Ricostruire il futuro

“Io valgo” non è una pubblicità di un prodotto di bellezza, quanto piuttosto il punto di arrivo di un percorso rieducativo e riabilitativo. Stiamo parlando di quello che accade all’interno di un Istituto penale per minorenni, comunemente chiamato carcere minorile. Abbiamo fatto un viaggio all’interno di uno dei 21 Istituti presenti in Italia per cercare di capire cosa si faccia per i ragazzi arrestati dopo aver commesso un reato, quello di Caltanissetta, accompagnati dal suo direttore, Girolamo Monaco che ci ha raccontato per filo e per segno come funziona il processo rialibilitativo.

L’esterno del carcere minorile di Caltanissetta

Ricordiamo che in Italia ci sono 21 di queste strutture, delle quali 4 sono ubicate in Sicilia (due grandi, con una capienza di 30 persone, a Palermo e Catania), 3 sono femminili e si trovano a Napoli, Pontremoli e Roma. A Milano c’è un Istituto piuttosto grande, che ha una capienza di 40 persone ma di queste la maggior parte sono straniere, mentre nella struttura di Caltanissetta che attualmente ospita 10 ragazzi c’è un solo straniero. Con la riforma degli anni Novanta se un minorenne commette un reato permane in queste strutture fino al compimento del 25esimo anno d’età. “Del resto l’adolescenza è un periodo lungo e sappiamo bene come i concetti in proposito siano cambiati” ci ha detto Monaco parlando di Giustizia riparativa, atta cioè a riparare il danno compiuto da questi ragazzi.

In passato si pensava che una volta entrati nel tunnel criminoso non ci fosse uscita o quasi, il destino di questi ragazzi sembrava segnato. Oggi non è più così, è profondamente cambiato l’approccio con il quale si cerca di riabilitare i minori, insegnando loro un’attività (mandandoli a scuola per esempio) e al contempo insegnando loro ad elaborare un pensiero su ciò che è accaduto e sulle motivazioni che hanno spinto al reato. “Il futuro si ricostruire a partire dall’elaborazione di ciò che è accaduto – continua Monaco – cercando di stimolare anche l’empatia verso la vittima (per esempio una donna anziana scippata) e di comprendere le motivazioni che hanno spinto al gesto criminoso”. Spesso si tratta di disperazione, ma il punto centrale è che bisogna uscire anche dal giudizio della società sul minore ecco quindi le attività che convergono verso quel “io valgo” perché è importante per il ragazzo comprendere che non è il giudizio della società ciò che ci definisce, quanto piuttosto le nostre azioni.

L’interno del carcere minorile di Caltanissetta

Del resto anche l’utenza è profondamente cambiata con il tempo. Ed è fondamentale che questi Istituti siano piccoli, come capienza, per poter agire meglio. “Con i piccoli numeri riusciamo a lavorare con risultati più soddisfacenti” prosegue il direttore dell’Istituto di Caltanissetta. L’iter è tipico, facciamo l’esempio di un 15enne denunciato per spaccio. Il ragazzo trascorre fino  72 ore in quello che viene chiamato Centro di prima accoglienza e questo periodo serve per comprendere cosa ci sia da fare affinchè il minore possa essere riabilitato e per capire le motivazioni che lo hanno spinto al reato. Dopo di che la pena sarà scontata nel carcere minorile dove l’equipe del trattamento, formata da un educatore, uno psicologo e l’assistente sociale, opereranno in favore del ragazzo attraverso un Pei (progetto educativo individualizzato) che sarà riferito al Magistrato di sorveglianza il quale definirà la tempistica e l’ipotesi di uscita dal circuito.

Bisogna comunque considerare che il carcere rimane sempre l’ultima spiaggia, cioè è una misura utilizzata solo per reati gravi o per recidive. Solitamente si cerca sempre una misura alternativa che va dalla permanenza di casa (una sorta di arresti domiciliari) al collocamento in comunità. E se comunque il minore finisce in carcere, potrà contare sui progetti educativi. Ce ne sono diversi, tipo “I pupi antimafia” realizzati con un puparo e che vedono la sostituzione dell’eroe-cavaliere (orlando) con un’eroe dei nostri tempi (Giovanni Falcone per esempio) che si contrapporrà a don Pino Puglisi. Ma ancora di più, ci sono i laboratori di scrittura, come ci racconta Monaco: “bisogna considerare che in carcere non c’è mai silenzio, mentre quando facciamo questi laboratori c’è un silenzio che ha del sacro”. I ragazzi scrivono e leggono, possono dedicarsi a lettere o racconti della propria giornata o del primo arresto. E rimangono silenziosi anche quando si leggono i racconti dei compagni con l’unico punto fermo di sospendere qualsiasi giudizio. L’educazione così diventa speranza di un futuro e di un mondo migliore.

Bianca Folino