Sovrumani silenzi

Ci sono incontri che sono fonte di creatività. Come quello tra Stefania Piras, conosciuta ai più come autrice di fiabe per bambini edite dalla Placebook Publishing & Writer Agency e Guido Cornia che nel gruppo Placebook è noto per i suoi “Retroscena della storia”. Insieme hanno deciso di scrivere un romanzo che da poco è entrato a far parte del catalogo Placebook con il titolo “Sovrumani silenzi”. Li abbiamo intervistati per i lettori di Kukaos.

Come è stata questa esperienza di scrittura a quattro mani?

Stefania: È stata una esperienza per me nuova, e sicuramente sorprendente.

Quando Guido mi ha proposto di collaborare alla scrittura di un libro, curando particolarmente le parti femminili, ho accettato, ma con scarse aspettative. Temevo di non riuscire ad adattare il mio modo di scrivere al suo, e ho chiarito che avremmo deciso in itinere se pubblicare o accantonare il progetto.

Avevamo una traccia, che ho letto con attenzione, ma abbiamo deciso di tratteggiare i personaggi in piena libertà, modificando la storia originaria e costruendoli come la nostra fantasia ci suggeriva. Non potendoci incontrare di persona, abbiamo comunicato attraverso la rete, scambiandoci idee e opinioni, e condividendo il materiale necessario per lavorare. Poi è iniziata quella che definiamo la nostra partita a scacchi. A turno inviavamo i vari papiri, scritti dai personaggi, fermandoci quando doveva scrivere l’altro, per poi continuare, e aspettare ancora. Così abbiamo costruito la storia sul momento, adattando vicendevolmente ciò che alla rilettura non si incastrava bene. La cosa più divertente e gratificante, per entrambi, è stato modificare a nostro piacimento la storia e la sorte dei personaggi, lasciando poi la palla all’altro, e in sostanza non conoscendo come il romanzo sarebbe terminato.

Ma è stato anche bellissimo rivivere gli stessi episodi con gli occhi di personaggi diversi, vedere gli avvenimenti da altre angolazioni, come in fondo capita realmente nella vita. Per poter scrivere le vicende di personaggi femminili anche molto lontani dal mio modo di essere, ho cercato di immedesimarmi nelle loro storie, nel bene e nel male. Beh, credo di esserci riuscita. A volte ho pianto scrivendo, sentendo il dolore sulla pelle, a volte ho amato profondamente, altre ho sentito rimpianto, nostalgia o rabbia. E tutto questo entrando dentro un tempo lontano e un luogo che non ho mai visto, viaggiando unicamente con la fantasia e mettendo nelle parole tutto ciò che potevo. Mi ha insegnato molto questa esperienza di scrittura.

Alla fine, posso solo dire che è stato un viaggio bellissimo.

Maria Stefania Piras

Guido: Non era la mia prima volta: nel 2009 avevo scritto con l’iraniano Parviz Parvizian La luce dell’ultimo giorno, per Gallo & Calzati, che poi vinse il primo premio al concorso Parole mute. Per coordinarci, Parviz e io ci riunivamo ogni sera. Per mesi. Sabati e festivi inclusi. Per Sovrumani silenzi questo non era possibile: io abito nel mezzo della pianura padana e Maria Stefania a Cagliari. Quando mi è venuto in mente di creare una struttura a più voci narranti, ho subito pensato che le parti femminili dovesse scriverle una donna. Della Piras, che ancora oggi non ho mai incontrato personalmente, mi aveva colpito la straordinaria fluidità narrativa. Incontrata durante una riunione d’autori della Placebook, le ho proposto la collaborazione, sicuro che ne avrebbe riso. Invece ha accettato, e la sua partecipazione ha fatto saltare l’impianto che avevo immaginato. Dopo esserci scambiati diversi campioni di scrittura, abbiamo iniziato una sorta di partita a scacchi in cui, a turno, davamo voce ad un personaggio. Oggi non saprei dire chi dei due ha deciso lo svolgersi della vicenda. C’era naturalmente una traccia di fondo, ma accadeva a volte che lei uccidesse qualcuno che io avrei nominato faraone o che io eleggessi Regina un personaggio che lei aveva deciso di uccidere. È stata un’esperienza incredibile. Vedevo crescere il romanzo quasi fosse scritto da un fantasma. Senza contare l’influenza che il suo stile travasava nei miei personaggi e forse il mio stile riversava sui suoi. Bellissimo. 

Guido Cornia

Perché questo titolo?

S: Il titolo l’ha proposto Guido, e a me è piaciuto subito. Adoro la poesia, e in particolare amo l’Infinito di Leopardi. È un titolo azzeccato, che richiama la bellezza del deserto, la grandezza di un cielo stellato e della natura. Suscita emozione, così come suscita emozione per me questo libro.

G: Questo romanzo era destinato a diventare il terzo episodio della serie Arcane rapsodie, progettata qualche anno fa. Accennai qualcosa di quel progetto proprio qui, a voi, durante un’intervista precedente. Durante un viaggio in Egitto mi sono trovato ad osservare il deserto. Un deserto pietroso, diverso da come lo immaginavo. Niente atmosfere sahariane, niente immense dune sabbiose. In quell’occasione, il pensiero mi è corso al verso leopardiano. Quella era la sensazione che il deserto mi dava. Quei sovrumani silenzi erano la sintesi di ciò che stavo osservando. Così è diventato il titolo del romanzo.

Da dove nasce la passione per l’antico Egitto?

S: Non sono mai stata in Egitto in verità, ma mi affascinano i luoghi ricchi di storia e mistero. Fin da bambina la storia egiziana mi ha colpito. Soprattutto mi sono sempre chiesta come sia stato possibile trasportare le pesantissime pietre per costruire le piramidi. Da ragazzina ho anche scritto un racconto, che purtroppo non ho più, il cui protagonista era uno schiavo che lavorava alla costruzione di una piramide. Attraverso le ricerche che Guido ha fatto, che abbiamo in parte condiviso, ho approfondito le mie conoscenze, e sicuramente mi è venuto il desiderio di saperne di più e di visitare presto l’Egitto.

G: Credo di non conoscere nessuno che non sia affascinato dall’antico Egitto. Da dove nasca, e soprattutto quando nasca la mia passione, davvero non lo so. È con me da sempre. È nell’inconscio collettivo. Ma certamente è diventato definitivo quando mi sono trovato davanti alle piramidi di Giza. Non mi viene in mente nient’altro che possa fissarsi per sempre nella memoria umana quanto quello spettacolo immane. La conoscenza arcana di quel popolo è qualcosa di istintivamente intuibile. Osservi un loro bassorilievo e ti pare di capire qualcosa che non sai definire. Memorizzi qualcosa che sai ti diverrà chiaro in futuro. È lo stesso meccanismo della musica: ascolti e sei certo di aver compreso qualcosa, anche se al momento non sapresti dire che cosa. Incantesimi. Magia. Forse poesia. Anzi certamente poesia. Malgrado questo, non ci siamo fermati all’intuito: i nomi delle città oggi non più esistenti, i difficilissimi nomi dei personaggi e le loro storie personali, le vicende storiche, la successione dei faraoni rapportati alla loro epoca precisa, i luoghi e l’epoca delle battaglie… Tutto è stato studiato confrontando decine di fonti accreditate. I nomi dell’antico Egitto hanno un significato preciso: Sinuhe, il protagonista, significa colui che è solo. Amoshe significa colei che vive nella malinconia, e così via. I nomi di tutti e ventidue i personaggi hanno un proprio significato che è stato rispettato, dando ad ognuno il temperamento indicatoci dal nome. E questo procedimento è stato applicato anche a un ventitreesimo personaggio, il gatto Tefnut. Tefnut traduce nuvola, oltre ad identificare la stessa Dea delle nuvole. E il gatto ha quel nome.

Ci sarà un seguito a questa storia?

S: No, ma non escludo di collaborare alla realizzazione di altre storie con Guido.

G: A questa storia in particolare no. Ci sarà un seguito delle Arcane rapsodie! Anzi cinque seguiti. Questo è il progetto. Come I retroscena della storia si muovevano nel tempo, con salti di secoli da uno all’altro, le Arcane rapsodie si muoveranno nello spazio. Tutte più o meno contemporanee, le cinque storie più un lungo proemio, saranno ambientate in luoghi diversi. La prossima si intitolerà Le tenebre dell’aedo, e si svolgerà tra la Grecia e l’Asia minore. Sono già iniziate le ricerche.

Avete già avuto qualche riscontro positivo?

S: Assolutamente sì, il romanzo ha suscitato grande interesse e curiosità. Molte persone che conosco lo hanno acquistato, e i commenti di chi l’ha già letto son stati più che positivi. Crediamo molto in questo libro, e speriamo che conquisti molti lettori, come ha conquistato noi.

G: Il romanzo è partito più forte di tutti gli altri miei precedenti. E il gradimento che ci testimoniano i lettori è altissimo. Siamo davvero felici. E il passaparola si è appena innescato.

Perché i lettori dovrebbero acquistare il vostro libro?

S: Perché non è un romanzo qualunque. Dietro la sua costruzione, c’è un lavoro di ricerca accurato, che traspare tra le righe.

La storia di Sinuhe l’Egiziano è molto antica, era conosciuta addirittura nell’antico Egitto.

A lei ci siamo ispirati, cambiandola e facendola nostra. Ma soprattutto abbiamo realizzato un libro formato da papiri e antiche iscrizioni, che si intrecciano l’una con l’altra. Il lettore, nel nostro progetto, diventa realmente protagonista, arrivando, come una persona ci ha detto, a non riuscire più a staccarsi dal libro.

Non ci si annoia leggendo i papiri, perché le vicende narrate con diverse voci acquistano sapori diversi.

Come è ovvio, l’ho riletto per intero diverse volte.

Sono di parte, ma molte pagine, che ormai so quasi a memoria, continuano ad emozionarmi.

G: Perché tratta argomenti interessanti e conosciuti solo superficialmente, e quando avranno letto l’ultima parola, sembrerà loro d’aver vissuto qualche giorno in quel mondo magico.

Perché parteciperanno alla costruzione della storia da protagonisti. La struttura è stata creata in questo modo perché il lettore si trasformi nell’archeologo che scopre i papiri. E sarà lui stesso a ordinarli come fossero tessere di un puzzle. La narrazione a molte voci è stata concepita a questo scopo.

E infine, pur sapendo di essere di parte, per la ragione principale: perché è bellissimo.  

Bianca Folino