Sliding doors

“Sliding doors”, è questo il titolo del secondo volume di Poesie di Franco Rizzi, volume con il quale è entrato a far parte della famiglia PlaceBook Publishing & Writer Agency. Il volume, “Frammenti di pensieri”  era stato pubblicato da GR. Edizioni di Besana in Brianza nel 2016. 

Franco Rizzi nasce a Milano il 12 agosto 1939 e risiede a Carate Brianza in provincia di Monza e Brianza. A 19 anni interrompe gli studi, per dedicarsi all’attivitĂ  lavorativa e formarsi una famiglia. 

Autore di diversi racconti, ha curato importanti volumi di carattere storico, sul mondo del Credito Cooperativo e della Cooperazione in genere. Per il volume “Alle radici del presente”, edito da Bellavite Editore in Missaglia, ha curato le vicende caratesi del novecento. L’ultimo dei suoi volumi, sulla storia delle Società Operaie di Mutuo Soccorso, è stato presentato nel Salone Pirelli della Regione Lombardia il 29 aprile 2022 alla presenza dell’assessore alla Cultura Stefano Bruno Galli e, in video conferenza, del Presidente della Regione Attilio Fontana. Proponiamo ai lettori una sua breve intervista.

Questa veste di storico però mi pare non rappresenti il tuo habitat naturale. Presentati ai lettori di Kukaos Magazine: chi è in realtà Franco Rizzi?

In effetti, nello scrivere questi volumi di carattere storico sono stato coinvolto, o mi sono lasciato coinvolgere, senza una mia precisa volontà. Mi è stato chiesto e io ho accettato, senza rendermi conto del tempo che avrei dovuto trascorrere negli archivi, nelle biblioteche o nel decifrare registri di fine ottocento scritti in un misto di italiano e di dialetto. Comunque anche questa è stata un’esperienza positiva che mi sono messo alle spalle.

Bene, mi chiedi di presentarmi, cosa non semplicissima. Quando iniziavo i corsi di Poesia all’Università della Terza Età, agli studenti che mi chiamavano Professore, provocavo sconcerto dicendo che io ero fondamentalmente un metalmeccanico.

Ho iniziato alla Face Standard di viale Bodio a Milano, dove calcolavo i lotti economici dei vari prodotti e poi per 35 anni ho fatto il Purchasing Manager, un parolone per dire che ho fatto il Responsabile del Servizio Acquisti presso importanti aziende meccaniche ed elettromeccaniche. Un po’ Metalmeccanico però sono rimasto, anche quando ho iniziato per hobby a fare il giornalista.

Dove hai iniziato a fare questa esperienza?

L’occasione mi è stata offerta da un amico, Giovanni Santambrogio, futuro responsabile della pagina culturale de Il Sole 24ore, il quale aveva avuto l’incarico di promuovere il quotidiano L’Ordine della Brianza, come estensione de L’Ordine di Como, di matrice cattolica, il più vecchio giornale italiano. Con me c’erano i due fratelli Losa, Luigi e Maurizio, Luigi Santambrogio, Emiliano Ronzoni, futuro portavoce del Sindaco di Milano e molti altri. La redazione era a Seregno, ma tutto gravitava su Como, dove tutto quello che producevamo passava al vaglio del Direttore Gigi De Fabiani, maestro di tanti giovani giornalisti cui concedeva la sua incondizionata fiducia.

Quanto è durata questa esperienza?

Pochissimo. Un anno o poco più. Successe infatti che Paolo VI decise di lanciare un quotidiano cattolico a livello nazionale, L’Avvenire. Serviva uno sforzo comune di tutte le diocesi: lui chiese ed ottenne che chiudessero tutte le testate cattoliche più piccole a livello regionale o provinciale, compreso L’Italia a Milano. E così finì anche la nostra avventura.

Ma tu non ti sei fermato…

No, ho iniziato a collaborare gratuitamente per il Cittadino di Monza. Per alcuni anni mandavo una serie di articoli che venivano regolarmente pubblicati, senza che io avessi mai conosciuto né la redazione centrale, né tanto meno il Direttore. Pubblicavano senza commenti, sia che si trattasse di politica locale, che di eventi culturali: rassegne, mostre, incontri. Poi sono stato chiamato al settimanale L’Esagono dall’amico Roberto Isella, che mi ha offerto l’incarico di redattore.

Ma noi ci siamo incontrati al Cittadino…

Sì, nel 1995 ho fatto ritorno al Cittadino come responsabile dell’Alta Brianza, praticamente la Brianza Nord, escluso Seregno che aveva una propria redazione. Due concomitanze hanno favorito il mio ritorno: il fatto che io fossi andato in pensione e avessi terminato l’attivitĂ  lavorativa. E, secondo, il fatto che Direttore de Il Cittadino fosse diventato Luigi Losa, con cui avevo collaborato a L’Ordine e con il quale ero in stretto contatto nel Gruppo Giornalisti della Brianza, gruppo del quale lui era presidente. Ora, tra l’altro, ero ufficialmente giornalista pubblicista. 

Com’è nata la passione per la scrittura?

Non saprei dire. Certo è che scrivere mi è sempre piaciuto, forse merito di una inflessibile maestra che insisteva molto sui temi e sulla coniugazione dei verbi. In quinta elementare ho partecipato a un concorso che aveva come tema “Il grande Torino”, la cui avventura era tragicamente finita sulle colline di Superga. Il mio componimento vinse la fase di Circolo, poi quella provinciale e, in fine, risultò vincitore a livello Regionale. La storia dei “granata” mi aveva preso molto, ma non ho mai capito se il mio fosse veramente un buon lavoro o se, invece, i riconoscimenti non dipendessero dal fatto che mio padre era il Direttore didattico. Alle Medie, miei articoli vennero pubblicati sul mensile della parrocchia, organo del quale oggi sono uno dei più fedeli redattori.

E la passione per la poesia?

Quella è nata nei due anni del Ginnasio. Ero innamorato delle Odi Barbare del Carducci, di due in particolare: Alle fonti del Clitunno e Miramar.  Avevo un bellissimo testo, una sorta di opera omnia, ma alla fine mi ritrovavo sempre su quelle pagine. Le declamavo a memoria e mi illuminavo d’immenso, come avrebbe detto un altro grande poeta.Poi al liceo, in occasione di una gita sul Garda, ho conosciuto due librai. Il primo, a Sirmione, mi ha consigliato i Canti di Catullo tradotti da Quasimodo e l’altro a Salò che, vedendomi con il naso schiacciato contro la vetrina, mi fece entrare nel negozio e mi mise tra le mani due libri. Il primo con le poesie di Federico Garcia Lorca, l’altro con quelle di Cesare Pavese che era da poco scomparso.  Davvero fu amore a prima vista. Di questo fatto del Garda e dei due librai, che hanno influito sui miei orientamenti, parlo in un mio racconto, in cui il protagonista è un libraio che poi diventerĂ  Sindaco e Onorevole del Parlamento italiano. 

Come hai scelto il titolo di questa raccolta?

Curiosità legittima. Per dire la verità non c’è una ragione precisa o uno stretto legame con i testi. E’ la scritta che vedevo ad Alassio ogni volta che rientravo dal lato posteriore dell’Hotel Aida dopo una passeggiata sino al porto o una camminata più impegnativa sino a Laigueglia o lungo la strada romana che unisce Alassio ad Albenga.

Detta in italiano, Porte scorrevoli, mi sembrava non avesse la stessa forza o la stessa comunicabilità per rendere l’idea che il lettore potesse entrare con facilità dentro il vissuto dei miei testi. Poi, in aggiunta, ho inserito la foto di Doretta De Paoli, professionista dell’immagine, con il portone chiuso e ben serrato per giusta contrapposizione. Volevo far intendere che, dentro quel vissuto, non tutto è stato facile, apparentemente gratuito o scontato e come, accanto ai momenti felici della vita, ci siano anche quelli di dolore e di fatica…

Quindi, porte scorrevoli, ma sino a un certo punto… 

L’editore non ha obiettato e ha accettato la mia proposta.

Una piccola venatura di inglesismo…

No, veramente. Non c’è alcuna ambizione di internazionalità, anche se nel volume c’è una poesia in francese e alcuni titoli nelle diverse lingue europee per sottolineare i luoghi in cui quella particolare emozione era nata (Canarie piuttosto che Sciaffusa, ecc.) o un particolare momento e una particolare situazione.

Sto lavorando su un’antologia di racconti dove il titolo avrebbe dovuto essere Caution wet floor, la scritta che trovavo al San Gerardo ogni volta che rientravo in camera dopo un cardiogramma o un’ecografia. Poi è stato cambiato, perché a mia moglie e ai nipoti non è piaciuto.

Ci sono autori che ti hanno ispirato?

Molti. Ne cito solo alcuni: sicuramente Whitman e, di conseguenza Pavese e la Pivano che lo hanno tradotto e reinventato, facendoci conoscere quel tipo di poesia prosa che anch’io sperimento. Poi Garcia Lorca e Vivian Lamarque. In particolare però, uno su tutti, Padre David Maria Turoldo, il poeta che ha riempito di emozioni il mio cuore adulto, facendo vibrare e tenendo accese anche le corde della fede pur dentro un mare di dubbi e di esitazioni.

Per anni hai tenuto lezioni all’Università della terza età di Carate, di Muggiò e in quella del Parco della Valle del Lambro a Triuggio, tutte località in provincia di Monza e Brianza. Quanto i tuoi studi influenzano i tuoi versi?

Sicuramente molto, anche se ho sempre cercato di tenere divise le due cose, intendo lo scrivere e l’insegnamento che è durato più di vent’anni. Quando insegni ti concentri su un determinato poeta e cerchi di portare in luce ogni aspetto della sua poesia. E’ inevitabile che le cose che più ti coinvolgono, non solo emotivamente, ma anche sul piano stilistico e formale, ti restino addosso: un semplice termine, un verso, un incipit, una situazione poetica, un richiamo al classicismo ecc.

Negli ultimi anni, avevo tenuto un corso biennale sulla Poesia d’amore nelle varie epoche, a partire da quella antichissima cinese sino al Cantico dei cantici, per risalire ai lirici greci e a quelli latini e poi Dante, Petrarca, sino ai poeti maledetti per arrivare ai contemporanei. E’ stato un ripasso che mi è servito molto, perché in due anni ho, ma dovrei dire abbiamo, approfondito, rivivendolo, quanto di meglio si è prodotto in campo letterario. 

 

Nel tuo volume, molte tematiche riguardano l’attualità che stai vivendo o quello che vedi: quanto la tua passata esperienza di cronista entra nei tuoi versi?

Premetto che in molti casi la mia è una poesia prosa lontana dalla metrica, lontana dalla linearitĂ  compositiva, in molti casi avversa a qualsiasi forma prestabilita, sia nella lunghezza dei versi che in quella dei testi. In altri c’è dell’ironia, in altri ancora della cronaca. PiĂą che l’esperienza direi la curiositĂ  del cronista, che mi spinge ad indagare prima e a commentare poi. Nel testo puoi trovare, per esempio, gli anni di piombo del ’78, Norcia ferita dal terremoto, la vicenda del Tupolev con a bordo il Coro dell’Armata rossa precipitato nella notte di Natale del 2016, la vicenda dei morti sul treno 10952 del gennaio 2018, la guerra in Ucraina o, per finire, la morte crudele di Giulia Cecchettin. Sono fatti di cronaca che io racconto cercando di dare al cronista voce poetica.   

Parli anche di viaggi, ma in fondo anche di amore per ciò che vedi e per le persone che ti sono accanto… ma anche incontri e appuntamenti familiari

I viaggi raccontano, descrivono: Petra, Konya, Gran Canaria, ma anche luoghi piĂą vicini a noi come il lago di Sartirana nel lecchese o Alassio e il suo mare invernale.

 In molte mie poesie, però, anche in quelle dei viaggi, interagiscono sempre un io e un tu che – colloquiando tra loro e interrogandosi – tendono a trasformarsi in un Noi.

Su tutto prevale la voglia di mettere in scena episodi tratti dalla quotidianità della vita di ogni giorno. In alcuni testi, è presente l’elemento religioso, con allusioni più o meno evidenti alle domande e risposte che danno senso alla vita.

In altri casi gioco con le allocuzioni “Poi…, all’improvviso”, che mi servono per aprire nuovi scenari oltre che per dare al testo una cadenza temporale.

L’uso della congiunzione avversativa “invece” mi serve per introdurre qualcosa che ci mette in discussione e ci giudica. 

Tu scrivi anche racconti, ti ritrovi piĂą nella scrittura poetica o in quella in prosa?

Scrivo. Non faccio grande differenza. Con il passare degli anni la poesia è diventata più immediata. Un foglio di carta e una matita sempre a portata di mano. Registro le impressioni, poi con calma lavoro sull’aspetto formale e sulla proprietà dei termini. Devo dire che non modifico molto e che, quando modifico, corro il rischio di peggiorare. Il racconto mi è diventato più faticoso da quando nei vari concorsi hanno imposto il limite delle 12.000 o 16.000 battute. Questo mi ha tolto spontaneità e mi ha impedito di lavorare, sviluppandola, sulla personalità dei vari personaggi. Ultimamente mi sono capitate storie interessanti da scrivere, ma non sempre le ho sviluppate perché non sono riuscito ad entrare dentro la psicologia, a volte malata, delle diverse figure.

Progetti letterari futuri?

Come dicevo all’inizio, sto lavorando su un’antologia che raggruppi tutti i racconti che sono stati finalisti o premiati nei vari concorsi, da aggiungere a quelli pubblicati singolarmente nelle classiche antologie AA.VV.

Dato che sarà l’ultimo volume, sto rivisitando una serie di appunti che dovrebbero portare a una decina di nuovi racconti. Pensavo di concludere in estate, ma il tempo è volato e ho combinato poco anche perché devo uniformare i testi e il discorso diretto/indiretto alle regole imposte dall’Editore. Il titolo sarà probabilmente Graffiti nel tempo e in copertina vorrei mettere la foto della casa disabitata di mio nonno con un immenso glicine che si sta divorando la facciata anteriore.

Non hai mai pensato a un romanzo?

Sì, ne ho scritto anche alcuni capitoli. Si tratta di un romanzo autobiografico, il cui titolo dovrebbe essere “Esami di (im)maturità”, basato su un’adolescenza problematica e su un mio insuccesso scolastico.

Mi sono fermato diverse volte di fronte a una scelta difficile: parlare in prima persona o raccontare con piĂą distacco in terza?

In ogni caso, la sofferenza del tirar fuori e dello scavare nel profondo è troppo grande. Penso proprio di non farcela a completare il lavoro…

Bianca Folino (con la partecipazione attiva di Franco Rizzi)