Sambuchi, alberi sacri

Spesso vagabondando nelle vallate alpine ho notato accanto agli orti e alle abitazioni alberelli di sambuco, non di grandi dimensioni, ma discreti e ubicati negli angoli meno illuminati dal sole, dove gli altri vegetali trovano difficoltà a svilupparsi. Scriverò quindi questa piccola nota per fornire alcune curiose notizie su questi silenziosi esseri.

Si può affermare che i Sambuchi siano alberi sacri, non solo perché i Druidi, antichi sacerdoti celtici, li ritenessero alberi dell’inizio e della fine della vita, ma perché in tutte le popolazioni nordiche il sambuco viene considerato la dimora dell’invisibile buon spirito e custode della casa. Non esiste fattoria o cascina che nelle sue vicinanze non ospiti un Sambuco, solitamente carico di frutti. Si ritiene che bere il suo “vino”, o meglio la bevanda che si prepara con l’infuso delle sue bacche, permetta di vedere le fate e se bevuto con una di queste, dallo stesso calice, si possa diventare magici. Nella nostra Valle i Druidi, come li conosciamo, non sono sicuro possano essere esistiti, quindi non posso dire che, nelle vicinanza del Sambuco venissero praticati culti esoterici, come maledire o consacrare persone. Vorrei essere tanto fortunato da poter comunicare con tali creature e che la mia casa potesse godere di un’assicurazione “contra maleficum” garantita da questo magnifico albero.

Un amico botanico nordico mi ha raccontato che nella sua terra, la Finlandia, è abitudine inchinarsi sette volte di fronte ad un vecchio sambuco, perché sette sono i doni che ci offre: fiori, germogli, corteccia, foglie, midollo del legno, radici e bacche. Mi ha riferito che questo gesto “scaramantico” protegge dai cattivi pensieri e dall’invidia. Sostiene, convinto, che Elfi, Folletti e Fate non accendono fuochi con il legno di sambuco, sarebbe una grave offesa verso l’albero, questo potrebbe scatenare le forze maligne, dalle quali ci si può proteggere con bacchette magiche, fatte fin dai tempi più antichi, con lo stesso legno. Se svuotati, i rami del sambuco possono essere utilizzati come flauti. Essi, come le bacchette magiche, hanno la facoltà di proteggere dagli spiriti maligni. Alla grande dea Holla, la buona e saggia madre, riportata dai fratelli Grimm in una delle loro favole, era dedicato l’albero del sambuco, in antico tedesco “holun tar”. Essa invitava il re degli Elfi presso la sua corte nelle notti d’estate per deporre dolci e latte ai piedi dell’albero. Secondo antiche credenze il profumo dei fiori si diceva portasse nell’altro mondo e dormire sotto le sue fronde poteva voler dire non svegliarsi più: l’anima sarebbe stata rapita dalle creature fatate e non sarebbe più tornata ad abitare il corpo, abbandonato al sonno eterno.

Era usanza, presso gli antichi germanici, ed altri popoli nordici, seppellire i loro morti sotto quest’albero affinché potessero raggiungere facilmente la porta della morte per l’aldilà. Nel Tirolo la bara, durante il funerale, era preceduta da una croce di legno di sambuco. Al termine della cerimonia la stessa veniva piantata sulla tomba. Maliziosamente, sostengo io, usavano il legno di sambuco perché più leggero da portare di quello di frassino o di quercia, ma questo è solo il mio umile pensiero. Dalla Russia mi è pervenuta notizia di una leggenda antichissima che racconta come le malattie mortali, impersonate da dodici vergini, provenissero dal mare per salire la montagna sacra ed avere conferma da tre anziani sambuchi che l’uomo, e gli altri esseri viventi, erano ancora mortali. Questa storia veniva narrata quando la popolazione era colpita da un’epidemia, e i contadini per tenere lontano il contagio tracciavano, con l’aratro, un solco attorno all’abitato per proteggerlo dagli spiriti maligni.

In Valle Camonica esistono sambuchi di tre specie: il sambuco nero (Sambucus nigra), il sambuco rosso (Sambucus racemosa) e l’ebbio (Sambucus ebulus). Il primo è il classico sambuco, comune lungo il fiume Oglio, dai fiori candidi e dai frutti neri, con il quale si possono preparare confetture. Il secondo ha fiori più verdastri e frutti rossi, cresce a quote elevate, in prossimità delle malghe e dei pascoli. Il terzo è una specie annuale, poco diffusa e particolarmente tossica. La si riconosce per non avere fusto legnoso e per l’odore sgradevole che emana.

Enzo Bona