Nelle tradizioni culinarie delle vallate alpine molte erbe spontanee venivano consumate durante la tarda primavera o l’estate. Molte di esse sono ancora utilizzate e vegetano a quota modesta, nei prati e sfalci nei dintorni degli abitati, altre crescono a quota più elevata e necessitano di escursioni, a volte lunghe, per poter essere raccolte. Il Buon-enrico è una di queste erbe spontanee. Si presenta come uno spinacio di montagna, cresce nei pressi delle malghe su suoli ricchi di nitrati caratterizzati dalle deiezioni animali, quindi è di massima importanza venga raccolto prima che il bestiame montichi così da non arricchire ulteriormente il suo contenuto già alto di sostanze azotate.
Come si riconosce? Di aspetto simile ad un normale spinacio coltivato negli orti casalinghi, con la caratteristica di avere sulla pagina inferiore della foglia una specie di farina biancastra, da questo anche il nome volgare di farinello. Se ne raccolgono le foglie avendo cura di staccarle dal fusto tirandole verso l’alto per evitare il fastidioso sfilacciamento, indigesto alle gole delicate dei buongustai. I fiori, composti da glomeruli tipici delle Chenopodiaceae, famiglia alla quale appartiene, sono pure commestibili e vengono impiegati per fare risotti. Personalmente non li ho mai usati riservandomi di gustare sole le foglie più tenere, raccolte a giugno prima che la pianta metta fiore.
Come si mangia? Si possono usare le foglie giovani crude condite con olio, pepe, succo di limone. Le foglie lessate brevemente in acqua salata, si prestano agli stessi usi degli spinaci, particolarmente pregiati nei ripieni, ma anche aggiunte nel minestrone, oppure sminuzzate nelle frittate.La destinazione per eccellenza del Buon-enrico, almeno in alcune valli alpine, è di accompagnare lo stufato di lumache in un equilibrio che garantisca sufficienti gasteropodi e altrettanta parte vegetale. È infatti sgradevole dover rovistare tra le foglie lessate per trovare “rari nantes in culgite vasta” le lumache da gustare, ossia pochi marinai in un grande mare.
Ritorniamo seri! Cosa contraddistingue il Chenopodium bonus-hernricus? Quali sono le sue proprietà organolettiche? Il suo contenuto di ferro è molto alto, ma offfre anche grande quantità di sali e vitamine. È un ottimo ricostituente, antianemico, debolmente lassativo e depurativo. Il suo contenuto di acido ossalico ne sconsiglia il consumo ai sofferenti di calcoli, artrite e reumatismi. Anticamente, ma ora non più utilizzate, le foglie svolgevano la funzione di emolliente, ed erano indicate per far maturare foruncoli e ascessi e, dopo breve cottura in olio di oliva, per fare gli impacchi su scottature e piaghe. Una curiosa noticina sul nome scientifico. Il genere Chenopodium deve il nome alla forma della foglia che assomiglia al piede dell’oca, infatti l’oca in greco si pronuncia ”chen” e ”podium” un piccolo piede. Altra storia per il nome della specie: bonus-henricus. Questo vuol essere un riconoscimento a Enrico IV di Navarra chiamato dai francesi: “Le bon Henry” conosciuto anche per la sua dedizione alla botanica.
Infine una ricettina. Gnocchi con il Buon-enrico. Per 6 persone occorrono almeno 2 Kg di foglie fresche. Lessatele, scolatele e conditele con burro fuso e formaggio, meglio se di montagna e stagionato. Metteteli al fuoco, mescolateli e ritirateli quando avranno bene assorbito il condimento. Aggiungete 2 uova intere e 4 cucchiai di farina bianca per ogni chilogrammo di pianta, quindi amalgamare bene il tutto. Con un cucchiaio buttate la pappa nell’acqua bollente salata, si formeranno dei piccoli gnocchi (come i malfatti). Lasciateli cuocere. Dopo scolati, conditeli con burro cotto e formaggio grattugiato. Buon appetito!
Innocenzo Benvenuto Bona