno scolastico, cercherò di portare avanti il mio modo di fare teatro e musica, fortemente convinto che, oggi più che mai, agli alunni serva un’occasione per continuare a sognare facendo vivere questi sogni nel luogo della crescita per eccellenza: la scuola.