Quando davano fastidio o rispondevano male ai loro mariti venivano internate. Parliamo del trattamento riservato alle donne dalla fine dell’800 fino al secondo dopoguerra e anche oltre. Chi non conosce la storia della poetessa Alda Merini per esempio? Internata per aver lanciato una sedia al marito, marito che soleva picchiarla. Ma anche Letizia Battaglia, la famosa fotografa della mafia, internata per un “esaurimento nervoso”, ovvero perchè considerata ribelle e perchè non voleva sottostare ai limiti imposti dal marito alla sua vita.
E gli epiteti che venivano dati alle donne che osavano dire come la pensavano e che si opponevano a mariti violenti, sia fisicamente che psicologicamente, erano “matte”, “squilibrate” o “isteriche”. In particolare isteria è una parola che significa “utero vagante” e che voleva sottolineare come lo squilibrio mentale fosse prerogativa femminile, guarda caso dato a quelle donne che non accettavano il ruolo che la società aveva affibbiato loro.
Alla fine dell’800 erano soprattutto le donne che arrivavano dalle campagne e che vivevano situazioni difficili, obbligate a fare 10 e più figli e curare loro e contemporaneamente a lavorare nei campi. Come andavano in crisi venivano mandate in manicomio. La diagnosi veniva fatta attraverso la valutazione del loro rapporto con gli uomini e i sintomi descritti erano quelli di arroganza, strafottenza e risposte brusche ai mariti. In altre parole donne che osavano dire come la pensavano e non riuscivano a stare zitte e al “loro posto”. Pensiamo di nuovo ad Alda Merini e a come si definisse una donna “non addomesticabile”.
Durante il fascismo poi, quando la propaganda faceva della donna il fulcro della famiglia e della casa, coloro che non accettavano questo ruolo in silenzio, ma si permettevano di esprimere le proprie opinioni venivano definite “madri snaturate”. Internate per guarire dalle loro “malattie”.
Le cure erano quasi peggio della convinvenza coniugale: bagni caldi e freddi e con il fascismo anche l’insulinoterapia e l’elettroshock.
Oggi le storie di queste donne stanno emergendo con la riscoperta di documenti e lettere e anche qualche testimonianza di chi è stata internata. A interessarsi a loro non è solo la regista Jane Campion che negli anni Novanta ha dato vita al film “un angelo alla mia tavola”, ma anche il regista Tim Mielants che aprirà la Berlinare con un film, in prima assoluta, sui manicomi femminili irlandesi e sugli abusi che li hanno contraddistinti. Il titolo “Small things like this” serve proprio a comprendere quello che succedeva in questi Istituti affinchè un tale scempio non venga mai a ripetersi.
Bianca Folino