Quando la Poesia si fa mistero

Che cosa c’è in un nome?

Se chiamassimo la rosa con un nome diverso,

non serberebbe forse il suo profumo?

                                                                             William Shakespeare

Ci sono autori che sono un vero mistero. William Shakespeare è famoso in tutto il mondo per essere il più grande scrittore inglese di tutti i tempi. Una recente teoria, però, sembrerebbe smascherare le sue origini: questi, infatti, non sarebbe nato a Stratford on Avon,in Inghilterra bensì a Messina, in Italia.A tal proposito, sin dal 1700, i letterati di Europa si sono interrogati circa le notizie biografiche del drammaturgo inglese, poiché non si è ritrovato nulla sulla sua istruzione, né qualcosa che unisca la sua vita e le sue opere a Stratford on Avon. Inoltre, è anomala la circostanza per cui uno scrittore che nasce in un grande centro a nord-ovest di Londra, dovrebbe ambientare una delle sue commedie “Molto rumore per nulla” a Messina, colorandola di espressioni, doppi sensi e modi di dire come “mizzica”, che solo un locale potrebbe usare con tanta precisione!

Per gli inglesi, Shakespeare è il terzo di otto figli di un guantaio-macellaio analfabeta, nato il 23 aprile 1564 a Stratford upon Avon, località a 40 chilometri da Londra, dove morì il 23 aprile 1616. A causa delle ristrettezze economiche familiari, non ebbe modo di fare grandi studi. Tuttavia, dopo i 25 anni, come per miracolo, iniziò a scrivere poesie, poemi e decine di opere teatrali, coniando più di undicimila vocaboli nuovi della lingua inglese, opere che ne hanno fatto un gigante della letteratura mondiale. Se Dante è stato il padre della lingua italiana, Shakespeare lo è stato per quella inglese. Tanto che il critico Harold Bloom ha scritto: «Dopo Gesù, Amleto è la figura più citata nella coscienza occidentale».

Benché non sia mai stato trovato un suo scritto originale, né un libro che gli fosse appartenuto, per più di tre secoli l’origine inglese di Shakespeare non è mai stata messa in dubbio. Il primo a farlo, all’inizio del Novecento, è stato un giornalista italiano, Santi Paladino (1902-1981), che trovò per caso nella biblioteca paterna un antico libro, intitolato I secondi frutti, firmato da Michel Agnolo Florio. Leggendolo, Paladino scoprì che molte frasi di quel libro erano identiche a quelle contenute nelle opere di Shakespeare. Un caso di plagio? Impossibile: quel libro era stato stampato nel 1549, circa 50 anni prima della comparsa delle opere shakespeariane, anzi prima ancora della nascita del poeta (1564). Come si poteva spiegare tutto ciò?

Indagando su Michelangelo Florio, il giornalista Paladino scoprì che si trattava del figlio del medico Giovanni Florio e della nobildonna Guglielma Crollalanza, nato a Messina e poi fuggito a Treviso con la famiglia, di origine ebraica e religione calvinista, per sfuggire alla persecuzione religiosa dell’Inquisizione (la Sicilia era allora sotto la Spagna). Il giovane Michelangelo Florio studiò a Venezia, Padova e Mantova; viaggiò molto, visitando Danimarca, Grecia, Spagna e Austria, e diventò un umanista di grande cultura, ricercato come precettore dalle famiglie più ricche d’Europa. Grazie all’amicizia con Giordano Bruno, che aveva buoni rapporti con i conti di Pembroke e Southampton, nel 1588 Michelangelo Florio raggiunse Londra, dove fu assunto come precettore di lingua italiana e latina della futura regina Elisabetta, il cui lungo regno è ricordato come «età dell’oro».

Un’epoca a cui contribuirono anche le opere teatrali di Shakespeare, il cui vero autore, secondo Paladino, era in realtà proprio Michelangelo Florio, poiché si trattava della stessa persona. Tesi che Paladino espose in un articolo pubblicato il 4 febbraio 1927 sulla rivista L’Impero, con il titolo: «Il grande tragico Shakespeare sarebbe italiano». Florio, per cancellare il proprio cognome da calvinista fuggiasco, aveva deciso di farsi chiamare Shakespeare traducendo in inglese il cognome della madre (Crollalanza): il verbo inglese shake traduce agita, mentre spear traduce lancia. Mentre William era il nome di un cugino della madre, residente proprio a Stratford e morto prematuramente.

Agli inglesi la tesi di Palladino risultò indigesta, e corsero immediatamente ai ripari. Dopo una visita a Roma di Winston Churchill, il regime fascista di Benito Mussolini ordinò l’immediata chiusura dell’Accademia nazionale shakespeariana, nata a Reggio Calabria per iniziativa dei cultori della tesi del Paladino. E sull’origine italica di Shakespeare calò il silenzio. Ma il velo di quella censura è stato squarciato nel 2002, quando un docente di letteratura in pensione, Martino Iuvara, ha approfondito ulteriormente le ricerche su Florio- alias- Shakespeare, mettendo in risalto alcuni dati incontrovertibili.

Come faceva il figlio di un guantaio analfabeta a possedere l’immensa cultura classica che Shakespeare dimostra nelle sue opere? Come poteva descrivere così fedelmente i luoghi e le usanze delle città italiane in cui sono ambientate molte opere teatrali? Più di un terzo (15) dei 37 drammi shakespeariani sono infatti ambientati in Italia. In Amleto compaiono i cognomi di due studenti danesi, Rosencrantz e Guilderstern, che erano compagni di studi di Florio all’università di Padova. Sempre in Amleto si trovano numerosi proverbi pubblicati da Florio nel precedente libro italiano I secondi frutti. Nel Mercante di Venezia, il Bardo rivela una conoscenza della legislazione veneziana del tempo, del tutto sconosciuta a Londra. Molto rumore per nulla è la traduzione inglese di una commedia giovanile del Florio (Tantu traficu ppi nenti). Nella stessa commedia un protagonista se ne esce con una battuta («Mizzeca, eccellenza!»), che soltanto un siciliano poteva conoscere. E, guarda caso, Antonio e Cleopatra è ambientato a Messina, città d’origine di Florio.

Sono solo alcuni dei numerosi dettagli che hanno spinto il quotidiano The Times a commentare così la tesi del professor Iuvara: «Il mistero di come e perché Shakespeare sapeva così tanto dell’Italia ed ha messo tanta Italia nelle sue opere, è stato risolto da un accademico siciliano in pensione. La questione risiede nel fatto che Shakespeare non era affatto inglese, ma italiano».  

Guido Cornia