Le lady warriors di Alicudi e dintorni

Le isole Eolie e la loro devastante bellezza hanno nei secoli animato leggende e miti, storie di donne volanti, di cui si è già trattato in queste pagine, di mahare tramutate in corvi, di tagliatrici di tempeste, di apparizioni di streghe pronte a imbandire banchetti sfarzosi destinati a marinai e pescatori.

La stessa conformazione straordinaria delle sette sorelle appare fonte di miti: abitate da Eolo, il re dei venti, che ne fece dimora sontuosa per lui e i suoi dodici figli, visitata da Ulisse nel suo peregrinare dopo la vittoria su Troia, isole di vento e di fuoco, di cui scrive anche Boccaccio nel suo Decameron, narrando nella V giornata delle vicende amorose di Gostanza e Martuccio, terre aspre e assolate  considerate porta dell’inferno, come cita Jacques Le Goff, storico medievalista, nel suo libro “La nascita del Purgatorio”, raccontando di un crociato che al suo ritorno da Gerusalemme si fermò alle Eolie perché là era certo di trovare l’accesso agli Inferi.

E se da un lato nelle isole rimane ancora forte la credenza nelle apparizioni delle “amicedde o serpi con i capelli”, a volere indicare l’ unione tra il mondo dei vivi e quello dei morti, immagine bizzarra e fortemente evocativa che ricorda la Medusa di Perseo divenuta poi col tempo l’immagine di anime imprigionate in una sorta di mondo di mezzo tra il terreno e l’ultraterreno e se in queste storie sembra difficile dividere il vero dall’immaginario, sempre sulle isole invece, al contrario, di verità concreta e reale ne esiste ancora molta e riguarda nello specifico le donne, anzi per l’esattezza le donne pescatrici di Alicudi e delle altre isole dell’arcipelago.

Perché le donne di queste isole andavano a pesca, governavano le barche, tiravano il “ragno” con il pescato del giorno, riuscivano a tagliare le tempeste e, alle prime luci dell’alba, rientravano nei piccoli porti delle isole governando le barche di poppa e non di prua, perché in questo modo le manovre risultavano più facili. Poi, mettevano il pescato nelle ceste, e, così come facevano le “bagnarote”, le donne di Bagnara Calabra, andavano a venderlo. Nel pomeriggio, infine, si dedicavano all’agricoltura, zappando e seminando nelle lenze terrazzate dell’isola.

Donne forti e guerriere capaci con il loro agire di incutere timore persino agli uomini e per questo trasfigurate in streghe che però nulla di malvagio avevano, anzi possedevano la forza e il coraggio di vere combattenti. Mogli che andavano a pesca con i mariti che non potevano permettersi un marinaio e donne che, provate dalle vicende della vita, uscivano in mare da sole, sottovento e di notte per pescare.

Femmine piagate dalla miseria, che andavano a lavorare tutti i giorni, tutto l’anno, incinte e non, perché anche un solo giorno di riposo significava penuria di cibo.

Le donne partorivano persino sulle barche, come testimoniano ancora gli abitanti dell’isola, ridotti a pochissimi abitanti, dopo le emigrazioni forzate dei primi anni del secolo scorso in Australia e in Argentina, paesi in cui molti degli uomini che avevano lasciato sulle isole le mogli e i figli si rifacevano una vita, sposandosi e dimenticando la vita precedente. Queste vicende, che al giorno d’oggi poco interesse scandaloso suscitano, vanno contestualizzate e incardinate nel momento storico in cui avvenivano e rappresentavano una catastrofe non solo affettiva ma anche sociale, perché costringevano le mogli abbandonate a lavorare per mantenere i figli.

Immaginate quindi un gozzo antico, una donna incinta in procinto di partorire, una tagliatrice di tempeste, una madre “single” come si direbbe oggi.

Ci vuole forza fisica e mentale, ci vuole dedizione, ci vuole coraggio. E non faccia impressione oggi se ai bambini di Alicudi venivano regalate come giocattoli le piccole tartarughe appena pescate rivestite di uno straccio che nascondeva il carapace e dovevano simulare il vestito di una bambola. Anche questi giocattoli e questi doni vanno contestualizzati e sono indice di un contesto sociale particolarissimo.

Le donne pescatrici di Alicudi e delle altre isole continuarono a lavorare ogni giorno per tutti i giorni fino alla fine degli anni sessanta, periodo nel quale la caccia alle tartarughe venne vietata per legge e nel quale i cambiamenti epocali legati alla fine della seconda guerra mondiale innestarono nelle isole uno dei fenomeni turistici più longevi in Italia, mentre continuava ancora il fenomeno della migrazione ma non più verso l’estero, bensì verso il nord Italia, fenomeno migratorio che vide partire le mogli insieme ai mariti, mentre i bambini rimanevano sulle isole accuditi dai nonni.

Delle donne pescatrici e contadine ha raccontato in un bellissimo documentario, girato nel 1947 per conto della Panaria film, Francesco Alliata di Villafranca. Di queste donne di mare ha parlato Marilena Maffei, già citata in queste pagine e dobbiamo al “motu proprio”, cioè alla decisione personale senza supporto dell’istituzione, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella il conferimento nel 2018 del prestigioso premio del cavalierato alle tre ultime donne pescatrici viventi nelle isole, togliendo così il velo di anni che aveva nascosto e occultato una storia di incredibile fascino e fierezza.

Un’ ultima notazione prima di chiudere: per volere del sindaco dell’isola di Salina, Clara Rametta, è stato dato incarico all’artista messinese Fabio Pilato di realizzare una scultura in ferro “Donne di mare”, a ricordo di quante hanno vissuto e lavorato tra il mare e le lenze di terra delle sette sorelle.

Adriana Antoci