Non solo musica

Cantautrice, scrittrice, musicista, inizia la sua formazione musicale al Conservatorio L. Cherubini di Firenze dove si diploma in pianoforte. La sua scrittura nell’insieme colta, ispirata alla grande letteratura, anche erotica, sicuramente originale e coraggiosamente impegnata, è stata sintetizzata dai critici con l’inedita formula di “pop letterario”. Gli inizi in televisione, come pianista, cantante, musicista, le permettono di capire quanto sia lontana la sua vita e il suo mondo artistico da certo ambiente televisivo, che deve prendere una decisione immediata e deviare per una strada meno battuta alla ricerca di qualcosa che la musica le sta suggerendo da molto tempo: il rapporto tra il suono e l’invisibile. Susanna Parigi parla di sé ai lettori di Kukaos. Le foto di questa intervista sono state prese dal sito www.susannaparigi.it.

Susanna Parigi

Non ricordo dove, ma ho letto da qualche parte, che lo stato “di salute” di un popolo si riconosce, o si riconoscerebbe, da ciò che ascolta (musicalmente parlando). Noi, secondo te, siamo ciò che ascoltiamo?

Sicuramente, ma non solo. Qualcuno ha scritto anche che lo stato di salute di un popolo si riconosce dalle buone condizioni della sua lingua. Noi siamo tutto quello vediamo, ascoltiamo, leggiamo. “Tutte le cose si attaccano addosso” è proprio il titolo di una mia canzone. Il discorso si farebbe lungo ma va detto che lo stato della nostra lingua è pessimo. Una lingua serve per comunicare mentre oggi assistiamo alla volontà evidente di erigere un muro generazionale e il linguaggio dei ragazzi, basti pensare a rap e trap ma non solo, è completamente inaccessibile ai genitori. Quando vengono cambiati tutti gli accenti delle parole, le parole non sono più le stesse e tu sei disorientato.

Susanna Parigi

Hai “girovagato”, permettimi questo termine, negli ultimi anni per vari conservatori, fino ad avere una cattedra fissa al Conservatorio di Milano. Che clima si respira oggi nei conservatori? Com’è oggi insegnare musica nei Conservatori?

Insegnare canto nei Conservatori è meraviglioso. Quasi tutti gli studenti sono molto motivati e pronti a lavorare sodo. Il Conservatorio di Milano è molto esigente e credo sia l’unico modo per arrivare a dare dignità al mondo pop. Mi spiego: fino a qualche anno si poteva pensare che frequentare i corsi di pop al Conservatorio fosse un modo per laurearsi in maniera facile. Chi frequenta oggi il Conservatorio di Milano sa che deve essere un musicista preparato sotto ogni aspetto e credo che questo faccia salire di anno in anno la professionalità di chi poi lavorerà in questo ambito. Solo chi non conosce la materia pensa che il pop sia uno scherzo.

“L’insulto delle parole” è il titolo di uno dei tuo lavori. La musica è mai stata insultata? se si, in che modo si insulta o si può insultare la musica?

Sospetto che la tua domanda sia provocatoria. La musica si può insultare in diversi modi. Se io rinuncio a fare quello che in cui credo per arrivare a un pubblico più vasto, forse insulto la musica. Però credo che la musica venga insultata quando è sottovalutata, quando prevale l’egocentrismo, l’esibizione, quando metto “me stesso” davanti alle esigenze musicali. In questo momento di dittatura dell’Io, questo accade abbastanza di frequente.

Hai iniziato discograficamente nel 1995… e il tuo ultimo album di inediti risale a 8 anni fa. Quest’ultimo è un periodo, se vogliamo, insolito e lungo di “silenzio” per un’artista. In questi 8 anni è cambiata la musica? In che modo? (Al netto ovviamente dei due anni di pandemia che ci ha recluso e cambiato personalmente e socialmente un po’ tutti).

Guarda sono stata in silenzio per 8 anni proprio per questo motivo. Dovevo assimilare quello che stava accadendo e devo dire che sono stati 8 anni in cui ho ascoltato tantissimo e studiato il mondo musicale e non li ritengo anni di fermo, anzi… come dire, a volte si cammina di più quando si sta fermi. Devi elaborare, devi immergerti in un’altra realtà per poi sentirti pronto a ripartire.

Hai mai pensato che se anche un solo tuo brano fosse stato proposto e cantato da una voce maschile avrebbe forse avuto un destino e magari un “successo” ed un ascolto diverso?

In questi termini no. Ho pensato sicuramente che se fossi stata uomo avrei avuto vita più facile, considerando oltretutto il momento storico in cui ho iniziato a scrivere. Io sono stata una delle primissime cantautrici quando a scrivere erano soltanto gli uomini, in Italia intendo.

A proposito di uomini e donne (ma senza riferimenti a deplorevoli programmi tv), da sempre buona parte delle protagoniste delle tue canzoni sono donne… a quale donna o donne tra tutte quelle che hai proposto e cantato ti senti più legata?

Dovessi dirne una, forse alla protagonista di “Così è se vi pare”. Il tema di sentirsi diversa da come gli altri ci percepiscono ricorre spesso nei miei Cd. Anche il titolo del secondo album “Scomposta” parlava proprio di questo.

Ricollegandomi alla domanda precedente, Quanto e perché è importante parlare di donne in una canzone?

Storicamente il destino delle donne è sempre stato di violenza e sopraffazione. Per questo volevo dare voce alle donne, al linguaggio delle donne, molto diverso da quello maschile, al punto di vista delle donne, sempre sottovalutato. Oggi però penso anche che le donne facciano poco per cambiare e che molta parte dei loro problemi annosi sia dovuta alla loro incapacità di reagire, di rendersi solidali con le altre donne, di non pensare al proprio tornaconto.

Nel tuo libro “Il suono è l’invisibile”, una lunga intervista con il caro Andrea Pedrinelli, dici appunto che la musica ha a che fare non solo ovviamente con il suono, ma appunto anche con l’invisibile… quasi un concetto filosofico… ce lo vuoi magari spiegare meglio.

In due parole è davvero difficile. La musica per esempio è l’arte invisibile per eccellenza no? Non si vede, si ascolta. Molto di quello che avviene nella trasmissione tra chi fa musica e chi ascolta, ha a che fare con l’invisibile. Molto di quello che accade nell’esecuzione non è trascrivibile in una partitura. Ti porto un semplice esempio: in musica classica tutto è scritto nella partitura in maniera perfetta, persino le dinamiche e il tempo di esecuzione. Come mai allora c’è così differenza tra un’orchestra e l’altra? Tra un esecutore e l’altro? Perché si ha a che fare con l’invisibile, cioè con le “intenzioni”, con il “pensiero”, con la storia di chi esegue, persino con il pubblico che in quel momento ascolta.

“Tutte le cose si attaccano addosso” è il titolo di una tua canzone che è un concentrato di tanti messaggi, un suggerimento se vogliamo per vivere o intraprendere una vita più “sostenibile” socialmente ed umanamente. E’ cosi?

Sì. Il primo passo da fare è rendersi conto che niente di tutto quello che ascoltiamo, vediamo, leggiamo, passa senza lasciare traccia. Sembra, ma non è così. In sostanza la canzone dice che dobbiamo stare molto attenti a cosa leggiamo, a chi frequentiamo, ai film che guardiamo, a tutto quello che incameriamo in un modo o nell’altro perché si attacca addosso. Dovremmo essere dei “respingenti”, ma per attivare questa espulsione occorre molta energia, molta consapevolezza e molta forza di volontà.

Per ciò che concerne il tuo modo di scrivere, il tuo modo di fare musica (e di intenderla), si potrebbe parlare di una… “Scomposta indifferenza”… magari esoterica? (ricollegandomi a titoli delle tue canzoni e dei tuoi cd?)

Indifferenza mai. Che la mia musica possa avvicinarsi all’esoterismo invece sì, in quanto dall’etimologia della parola, discesa nell’”interno”, ricerca del “naturale”, ricerca della natura interna dell’uomo. Almeno ci provo.

“Tutti gli uomini devono avere accesso al sapere. Questa è giustizia!”. Tratta dal brano “LIB(e)RI”. Parliamone.

Oggi siamo oltre questa affermazione. Fino a pochi anni fa si lottava per l’istruzione a tutti. Oggi passa il concetto che la scuola, la cultura, l’applicazione, non servono a niente. Ovviamente solo chi non ha mezzi culturali pensa che questo sia vero. E così abbiamo superato il problema. A nessuno interessa una buona istruzione per tutti. Tanto poi al successo arrivano i tamarri della De Filippi.

Alberto Barina