Rammstein Live @Groupama Stadium, Lyon

Definire lo spettacolo cui ho assistito col nome di “concerto” sarebbe riduttivo: lo show proposto dai Rammstein in quel di Lione, al Groupama Stadium, non possiede appellativi o aggettivi sufficienti a descriverne l’audacia, la forma e l’essenza. Possiamo dirlo senza remore sia in senso positivo che negativo, con piglio imparziale ed evidenza oggettiva; chiunque, ancorché neofita del genere o della band, riassumerebbe il gig perlomeno come “esagerato”.
Non estremo, badiamo bene, bensì proprio esagerato.
Perché dopo ventinove anni di onorata carriera è anche giunto il momento di dirlo: i Rammstein non rappresentano uno shock visivo in termini di scandalo e nemmeno rientrano nei meandri più lugubri della vera e propria musica estrema. Sono un eccezionale fenomeno di massa che ha saputo oltrepassare i difficilissimi confini musicali tedeschi per conquistarsi milioni di fan in tutto il globo attraverso una straordinaria qualità, un talento di prim’ordine, una strategia commerciale vincente e un eclettismo praticamente senza precedenti.
I Rammstein sono prima di tutto dei performer: degli agitatori di folle, degli attori mirabolanti e dei formidabili circensi. Ogni componente del gruppo non si limita a suonare uno strumento ma recita una moltitudine di personaggi e conosce con perizia il mestiere di pirotecnico, acrobata e stuntman.
“I ragazzi hanno il fisico”, si potrebbe dire, non fosse che – elemento ancora più sconvolgente – ragazzi non sono più: hanno quasi sessant’anni e reggono con foga e furia due ore e mezzo di live realizzato in modo e maniera da apparire come una sorta di Grand Guignol in salsa industrial.
Oltre al fisico, è chiaro che ci vuole mestiere e intelligenza. Ecco i due veri ingredienti di un concerto talmente spettacolare da domandarsi se quello a cui abbiamo assistito sia vero o frutto di un’illusione.
Una certa illusione infatti c’è, eccome.
Abili trucchi scenici che al tempo dei social e dei dischi in digitale stiamo perdendo di vista e che, contrariamente a quanto vorrebbero i guru del web, continuano fortunatamente a stupire molto di più di un reel su Instagram.
Per cui largo alle fiamme, ai fuochi d’artificio e alle luci da attacco epilettico, in barba a led, ologrammi e altre trovate che saranno di certo avveniristiche ma spengono i sacri ardori dell’atmosfera live tipica del rock’n’roll.
E pensare che di rock ne abbiamo visto anche poco, magistralmente sostituito – laddove ci fosse penuria – da puro teatro e da contagiosa esaltazione.
Iniziamo dall’organizzazione e dalla struttura: zero fila, e quando intendo zero voglio proprio dire che mai, in nessun luogo, si è accalcata della gente. Bagni, stand della birra, paninari, bibitari, perfino dal tipo che ti vendeva i tappi per le orecchie (grazie al cielo ne ho comprato un paio), ingressi, tornelli, navette, parcheggi. Non un minuto di attesa per entrare nel vivo del concerto.
Lo stadio, senza dubbio, ha fatto la sua parte. Un autentico tempio del calcio moderno, categoria “quattro stelle A” UEFA, idoneo per i Rammstein come per una finale di Champions; enorme, con degli spazi esterni grandi quanto una provincia, servito da strade dedicate, enormi zone verdi, spazi per bambini, ristoranti, hotel, negozi e chi più ne ha più ne metta. Comodissimo sia fuori che dentro, mi ha accompagnato con dolcezza fino agli spalti più in alto, dove ero alloggiato su di una seduta che consentiva una visuale a dir poco fantastica di tutta l’arena, e sebbene fossi a più di cento metri dal palco, la visione non è stata per niente penalizzata, anzi. Ritengo di essere stato paradossalmente più fortunato di chiunque fosse alto come me, là in mezzo al prato.
Piacevolmente sconvolto da cotanto comfort e cotanta serietà, attendo le nove osservando l’età media del pubblico: cinquant’anni.
Ecco perché dico che i Rammstein non sono estremi bensì rappresentano ciò che di più maturo e vario il panorama musicale hard possa offrire, considerando anche il fatto che l’heavy metal e tutto quel che ci gira d’intorno, ormai sia roba da “matusa”.
Le chitarre ai giovani non interessano più.
Ed è un gran peccato – mica per le chitarre – ma perché questo concerto avrebbe sorpreso qualsiasi ragazzino, forte di intensi momenti dance e rave che gli avrebbero spinto l’adrenalina ben oltre le sue aspettative.

Christian “Flake” Lorenz non suona soltanto le tastiere ma rende il concerto una sorta di Hellzapoppin grottesco e sinistro, grazie a performance strepitose tra demenziale e sadomaso.


Inizia tutto con il nuovo album, che si intitola Zeit, e il tempo rimarrà una costante per tutto il live.
La canzone che dà il via allo show è il singolo Zick Zack che – nonostante la struttura abbastanza “Rammstein Style” – possiede un refrain eurodance anni novanta da far saltare subito come pazzi i sessantamila presenti. Altre quattro o cinque songs estratte dal disco a fini promozionali e si entra nel vivo con una smitragliata di classici che infiammano (in tutti i sensi) Lione.
L’introduzione agli inferi è un gioiello: omaggio ai Kraftwerk con base elettronica sincopata e balletto dei membri del gruppo nel buio, vestiti di led bianchi. Una scena surreale davvero indimenticabile.
I ritmi electrokraut anni settanta tramutano e si deformano assumendo le sembianze dell’intro di Deutschland e inquietanti luci rosse escono dalle tenebre insieme alla potenza del brano che fa letteralmente vibrare lo stadio: E’ l’inizio dell’Armageddon.
Una dietro l’altra, perfette e senza respiro, passano Mein Teil, Du Hast e Ich Will.
Calderoni in cui viene cucinato il tastierista mediante l’uso di uno, due, addirittura tre lanciafiamme, effetti visivi e luminosi da coma irreversibile e infine la fuoriuscita di fiamme alte quindici metri da ogni angolo dello stadio. Ad ogni vampata un calore infernale assale la faccia e fa sobbollire lo spirito, già ardentemente infoiato dalle vibrazioni stellari di un’antologia sonora eccezionale.
Lacrimano gli occhi in mezzo al fumo nero e tra i bagliori del fuoco.
Infine, esplosioni di fuochi d’artificio che probabilmente avranno visto e sentito a venti chilometri di distanza.

Il Maestro di Cerimonie Till Lindemann, dalla voce tetra e baritonale, incanta il pubblico con una performance tedesca davvero “Sturm und Drang” e stupisce con maestria negli effetti pirotecnici (un classico intramontabile)


Breve pausa per poi ricominciare con altri estratti dal nuovo disco, tra cui la validissima “Angst”, un pezzo davvero bello e ispirato, cattivissimo e iconoclasta ma anche nuovo e fresco, per poi tornare sui grandi classici e colpire l’anima di tutti gli appassionati presenti: sentire Mutter dal vivo, con solo il suono delle tastiere, è da brividi, così come lasciarsi trasportare dalla potenza di Links 1,2,3,4 e Mein Land. Dopo qualche minuto di silenzio e di ipnotizzante ambient in puro stile berlinese, emerge il gran finale con “Sonne”, che lascia davvero ammutoliti. Il cantante Till Lindemann equipaggiato di ali da angelo e armato di un arco infuocato trascina tutti nell’abisso della misantropia e recita vero teatro dell’arte, riassumendo un’intera filosofia drammaturgica teutonica in quattro memorabili e immortali minuti.
La fine è sancita da forse la più fragorosa esplosione mai registrata durante un concerto. La luce è accecante, le fiamme si levano più alte che mai, oltre la copertura della Groupama Arena. Tutta Europa è conquistata.

Richard Kruspe (il fondatore dei Rammstein) e Paul Lander, chitarristi della band dediti a gag irresistibili

Se c’è qualcosa di negativo da segnalare – e sinceramente l’esperienza è stata talmente avvolgente che ci vuole davvero un grande sforzo di oggettività critica per trovare delle pecche – la possiamo trovare nelle stesse caratteristiche che ne hanno sancito il gran successo: l’esagerazione, in fin dei conti, risulta speculare, un’arma a doppio taglio.
Anzitutto il volume: i suoni sparati dai Rammstein per questo tour rappresentano probabilmente un record assoluto di potenza. Ciò da un lato esalta il pubblico che sente “battere” dentro di sé il ritmo travolgente della band tedesca, così come crea i presupposti per un’esperienza davvero scioccante per le orecchie e per il cervello, ma dall’altro il gran caos satura l’udito e penalizza la qualità del suono, che esce impastato, dai toni bassissimi, e mal congegnato. Si perdono molti spaccati di chitarra, si sente poco e male Lindemann che canta con eccessiva eco, si arriva solo a “percepire” che la canzone “è proprio quella”, solo e soltanto perché la si conosce e se ne distingue il ritmo. La batteria – specialmente la gran cassa – e il basso, raggiungono picchi davvero poco sopportabili, che nel casino generale appaiono comunque esaltanti, proprio perché stordiscono e devastano, senza lasciare spazio ai compromessi.
Infine la necessità di promuovere “Zeit” ha impedito a chi non è un fan accanito di ascoltare una gran quantità di classici che avrebbero certamente “gasato” anche l’ascoltatore meno acculturato in materia. Ma sinceramente, anche loro dovranno pur campare, e un disco appena uscito necessita di essere “pompato” a dovere, portando sul palco perlomeno sette o otto pezzi da sottoporre al proprio pubblico pagante.

56 Tir necessari ad allestire uno dei palchi più grandi e sofisticati del Mondo


In definitiva, l’esagerazione di uno spettacolo teatrale senza tempo e senza precedenti ha stimpanato e frastornato sessantamila persone in un sabato notte ventoso in cui niente è stato lasciato al caso. Un portento visivo, uno show memorabile; la dimostrazione effettiva e lampante che c’è e ci sarà sempre bisogno di LIVE nel mondo della musica. Musica con l’anima.

P.S.
Io ve lo ripeto: mai sentito un volume così.

Michele Simonetti