Sinisa Mihajlovic è stato tra le figure più influenti nel panorama calcistico italiano degli ultimi 30 anni. Nato a Vukovar da madre croata e padre serbo, prima di arrivare in Italia ha giocato nella Vojvodina e poi nella Stella Rossa, con cui ha vinto una coppa dei campioni e una coppa intercontinentale. Indimenticabili le sue punizioni, con quel sinistro preciso e potente. Le sue qualità tecniche e fisiche. Il suo carattere indomito. E la sua naturale schiettezza, la sua genuinità, che da quando aveva intrapreso la carriera di allenatore non erano venute di certo meno. Un uomo che in molti sembravano ammirare. Forse anche perché era un uomo rimasto tale, nonostante la fama. Un uomo che si è preso sempre il diritto e la libertà di dire ciò che pensava. A differenza di molti altri, servi delle dinamiche di falsità – e a volte omertà – imposte tacitamente dallo star system. Molti ricordano Sinisa quindi per il suo carattere forte, e per essere stato ovviamente un grande calciatore. Pochi però hanno voluto ricordare cosa Mihajlovic pensasse di quello che era successo in Jugoslavia negli anni ’90, ossia la guerra civile. A riguardo, risultò molto interessante un’intervista del 2009.
Sinisa si definì un grande estimatore di Tito, per quasi trent’anni rimasto a capo della Repubblica Jugoslava. Non volle parlare delle atrocità commesse da Milosevic e dai serbi, ma disse però che anche i croati ne commettevano. Nel 1991, a Vukovar (dove la maggior parte erano di origine croata) c’era la caccia al serbo. Sinisa poi si soffermò sulle atrocità commesse dalla NATO e dagli americani. Disse di non sopportare gli yankee, e che in Jugoslavia avevano lasciato solo morte e distruzione. E poi, abbandono. Nessun aiuto era mai arrivato da parte loro. Sinisa disse che per anni i bambini e gli animali nascevano con malformazioni genetiche, a causa delle bombe e dell’uranio che gli americani avevano buttato in terra jugoslava. Gli venne poi chiesto se fosse nazionalista, e disse di non essere di certo un fascista, come alcuni dicevano. Disse di amare la sua terra, la sua nazione, e che se questo voleva dire essere nazionalista, allora lo era. Parlò pure di Arkan, un serbo capo degli ultras della Stella Rossa e suo amico. Ma anche responsabile di crimini di guerra. Sinisa gli dedicò un necrologio, e disse che mai avrebbe potuto tradire un amico.
È doveroso infine citare l’ultima domanda apparsa nell’intervista, e la risposta emblematica di Mihajlovic. Che rappresenta senz’altro uno schiaffo alla mala informazione, e un esempio di come a volte la realtà venga distorta dai mass media, solo per sottostare alle regole del cosiddetto “pensiero unico”. Che tende sempre a dividere in modo dicotomico la società, tra i fautori del bene e quelli del male. Tra chi ha colpe e chi non ne ha. Tra i buoni e i cattivi. “L’immagine peggiore che hai della guerra? – Giocavo nella Lazio. Apro Il Messaggero e vedo una foto con due cadaveri. La didascalia diceva: due croati uccisi dai cecchini serbi. Uno aveva una pallottola in fronte. Era un mio caro amico, serbo. Lì ho capito, su di noi hanno raccontato tante cose. Troppe non vere “. E Sinisa aveva, almeno in parte, ragione.
Link dell’articolo https://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/rossoblu/2009/23-marzo-2009/mihajlovic-vi-racconto-mia-serbia–prima-bombardata-poi-abbandonata-1501110975607.shtml
Davide Bernardin