Sull’orlo di un bicchiere screziato di rossetto

Si intitola “Sull’orlo di un bicchiere screziato di rossetto” la silloge poetica di Ester Gugliemino che entra così a far parte della famiglia della Placebook Publishing & Writer Agency. Gugliemino vive a Modica, sua città natale ed è una docente di lettere e latino presso il liceo di Modica. E’ sposata ed ha due figlie e da sempre coltiva la sua passione per la letteratura anche organizzando specifici eventi e partecipando ad alcune antologie corali di poesie e racconti. Oltre all’amore per la scrittura, che coltiva da sempre senza pretese, Guglielmino coltiva il suo interesse per il teatro. L’abbiamo intervistata per i lettori di Kukaos.

Raccontaci del titolo della tua silloge, come lo hai scelto?

In realtà, d’istinto. Come ho avuto modo di raccontare nella breve post-fazione che conclude la raccolta, quando iniziò la pandemia da Covid-19, col gruppo teatrale di cui facevo parte decidemmo di registrare dei brevi contributi video da cui si evincesse come fosse cambiata la nostra vita e quale fosse – in quel particolare frangente – il nostro stato d’animo. Erano i tempi spiazzanti del lock-down, delle strade vuote, dei primi traumatici approcci alle piattaforme digitali come drammatico surrogato alla vita reale, della sempre più triste – e purtroppo concreta – percezione che si fosse giunti a un momento di collasso epocale dalla nostra società. Io, nel mio breve contributo, dissi che mi pesava molto non fare un gesto naturale che tutte le donne fanno ogni mattina prima di uscire ossia mettere il rossetto. Infatti con la mascherina quel rossetto, ormai, non serviva più. E ancora oggi – a distanza di quasi tre anni –, sebbene si sia raggiunto un livello di consapevolezza (o forse solo di rassegnazione…) senza dubbio maggiore, credo che quel senso di incertezza e di malinconia sia rimasto in ognuno di noi. Per un numero sempre maggiore di donne – e purtroppo anche a causa di scenari che oltrepassano la pandemia e abbracciano contesti persino più gravi che vanno dalla guerra alla crisi economica e sociale – mettere il rossetto prima di uscire è rimasto un gesto desueto. Magari può sembrare un particolare di scarsa importanza, ma secondo me non lo è: mettere il rossetto, per ogni donna e in ogni circostanza, è volersi un po’ più di bene; è decidere con quale colore affrontare la vita, tutti i giorni; è ribadire la voglia di continuare a esserci, più per sé stesse che per gli altri (tant’è che molte donne quel rossetto hanno continuato a metterlo comunque, anche sotto la mascherina…). Credo che il periodo di crisi profonda che stiamo vivendo ci abbia insegnato che la vita rischia di diventare trasparente se non c’è un colore – banalmente, anche solo quello del proprio rossetto – da salvaguardare con amore e da guardare in controluce. E in fondo la scrittura non è che questo: il proprio colore, da salvaguardare con amore e guardare in controluce, nella speranza che anche gli altri in esso possano rispecchiarsi.

Cos’è per te la poesia?

Credo che la poesia debba essere e che sia soprattutto un’esperienza emozionale, sia per chi scrive che per chi legge. Un’esperienza emozionale complessa perché in essa, più che in ogni altro genere, significante e significato, forma e contenuto sono legati in modo indissolubile. Quante volte ci è capitato di sentire un brivido o di commuoverci alla lettura di una poesia di cui non abbiamo afferrato pienamente il senso? o magari di ritrovare in una poesia quell’anello mancante che ci induce a riconsiderare la nostra prospettiva delle cose? Ecco, ognuna di queste volte, il poeta ha raggiunto il suo scopo: aprire un varco emozionale tra il proprio modo di sentire e quello del suo lettore. Perché c’è sempre un ‘qualcosa’ di inatteso, di imprevisto, di imponderato nella scrittura poetica, e se il labor limae restituisce l’ars, è sempre il furor a fare la differenza, a restituire il senso profondo del poetare, spesso al di là delle sue stesse premesse e aspettative. Il poeta calcola, ma fino a un certo punto; il poeta scrive per qualcuno, ma in fondo non lo fa mai per nessuno. Risiede in questo il fascino più grande del comporre versi, in questo orizzonte di senso che resta sempre aperto e che riesce ad abbracciare le emozioni di tutti.

Ha ancora senso oggi scrivere poesie?

Penso che oggi più che mai ci sia bisogno di poesia, come in tutte le epoche che hanno smarrito il senso dell’etica e della bellezza. E infatti la poesia impera sui social (basti pensare al fenomeno degli Instagram Poets o alle tante seguitissime pagine web di poesia) e sorprende pure come tante persone, che non hanno alcuna dimestichezza col genere, leggano e condividano abitualmente poesia. La verità, a mio parere, è che – al di là della superficie patinata e falsa incollata sulle nostre vite – oggi c’è un grande bisogno di bellezza e di consolazione dall’esperienza del dolore che domina, a vario titolo, le nostre esistenze. Per questo è giusto chiedersi che cos’è ‘oggi’ la poesia e, soprattutto, quale tipo di poesia ‘oggi’ sia possibile. Non credo si possa ancora pensare ad una poesia armonica, limpida e rassicurante, né che si possa ancora guardare al poeta come a un dispensatore di messaggi illuminanti ed eterni. Sembra dura a morire, infatti, quella visione cristallizzata del genere che ingenuamente ritorna ancora nell’immaginario comune e che sa di immagini terse e tranquillizzanti, di belle parole rotonde e piene di grazia. La poesia del nostro tempo dovrebbe, invece, saper parlare a tutti, tendere più alla prosa che al verso, essere familiare ma mai banale. Essere ‘democratica’ insomma – perché non c’è dubbio che la letteratura abbia ormai perso la sua connotazione aristocratica e rarefatta – ma non diventare mai retorica o sciatta. C’è bisogno di una ‘democrazia di qualità’, anche nella cultura.

Tu parli direttamente al lettore, qual è il tuo lettore tipo?

Io non credo ci sia un lettore tipo, ogni forma di letteratura è condivisione. Nessun processo creativo – per quanto ovviamente si possa discutere sul suo valore intrinseco – nasce per essere autoreferenziale, nasce piuttosto per incontrare l’altro, per toccarlo in qualche modo. Le mie sono solo una serie di riflessioni intime, di trasfigurazioni di stati d’animo in cui credo che molti si possano riconoscere. Chi le sentirà proprie, anche solo per un momento, potrà essere un mio potenziale lettore tipo.

La tua è una poesia che parla di amore e vita quotidiana, di paesaggi interiori ed esteriori, qual è il messaggio di fondo che vuoi comunicare?

Io credo che il tempo dei messaggi ideali sia purtroppo finito, che la nostra sia davvero l’epoca del relativismo assoluto e della frantumazione di ogni certezza. In questo mondo apparentemente così ‘sociale’, forse l’unica arma per sopravvivere è la ricerca individuale di un proprio sistema etico, di una propria ricetta del vivere bene, con equilibrio. Quindi non mi arrogherei mai l’illusione di voler comunicare un messaggio. La vita è fatta di esperienze vissute da ciascuno in maniera differente ma che in fondo ci accomunano, per questa strada l’esperienza di ognuno può essere fonte di rispecchiamento e di sollievo e di consolazione per tutti. Ritrovare nell’altro il proprio dolore o la propria gioia o le proprie paure può aiutarci a sentirci meno soli. Credo sia questo uno dei compiti più importanti della scrittura e della lettura: rendere gli uomini meno soli.

Tu insegni, cerchi di comunicare il tuo amore per la poesia ai tuoi studenti? E loro come reagiscono?

Le lezioni che prediligo sono quelle in cui arrivo in classe coi libri “non di scuola” sotto braccio, li appoggio sulla cattedra, poi li faccio girare tra i banchi e… aspetto. Aspetto di vedere la luce della curiosità che si accende negli occhi dei ragazzi, perché nessun amore – e di questo sono pienamente convinta – può nascere dalla costrizione ma solo dall’interesse; un interesse che deve però essere sincero da entrambe le parti, infatti non si può insegnare ad amare ciò che tu stesso non ami. Nel caso specifico della poesia è sempre interessante notare quanto essa sia sconosciuta; i ragazzi – direi nella quasi totalità dei casi – sono convinti che la poesia coincida solo con il Cinque maggio di Manzoni o con A Zacinto di Foscolo, quindi sono praticamente certi che non li riguardi, se non per qualche parafrasi scolastica scopiazzata on line. Con questo non voglio assolutamente dire che non sia importante conoscere e studiare i classici della letteratura, ma non possiamo neanche pretendere che un quindicenne senta quella poesia come propria, se non altro per il gap linguistico che lo separa da essa. Invece, leggendo le poesie di Anne Sexton, di Julio Cortazar, di Antonia Pozzi, di Pierluigi Cappello – giusto per citarne alcuni – lo stesso quindicenne si trova di fronte a un concetto nuovo di poesia: una poesia ‘a portata di mano’, che si può leggere senza consultare il dizionario, che può risultare immediatamente riferibile al proprio vissuto. Quindi, senza voler sminuire la grandezza assoluta di Manzoni o di Foscolo, è senz’altro più utile partire dalla conoscenza della sensibilità contemporanea, da prodotti che siano comprensibili anche sul piano linguistico, per poi poter risalire indietro e poter ritrovare quella stessa sensibilità declinata in epoche diverse. La reazione dei ragazzi che leggono per la prima volta poesia contemporanea è sempre frutto di grande soddisfazione per me: si vede chiaramente quanto dinnanzi a loro si apra un nuovo orizzonte; poi ovviamente ci sarà chi coltiverà tale interesse e chi no, ma ogni illuminazione è comunque una conquista. Un insegnante deve fare questo: aprire delle strade, non farle percorrere in maniera coatta.

Pensi che leggeranno il tuo libro?

Non lo so, in molti mi hanno scritto, si sono congratulati, mi hanno chiesto informazioni. Io ricordo con molto affetto tutti i miei alunni e spero che la cosa sia reciproca. Probabilmente lo faranno, magari per curiosità. Tuttavia, se già acquistassero un libro di poesia ogni tanto mi riterrei soddisfatta. Ce ne sono tantissimi che vale la pena leggere prima del mio. Quindi, che sia il mio in fondo non è importante.

Questa è la tua prima esperienza editoriale, ci racconti come è andata?

La decisione di mettere insieme questa silloge è stata abbastanza repentina: era festa, ero in isolamento, era un’antitesi fin troppo suggestiva per farsela sfuggire. Credo che ogni momento di crisi vada compensato con un sogno, una speranza, magari soltanto un progetto accarezzato da tempo. La vita dev’essere una scommessa continua, e realisticamente abbiamo il potere di scommettere solo su di noi. Poi ovviamente bisogna anche avere la fortuna di trovare chi coltiva con cura i progetti altrui, e io questa fortuna l’ho avuta.

Progetti letterari futuri?

Sì, ho già una seconda raccolta in fieri, e probabilmente metterò in ordine anche alcuni miei racconti; d’altronde scrivere – fortunatamente – determina dipendenza. Per il resto, se Manzoni si accontentava di ‘venticinque lettori’… figurarsi io. La scrittura è sempre una luce, a prescindere.

Bianca Folino