Un liceo occupato dalla Poesia

L’occupazione di un liceo da parte degli studenti può essere descritta e scritta in versi? Evidentemente sì, almeno a parere di Gabriele Mistrangelo che ha deciso di scrivere la seconda edizione de “L’occupazione del Berchet maggiore” per la PlaceBook Publishing & Writer Agency. Un poema in sostanza che parla di un gruppo di studenti che decidono di ritrovarsi e raccontarsi storie in alternativa alla loro partecipazione alle assemblee studentesche. Gabriele Mistrangelo è nato a Milano dove vive e lavora. Come molti milanesi, ha le sue origini per metà in un’altra regione, la Sardegna, che ama profondamente. Attualmente lavora presso un’azienda farmaceutica e continua a coltivare la sua grande passione per la scrittura, in versi e non. Proponiamo ai lettori la sua intervista.

Come hai scelto il titolo di questo libro?

Scegliere il titolo è stato abbastanza semplice. La storia parla dell’occupazione di un liceo, un fatto piuttosto comune. Il liceo in questione era il Berchet di Milano, cioè quello che ho frequentato io, da qui “L’occupazione del Berchet”. La dicitura maggiore è dovuta al fatto che nella riscrittura si è passati dalla sesta rima all’ottava, accrescendo quindi i canti. Nel definire il libro maggiore ho voluto accomunarmi a un poeta barocco, Gabriello Chiabrera, che scrisse l’Amedeide, dedicata alla casa Savoia. Be’, manco a farlo apposta, anche lui lo scrisse due volte e le due versioni sono conosciute come minore e maggiore.

Questa è una seconda edizione, quali modifiche hai apportato?

Come dicevo, e come ho scritto nella nota introduttiva al libro, si è passati dalla sesta all’ottava rima, il metro principe dei poemi narrativi. In questo metro sono scritti L’Orlando furioso e la Gerusalemme Liberata. Si è messo mano anche al registro linguistico, propendendo per uno più poetico, ma che fosse al contempo anche moderno (quindi più leggibile), in modo che il lettore poco pratico di poesia non debba avere sempre il dizionario per le mani. Si è mutato il nome ad alcuni personaggi e si sono soppresse le troppe trivialità della prima edizione. In effetti il testo è completamente differente, sebbene la storia mantenga la sua originalità, nonostante l’inserimento di nuovi episodi. Parlerei piuttosto di un lavoro fatto ex novo che di una seconda edizione.

E perché hai voluto scrivere questa storia in versi?

Vi racconterò un aneddoto. Quand’ero bambino mia nonna un giorno mi ammonì di farmi poeta. Era convinta che in quel modo avrei avuto il rispetto unanime della comunità. Anche se non è più qui a vedermi, spero di averla accontentata. Un altro episodio è questo. Sempre da bambino, cresceva, lungo la parete esterna di casa mia, un alto albero d’alloro, la pianta sacra ad Apollo. Fui mandato a coglierne un rametto per la cucina. Tornato in casa con quel ramo fra le mani, mi fu detto: “diventerai un poeta”. Ovunque abbia abitato ho sempre avuto una pianta di alloro vicino, in Sardegna, e anche ora a Milano. Evidentemente era destino. Non posso fare a meno di scrivere in versi, perché, come disse la Deledda nel suo discorso all’accademia di Svezia, chi insiste nella poesia nonostante i ripetuti richiami, va lasciato in pace: egli è un poeta.

Quanto c’è di autobiografico?

I luoghi e le situazioni sono quelli della mia adolescenza, per il resto ho lavorato di fantasia, ma, si sa, che la fantasia è come un prisma che distorce la realtà.

Ti sei ispirato a qualche autore per scrivere questo libro?

No, nessuno in particolare. Ho cercato di fare un lavoro originale, ma il lettore attento troverà parecchie citazioni di altri autori nelle mie pagine.

E per la creazione dei personaggi?

Quello è stato semplice. Mi è bastato pensare all’adolescente che ero, che erano i miei coetanei, per modellare i personaggi. In effetti, non credo i protagonisti rispecchino la gioventù di oggi, che per sua fortuna è sempre differente da quella che l’ha preceduta. Però i problemi e le ansie dell’adolescenza credo siano le stesse per tutti.

Nella quarta di copertina citi Boccaccio, ma i ragazzi che decidono di raccontarsi storie come alternativa alle assemblee degli studenti non sembrano più dei moderni Sharazade?

Non è un caso abbia scelto Boccaccio. I protagonisti del Decameron si raccontano storie per ingannare il tempo, esattamente come i miei. Nel mio libro poi uno studente sta leggendo proprio il volume del toscano. Nelle mille e una notte, invece, la protagonista inventa storie per salvarsi la vita. In ogni caso, sono entrambi libri bellissimi, che ho molto amato.

Che messaggio vorresti arrivasse ai lettori?

Ho scritto un libro comico: vorrei divertirli con qualcosa che sia spiritoso ed elegante insieme.

E come promuoverai questo libro?

Tramite i social e il passaparola.

Tu scrivi anche in prosa, tra versi e frasi faresti una scelta di campo?

No! È come scegliere tra le lasagne e la pizza! Come si fa?

E’ stato più impegnativo un poema in versi o un romanzo (“Il fiore di Donigala” ndr)?

Devo dire che scrivere mi viene abbastanza facile, ma forse avevo più esperienza sulla scrittura in versi. “Il fiore di Donigala” è stato il mio primo romanzo, direi che è stato più faticoso da portare a termine.

Stai scrivendo qualcosa di nuovo?

Sto lavorando a un poema che mi trascino da quando avevo venticinque anni, ormai una vita fa, e a un nuovo romanzo storico, per il quale sto raccogliendo e studiando materiale.

Bianca Folino