Palazzolo Acreide: il tempo dell’attesa

Giugno è il mese dell’essenza di Palazzolo Acreide. A giugno la campagna intorno si veste del giallo del grano maturo e del lilla della lavanda, a spica ri san Paulo. Si raccoglie la fatica di un anno, tra muri a secco che delimitano campi ordinati e terreni scoscesi dove si arrampica la violaciocca. A giugno Palazzolo Acreide vive di attesa, di tempo sospeso. Persino le pietre del teatro greco aspettano, come i mascheroni barocchi del balcone più lungo di tutta la Sicilia. Anche i Santoni, come gli Apostoli impassibili e immoti sulla balaustra della Chiesa, persino loro attendono, contando le ore segnate dai campanili delle chiese. Giugno aspetta, come ogni anno, da secoli. Si respira questa attesa, tra vicoli e cortili ombreggiati, tra vasi di gerani e rose rampicanti. Palazzolo Acreide vive di una attesa lunga ventotto giorni, gli stessi del ciclo lunare che accompagna le donne che, nel fresco dei dammusi, finiscono di attorcigliare le nzaredde di mille colori, minuscoli rotoli di carta che, pressati nei mortai, esploderanno il giorno della festa. Sì, perché a giugno Palazzolo Acreide si veste di festa.

Si nota quest’aria diversa, che ti accoglie all’ingresso del parco archeologico, dove gli ulivi attendono pieni di zagare, preludio di un raccolto abbondante. Tempo sospeso, mentre i portoni delle Chiese luccicano al sole sempre più caldo, tempo di attesa, tempo di ricordi. Perché anche i capitelli corinzi che fanno da fioriere lungo il corso ricordano e parlano: pieni di violette e petunie, si lasciano accarezzare dal suono lontano di un clarinetto di banda che prova una scala musicale o accenna al refrain dell’intermezzo della Cavalleria Rusticana. E Palazzolo attende e ricorda: qualcuno racconta di un uomo straordinario che venne a riposarsi un paio di giorni, forse tre, forse di più, vestito da romano, piccolo di statura, minuto, ma con gli occhi neri vivi e penetranti al punto che chiunque doveva abbassare lo sguardo quando incrociava il suo, un uomo in grado di domare sia i serpenti che guizzano tra i covoni di grano che le passioni del cuore, così tumultuose e turbolente. Palazzolo Acreide attende, mentre le giornate si allungano e diventano infinite, piene di luce che attraversa i palazzi barocchi e le facciate liberty, le trine ricamate delle colonne della Chiesa della Nunziata e il cancello di ferro battuto della villa comunale. E i scaliddi si riempiono di vasi di fiori, giare vecchie di anni, piene di colori dove il rosso, così rutilante, così siciliano si sublima e diventa poesia. E giù, più giù, mentre i cavalli immobili al sole aspettano, nei vecchi forni di pietra qualcuno trascina e affastella piccoli legni, gusci di mandorla e poi, con pazienza e perizia, accende un fuoco per “pruvari u furnu prima ri fari i pani ri san Paulo”.

Attesa che è già festa, tra granite al limone e gelo di cannella, cannoli di ricotta e frutta candita, nel fresco di un bar dove le pareti sono tappezzate di foto di bambini sollevati in aria tra strisce di carta colorata e braccia levate al cielo. Perché a Palazzolo Acreide a giugno il tempo si ferma, sbadiglia tra i tavoli del ristorante pronto a servire polpette fritte, delizia del palato, e birra ghiacciata, mentre la piazza, così vuota nei mesi invernali, si colora di stendardi ricamati appesi alle ringhiere dei balconi. E tutta la città si colora: dalle strettissime strade del quartiere dell’ebraida, ricordo del passaggio del discepolo di Gamaliele, fino a quello dello Spirito Santo, e poi più giù ancora verso la maremonti e la villa comunale, per tornare poi indietro, lungo le strade che portano alla chiese di san Michele e della Madonna Addolorata.

Perché a giugno è festa a Palazzolo Acreide, anzi è la festa. E devi esserci per capire e quando sei stato là una volta, devi tornare, non puoi farne a meno. E mentre la banda prova e riprova, scandendo le note, i ragazzi si arrampicano sulla balaustra della Chiesa e creano un miracolo di equilibrio incastonando i mortai tra la ringhiera e il prospetto di una chiesa che racchiude l’essenza del barocco siciliano. Perché solo a Palazzolo Acreide le culture millenarie si sono stratificate nel corso dei secoli e dalla forza dei sicani fino alla filosofia greca, passando poi per la dominazione bizantina e il periodo medievale, la città vive del meglio di ogni civiltà. E Palazzolo Acreide, così signorile e ospitale come vuole la sua tradizione greca, è pronta ad accogliere il popolo di san Paolo. Turisti, fotografi, appassionati, devoti, curiosi arrivano alla spicciolata, come ogni anno, per un appuntamento a cui non si può mancare.

Palazzolo Acreide a giugno è una meraviglia per gli occhi, una gioia per il cuore, un momento di assoluto riposo per la mente. Perché ci saranno urla di gioia, sudore, lacrime e sorrisi, ci sarà un carretto del pane, serpenti portati in processione e stendardi verdi e rossi, perché ci sarà la banda e i fuochi di artificio che disegneranno fiori e stelle. Perché adesso il tempo non è più sospeso, adesso il tempo è pieno, vivo, da vivere, da gustare come si assaporano le arancine caldissime che racchiudono il sole di Sicilia e che si mangiano in fretta, in piedi, mentre si attende, sotto il sole, davanti al portone spalancato della Chiesa. Non c’è più l’attesa, ci sono fasci di spica di san Paulo e pane dorato, capolavori di arte culinaria e bontà da gustare, non c’è più l’attesa, ci sono magliette rosse e rulli di tamburo, squilli di tromba e lanci di angioletti. L’attesa è finita. La festa può iniziare.

Le immagini di questo articolo sono di Salvo Alibrìo

Adriana Antoci