“Jack e il sentiero delle lagrime”, è questo il titolo del nuovo romanzo di Antonio Sapienza pubblicato da PlaceBook Publishing & Writer Agency. E per stessa ammissione dello scrittore si tratta di un omaggio alla cultura degli indiani d’America, in particolare dei Navajo. Sapienza è nato a Palermo nel 1957 e dopo essersi laureato in Farmacia ha esercitato la professione fino al 2021, anno in cui è andato in pensione ed ha iniziato a coltivare a tempo pieno la sua passione per la scrittura. I lettori lo conoscono per “Jamila” o “Il falco della rocca”, oltre che per la sua partecipazione alla collana “Città in giallo”. Proponiamo ai lettori una sua breve intervista.

Raccontaci da dove ti è venuta l’idea di questo libro?
L’idea è nata dal desiderio di approfondire la conoscenza di alcuni temi come quello della Cultura e delle Tradizioni delle popolazioni indigene Americane che hanno una visone del Mondo, inteso come “Natura che ci circonda” e della vita di ogni essere umano rapportata a essa, davvero molto più saggia di quella del cosiddetto nostro “Mondo Civile Occidentale”. Il romanzo si promette di trattare alcuni temi molto attuali come quelli, del Genocidio perpetuato come ragione di Stato, dell’Integrazione degli “stranieri” all’interno di una società moderna, della paura atavica e dei preconcetti che l’uomo ha nei confronti di tutto quello che percepisce come “diverso“, dal singolo essere umano, alla comunità, alla religione. Della difficoltà che l’uomo ha avuto e continua ad avere di percepire e comprendere il suo ruolo nel modo che lo circonda. Il dubbio di possedere la capacità di auto determinare il proprio futuro o invece di stare recitando solo la parte di una pedina sacrificabile in uno scacchiere dove è in atto un progetto più grande, universale a noi sconosciuto. Detto e scritto così sembra un progetto molto ambizioso ma è tutto racchiuso nella semplice storia di un giovane Navajo protagonista del romanzo: “Jack e il sentiero delle lagrime”.
E come hai scelto il titolo?
“Il sentiero delle lagrime”, fa riferimento al viaggio compiuto dalle popolazioni Navajo, all’indomani della sconfitta subita nelle cosiddette Guerre indiane da parte dell’esercito degli Stati Uniti, che comportò il loro trasferimento forzato nella “Riserva” a loro destinata. Il viaggio a piedi, a tappe forzate cui fu sottoposto quello che rimaneva della Nazione Navajo, è ricordato appunto come il “Sentiero delle lagrime” perché lungo il suo cammino, un terzo della popolazione morì di stenti e non ebbe nemmeno la giusta sepoltura. Nel romanzo però un analogo viaggio è compiuto anche da un giovanissimo Navajo, futuro padre di Jack, ma in senso inverso, cioè dalla Riserva Indiana a Los Angeles, la grande città degli “Uomini Bianchi”, in cerca di un futuro migliore. Diversi anni dopo anche Jack compirà il suo personale “Sentiero delle lagrime”, partendo da Los Angeles, la città che l’ha accolto da bambino, in direzione di Kayenta, nella riserva Navajo, dove il nonno paterno, un anziano e potente sciamano ormai in fin di vita, chiede di vederlo per l’ultima volta.

I personaggi sono di pura fantasia o ti sei ispirato a qualcuno di reale?
Tutti i personaggi sono di pura fantasia, al contrario dei bellissimi luoghi, dove si svolge la storia che sono invece tutti reali.
Perché hai deciso di parlare degli amerindiani?
Da sempre la cultura degli Indiani d’America mi ha affascinato, per i suoi riti e le sue tradizioni, spesso realmente poco conosciuti. Nel mio romanzo cerco di ridare un po’ di dignità a quelli che sono stati da anni indicati come i “selvaggi pellerossa”, riscontrando quanto invece sia attuale e per certi versi moderna la loro visione del Mondo.
E perché hai scelto proprio i Navajo?
La nazione Navajo rappresenta una delle popolazioni di nativi americani fra le più popolose e vive nella più grande per estensione Riserva Indiana degli Stati Uniti. I Navajo sono anche una delle comunità indiane maggiormente presenti nella città di Los Angeles, una fra le più cosmopolite d’America ed è proprio qui che si svolge parte del romanzo. I Navajo inoltre sono un popolo fiero e orgoglioso tendenzialmente pacifico che non ha mai avuto attitudini guerriere o bellicose. Sono stati da sempre allevatori di bestiame e coltivatori, in passato dedichi al massimo a qualche razzia di animali. E poi a essere sincero, il vero motivo è che sono stato e lo sono tuttora un lettore accanito dei fumetti di Tex Willer, in cui uno dei suoi pards più fedeli è un giovane Navajo, “Tiger Jack”.

Quanto sono importanti i nostri avi a tuo giudizio?
Da come si evince dal romanzo, per me lo sono tantissimo, sono dell’idea che adesso noi siamo quelli che siamo in parte grazie anche a quello che loro ci hanno tramandato e non solo geneticamente ma anche come frutto delle loro esperienze di vita. Ho dedicato uno dei miei primi libri “IL Falco della Rocca” a quest’argomento, parlando della mia famiglia che è originaria di Monreale, in una storia ambientata a metà del milleottocento.
E la memoria?
Per me non è solo uno scrigno di ricordi ma un importante “indicatore” che ci può aiutare in futuro a prendere le scelte migliori evitando così il rischio di commettere o ripetere errori. Esistono la memoria individuale e quella collettiva, quella di un popolo, molto la più importante. Il mio romanzo è un umile omaggio alla memoria del popolo Navajo e dei suoi antichi valori.
Anche in questo libro non manca l’effetto sorpresa, credi sia importante per il lettore?
È per me un ingrediente molto importante se saputo ben amalgamare all’interno di un romanzo. Nel mio, l’effetto sorpresa è interpretato dal ruolo che ha nello sviluppo della storia: “Sikeii”, l’anziano e potente sciamano nonno paterno di Jack. Il nostro giovane ma determinato Navajo si dibatte fra il desiderio di auto determinare il proprio futuro e il richiamo esercitato dalle sue origini. Deve decidere se far parte del progetto che hanno ideato per lui gli uomini bianchi o quello organizzato da Manitù per bocca di Sikeii oppure capire se esiste una terza via…

C’è un messaggio nella tua narrazione?
Più che lanciare un singolo messaggio con il mio romanzo spero di offrire ai lettori alcuni importanti spunti di riflessione su i tanti temi trattati che come si evince da questa lunga chiacchierata fatta con la cara Bianca Folino di certo non mancano.
Progetti in itinere?
Guai se non ce ne fossero! La mente va sollecitata per mantenerla viva e in forma. Intuisco che spesso agli altri do di me l’immagine di una persona abitudinaria, refrattaria alle novità, con delle certezze difficili da sovvertire e probabilmente questa visione non è tanto distante dalla realtà. Ho praticato sempre lo stesso lavoro e nello stesso posto, sono molto socievole ma i miei amici quelli veri sono quelli adolescenziali, pratico diversi hobby ma sempre gli stessi. Quando scrivo invece mi piace cambiare genere, cimentarmi in argomenti diversi. In conclusione: Sì, sto già scrivendo qualcos’altro e sarà tutta un’altra storia, promesso!
Bianca Folino