Solitudini digitali

Un selfie e via. Siamo veramente convinti che basti un like a dar senso alle nostre vite? E l’Intelligenza Artificiale ci salverà dalla solitudine digitale che ogni giorno sembra diventare sempre più profonda, come un baratro dal quale non riusciamo proprio ad emergere? Queste e altre domande, rigorosamente lasciate senza risposta, sembra porsi Alberto Barina nel suo ultimo lavoro poetico targato PlaceBook publishing & Writer Agency. Un progetto particolare per la collana “Ippocampi” dove le parole lasciano spazio anche alle immagini che in un certo senso fanno da cornice allo scritto. La fanopea è padrona assoluta anche se scivola nella logopea, quasi fosse uno strumento di quest’ultima. Sono infatti i concetti, la denuncia in particolare, ad essere i protagonisti di questi versi di Barina che non ha certo bisogno di presentazioni. Conosciuto non solo come editor delle collane di poesia della PlaceBook, ma anche come poeta inserito in Wikipoesia, Barina non ama le biografie, più precisamente le ritiene un materiale fluido che cambia continuamente, come noi stessi facciamo seguendo la linea temporale. E questa raccolta sembra essere il giusto prosieguo della precedente “Fragile Dis-umanità”, solo che se in questa c’era ancora un barlume di speranza, in “C.I.P.” non c’è spazio se non per la fotografia di un reale deludente, dove l’umanità sembra persa per sempre, in una digitalizzazione che ci sta trasformando in qualcosa che non è affatto umano. La denuncia diventa urlo che fa superare l’usuale timidezza di Barina che, se solitamente parla a bassa voce, in questi versi vorrebbe dare uno scrollone alle persone affinché aprano finalmente gli occhi sulla vacuità che stiamo vivendo. Solo una piccola parentesi di malinconia è concessa per la musicista Susanna Parigi, amica del poeta e scomparsa troppo presto. Il mondo intero ne sente la mancanza e con esso anche Barina che le dedica una poesia, del resto si sente sempre la mancanza di tutto ciò che ci ricorda un tempo in cui c’era spazio per l’amicizia e l’amore, per il contatto, per tutto ciò che di squisitamente prezioso e umano, imperfetto forse ma ricco di luce, eravamo un tempo. Lo stile poetico è quello conosciuto a chi ha già letto e apprezzato i lavori del poeta, uno stile a volte asciutto dove le immagini descrivono ampiamente, quasi fossero esse gli stessi occhi di Barina, quello che il poeta vede. Lasciamo al lettore, che come di consueto potrà trovare questo libro su Amazon o sul sito della PlaceBook, l’interpretazione del titolo.

 Cosa pensi di questi tempi che stiamo vivendo?

Cosa posso pensare quando, ad esempio, con la morte della mia cara amica Susanna Parigi (a cui come sai questo mio nuovo progetto di poesie e testi è dedicato più o meno direttamente), ho assistito “alla nascita” di numerosi “articoli”, di “testate giornaliste” (epseudo-blog del “menga”), che pur di creare “la curiosità”, il like, il link, attorno alla sua scomparsa e darne notizia, hanno creato “articoli” in cui tentavano di giustificare la sua morte (senza saperne niente), corredando il tutto con squallide immagini fotomontaggi (per altro del tutto dozzinali), dove la stessa Susanna appariva distesa su una bara (sono arrivati a prendere la foto del volto di Susanna dalla copertina di un suo cd, “ritagliarlo” e  “incollarlo” su un corpo disteso su una bara). Cosa posso pensare? Cosa dovrei pensare ancora? I miei testi: “Sono on-line” e ancora di più “micro-C.I.P.” parlano di una parte di umanità totalmente alla deriva, nella quale non mi riconosco, in preda a selfie, like, follower, sound influencer spacciati per mirabolanti cantanti e che ignora, che non indaga, che non legge, non ascolta, non coltiva o sembra non coltivare più un proprio pensiero critico, e che si lascia totalmente vivere direi passivamente, quasi su ogni cosa, che delega tutto agli altri. Stiamo crescendo ormai da decenni diseducati alla bellezza, diseducati a provare e soprattutto ad esprimere, i propri sentimenti, che non siano quelli legati a bisogni primari e istintuali… e se sottrai e togli parole al vocabolario di uso quotidiano, come fai ad esprimerti? Come puoi esprimere l’amore, ma anche descrivere il disagio che stai provando? Un noto pubblicitario belga scrisse: “Nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma”. E poi, a proposito della musica, che è sempre una “potente educatrice”, benché sia stata relegata, in questi anni, quasi a puro intrattenimento “social”, Susanna ad esempio scriveva: “Non sarebbe il caso di fare qualche riflessione su NOI, sull’educazione che diamo ad esempio ai nostri figli, su quali messaggi accettiamo che vengano divulgati, attraverso certe canzoni per loro? Come mai non si scrivono post indignati sul perché le famiglie danno danaro ai figli per seguire certa spazzatura musicale? Non sarebbe il caso di parlare ai propri figli cercando di analizzare insieme a loro il senso delle parole che ascoltano? O le parole non contano niente? Il potere della musica, delle parole è immenso. Dovremmo fare estrema attenzione a cosa le persone che amiamo ascoltano, esattamente come facciamo attenzione a ciò che mangiano, perché ne va della salute mentale e fisica”. Crescere avendo la possibilità di ascoltare le canzoni di Fabrizio De Andrè, non è la stessa cosa di crescere ascoltando le canzoni di Sfera Ebbasta o dell’ultimo trapper concepito su Tik Tok.   

Cosa dovremmo fare secondo te per salvarci?

Domanda difficile, e non ho soluzioni in merito. Forse oggi sarebbe necessario almeno “fare un passo indietro”, per dirla ancora con la musica di Susanna Parigi “Forse è possibile”: “Dio, come sarebbe bello /invitare passo dopo passo/la nuova gente a un nuovo modo di considerare la sconfitta/A questa religione del successo,/ a questo pantomima del vincente/[… ]/ Forse è possibile/Pesare le parole/pronunciarle molto bene/perché ci si crede/oppure non parlare/[…]/Non è impossibile/uscire dalla guerra/rifiutare l’isteria dell’efficienza/fare un passo indietro/”. Fare un passo indietro sulla tipologia di vita che abbiamo permesso, e che in parte ci hanno “imposto”, tutta votata al denaro, ai bisogni primari, all’apparire perennemente belli e giovani, racchiusi spesso in corpi plastificati, o in enormi “scatole di latta” che corrono come missili ovunque, a scapito di uno stile di vita più sano, senza eccessi, con qualche emozione e sentimento in più, con una maggiore attenzione all’ambiente che ci circonda, chissà forse potrebbe essere già una piccola soluzione, una piccola salvezza. Nel libro ho scritto un testo che si intitola “Ci salverà un poeta”. Ma al momento non ne sono così sicuro.  

  

Come si sta al mondo sentendosi “estranei”?

Cioè tipo Gregor Samsa che si risveglia nel racconto di Franz Kafka, una mattina, tramutato in scarafaggio? A volte “l’estraneità” può per un poeta essere una condizione necessaria, vitale, ricercata ma, è anche vero che essere estranei, poeticamente parlando, potrebbe voler dire avere “una marcia in più”, avere una percezione più sottile e sensibile per raccontare e descrivere ciò che ci sta attorno, acutizzando il proprio sguardo “estraneo” sulle cose.Nella poesia che apre il mio libro: “Curriculum”, scrivo: “Io cerco appartenenza”, ed è proprio così, non solo in questa società presente ma anche e forse soprattutto in quello che ho vissuto, nei ricordi, nel passato. Credo che ciascuno di noi abbia bisogno di “punti fermi”, di “approdi sicuri” per sentirsi vivo, e ciascuno di noi li debba trovare nel presente oppure in ciò che ha vissuto e nel proprio bagaglio personale. E in questo cercare appartenenza c’è molta estraneità. 

E come si sopravvive?

Appunto è una sopravvivenza per lo più, non più un vivere. Nel momento in cui sottrai all’uomo la possibilità di essere circondato da bellezza, cultura, silenzio, musica, arte, natura, servizi efficienti dall’istruzione alla sanità, riduci l’uomo a sopravvivere in un mondo in cui ad un certo punto non si riconosce più… e torniamo sempre al concetto di estraneità e di appartenenza.

In questi nuovi versi sembri alzare il tono di voce su quello che vuoi dire…

Non lo so se alzo la voce ma, sicuramente, ho avvertito il bisogno, per dirla in maniera spiccia, di “poche parole ma di quelle giuste”, di poche poesie (infatti nel libro sono solo dieci), a costo di essere “impoetico”, come sono stato definito, ma non in senso spregiativo; necessariamente impoetico per “far capire le cose”, rinunciando a classicismi di linguaggio o a versi aulici. Quell’ “ignoro” ripetuto come un mantra, nella poesia, ad esempio, in fondo è la condizione in cui si vuol far precipitare l’uomo contemporaneo, perché, come si dice, se si mantiene un uomo nell’ignoranza, lo si può “manovrare” più facilmente, gli si può far credere ciò che si vuole e soprattutto difficilmente manifesterà sentimenti di ribellione. Gli si può far credere che le cose false possano essere vere e viceversa; è più facile “dargliela a bere” no? In pratica un uomo de-personalizzato.

Il senso di solitudine che emerge da questo libro e che sembra avvolgere l’umanità intera, che significato ha per te?

La solitudine vista come momento di riflessione, ma anche nel nostro essere uomini, sempre più soli, isolati, nonostante la società ci chiami ad essere iperconnessi, perennemente on-line, presenti. (Emblematica l’immagine di copertina del libro dove un uomo tenta un “volo” fuori dalla finestra a bordo di una sorta di barca volante ma è illuminato dallo schermo di un computer, nonostante la volta del cielo stellata, e difficilmente potrà staccarsi visto che il suo computer è collegato alla presa della corrente). “Il ramo asettico di un cuore incomunicabile” scrivo in un testo. Dove c’è incomunicabilità, o incapacità a comunicare nasce solitudine. Nel libro la solitudine è indotta appunto da una perdita, da una mancanza amicale, affettiva, materna o paterna che sia, ma anche dalla voracità del dover essere presente a tutti i costi per tutti, attraverso relazioni e interazioni on-line ma, che come si diceva, paradossalmente ci fanno sentire ugualmente “soli con noi stessi”, non riempiono alcun vuoto interiore. Consiglio la lettura di un bel libro “Una meravigliosa solitudine – L’arte di leggere nell’Europa Moderna” di Lina Bolzoni.

Ci si relaziona con gli oggetti nell’impossibilità di farlo con altre persone?

Suppongo tu ti riferisca al verso della poesia-testo in cui dico: “Mi confido con lo scolapiatti[…]”. Ovviamente è una provocazione ma, gli oggetti inanimati (casalinghi) sanno essere preziosi alleati… di confidenze: frigoriferi, lavatrici, frullatori, ferri da stiro, (che poi tanto inanimati non sono…), anzitutto, ti danno sempre ragione e non ti contraddicono mai (Eheheheheh!). Pensa che in una prima stesura del testo al posto dello scolapiatti, c’era la “plafoniera del bagno”…

Scherzi a parte, anche in questo caso è porre l’accento su come sia preferibile avere a che fare con un soprammobile piuttosto che cercare di capire persone totalmente prive di sensibilità ed empatia che magari per lavoro, studio o per qualsiasi altro motivo gravitano attorno alla tua vita. L’importante è saperle riconoscere e soprattutto prenderne le relative distanze.

Bianca Folino