Il carrubo, nome scientifico Ceratonia Siliqua è un albero molto diffuso in Sicilia, specialmente nella provincia di Ragusa. Originario della Siria appartiene alla famiglia delle Fabaceae. Si presume furono gli Arabi a portarlo nellâisola, durante il loro dominio. Molti i pareri contrastanti su ciò, alcuni affermano che furono i Greci a diffonderlo, altri sostengono furono i Fenici e altri ancora pensano sia una pianta autoctona del posto. Sempreverde e maestoso  può superare anche i dieci metri di altezza. Prospera facilmente nei terreni aridi e calcarei, resiste alla siccitĂ e sopportando abbastanza bene il caldo viene chiamato âalbero della resistenzaâ. Definito anche longevo e dioico. I fiori sono piccoli e in prevalenza unisessuali, ma possono trovarsi sulla stessa pianta anche fiori bisessuali. Mostrando  caratteristiche diverse è facile riconoscere quelli maschili da quelli femminili.  La fioritura avviene da agosto a gennaio e i frutti per maturare impiegano un anno intero. Appena le âvaiane di carruaâ acquisiscono il colore marrone intenso, solitamente tra agosto e settembre, si può iniziare la raccolta. Visto che nellâalbero si trovano fiori, foglie, frutti maturi e frutti acerbi, questa deve avvenire con molta cura.

Leggende e appellativi di ogni genere sono stati attribuiti a questa pianta. NellâantichitĂ le carrube furono soprannominate âPane di San Giovanniâ. Si racconta infatti che il Battista durante il pellegrinaggio nel deserto se ne cibasse. Citate anche nel Vangelo secondo Luca, nella parabola del figliol prodigo, dove il giovane avrebbe voluto mangiare le carrube che il padre dava giornalmente ai porci. Per i credenti ragusani il carrubo è la pianta sacra a San Giorgio Martire. A testimonianza di ciò sono i tanti tabernacoli in onore del Santo Patrono di Ragusa Ibla che si trovano sotto lâombra di questi alberi.
Frutto povero, ma di grande potere energetico, le carrube, da cui si ricava la farina di polpa, una polvere color cioccolato  dal sapore dolciastro è una valida alternativa al cacao. Lâassenza di caffeina e un minore contenuto di grassi permette la realizzazione di molti prodotti dietetici. Antiossidante naturale, fonte di proteine e vitamine, ricche di proprietĂ lenitive  e curative sono utilizzate anche come tisane, caramelle, sciroppi e medicinali. Dai semi polverizzati  invece si ricava la farina di semi, una polvere bianca usata in pasticceria come additivo alimentare, addensante e stabilizzante per la preparazione di gelati e dolci. Un imprenditore ragusano ha puntato tutto sulla produzione di questa farina, eccipiente indispensabile anche nel settore farmaceutico.

Nel lontano 1890 a Ballarò un quartiere di Palermo, nacquero le prime caramelle alla carruba. Formula brevettata dal maestro caramellaio Terranova. Lavorando artigianalmente carrube  e zucchero ottenne dei piccoli cubetti dallâaspetto vetroso, ma dal gusto inconfondibile. Oggi come allora ottime per il mal di gola e per calmare la tosse. Le caramelle per la tosse, giustamente chiamate cosĂŹ sono un prodotto al cento per cento naturale. Si possono trovare incartate singolarmente con carta grezza oleata  o confezionate in sacchetti trasparenti, pronti per la vendita online  o sugli scaffali di botteghe e farmacie ben fornite delle cittĂ siciliane. Basta mescolare dellâamido di mais allo âzanfarruâ cioè lo sciroppo estratto dalla polpa di carrube per dar vita al gelo o âbiancomanciariâ dolce semplice e genuino che fa parte delle tradizioni dolciarie tipiche siciliane, da gustare in alternativa a prodotti industriali ultra processati.

Due parole vanno spese anche sullo âzanfarruâ di una volta, quello che rischia di finire nel dimenticatoio della memoria. Un antico sapore che solo in pochi ricorderanno, una vera raritĂ , secondo noi da annoverare nel patrimonio dolciario popolare siciliano. Le nonne raccontano di quando erano bambine, della raccolta delle carrube, delle  bisnonne che eliminando quelle rovinate, riempivano  una grande cesta e al tramonto la portavano a casa. Dei bisnonni che dopo cena pulivano per bene le carrube, e martellando con una pietra le frantumavano fino a farne uscire i semi. Dei bambini che sotto forma di gioco toglievano accuratamente ogni singolo seme. E dopo averle risciacquate abbondantemente venivano lasciate in ammollo per tutta la notte. La mattina seguente si strizzavano per bene avendo cura di non sprecare nemmeno una goccia di quel magico succo. Si filtrava piĂš volte con un canovaccio e si metteva sul fuoco fino a bollore, togliendo con il mestolo la schiuma che man mano si formava. Bastava aggiungere del pane raffermo tagliato grossolanamente e continuare la cottura ancora qualche minuto per ottenere una sana e proteica colazione. Mescolando invece della farina di grano duro si otteneva la âmustataâ un delizioso dolce  da servire caldo al cucchiaio, oppure da gustare durante le feste dopo averlo fatto essiccare al sole per giorni interi. Un lungo lavoro che richiedeva costanza e pazienza, qualitĂ specifiche che solo le nonne possiedono.

Dopo le prime piogge di agosto gli amanti di micologia vanno alla ricerca del Laetiporus Sulphureus, il fungo del carrubo, in dialetto siciliano âfuncia ri carruaâ. Dal colore giallo pallido e dalla forma irregolare questa meraviglia della natura può arrivare a pesare piĂš di venti kilogrammi. Cresce su alberi isolati, in posti sperduti e chi conosce bene questi posti è ben lungi dal rivelare la posizione geografica. Per assaporarlo in tutta la sua bontĂ bisogna raccoglierlo tenero, avendo cura di accertarsi che nelle vicinanze non vi siano chiodi perchĂŠ risulterebbe tossico e alberi di ulivo onde evitare problemi gastrointestinali. Dal sapore prelibato e carnoso, è un fungo molto raro, non coltivabile, quindi molto costoso. Di solito va cucinato come da tradizione, cioè a âghiottaâ. Anche la parte piĂš dura che risulta leggermente legnosa, se cucinata a spezzatino in tegami di terracotta diventa un ottimo secondo o un delizioso condimento per la pasta. Nelle trattorie, pizzerie e nei ristoranti rinomati delle zone si può gustare in tanti altri svariati modi. NovitĂ degli ultimi tempi è la pizza con fungo di carrubo, una vera squisitezza per le papille gustative.
Nei primi scambi commerciali quando lâunitĂ di misura era un vero problema, nacque lâidea di utilizzare i semi delle carrube perchè tutti della stessa dimensione, quindi tutti dello stesso peso. Pare che ai tempi dei romani, Costantino I fece coniare una moneta dâoro che pesava 24 carati equivalente a 24 semi di carruba. E per finire una nota interessante sul termine carato, si evince che derivi dal sostantivo arabo âQuiratâ che a sua volta trova origine dal greco Keration cioè carrubo. Maria Gulino