Miti e culti siciliani

“Non siamo ioni né dori, ma siamo siculi”. Questa frase, pronunciata da Ermocrate nel 424 a.C, è riportata da Tucidide nella sua “Guerra del Peloponneso” e dà una chiara e precisa collocazione dell’identità siciliana. Persino chi sosteneva “di amare il bello con moderazione e di filosofare con gusto” si è dovuto inchinare alle peculiarità di una terra come la Sicilia dove mito, leggenda e storia si mescolano e si confondono. Questa isola ricca di tesori e meraviglie prima di diventare parte importante e consistente della Magna Grecia fu abitata da Siculi, Sicani ed Elimi, popolazioni che si erano stanziate in queste terre molto prima del 734 a.C, anno di riferimento in cui i Greci sbarcarono sulle coste. Popolazioni che non derivano da una sola etnia, ed eccezion fatta per i Sicani, considerati l’unica popolazione autoctona.

La dea Demetra

La Sicilia ha sempre vissuto il fenomeno delle migrazioni: la sua centralità nel Mediterraneo, la ricchezza del territorio, l’abbondanza di boschi e grotte, sia esse naturali o scavate, la facilità relativa con cui si poteva navigare sotto-costa, ne hanno fatto da sempre una terra ambita e ricercata. Prima dei Greci, gli Ausoni, popolazioni provenienti dalla Campania si stanziarono tra le isole Eolie e le coste settentrionali della Sicilia. Una successiva ondata migratoria vide arrivare in queste terre un gruppo appartenente alle cosiddette genti “italiche”, i Morgeti, dal nome del loro re Morgete. Probabilmente derivanti da uno dei rami degli Enotri, si stanziarono nella Sicilia centrale, dopo aver respinto i Sicani. Esiste un preciso riferimento in tal senso negli scritti dello storico Strabone che riporta le vicende di questa popolazione, guidata dal re Morgete, da cui il nome, che si stabilì in Sicilia e fondò la città di Morgantina, a circa sei chilometri da Aidone, in provincia di Enna, città che in seguito divenne importante snodo durante la dominazione greca prima e romana poi.

Stromboli

Scavi archeologici condotti intorno agli anni cinquanta del secolo scorso hanno ripotato alla luce resti di una civiltà progredita, come dimostrerebbero manufatti che si possono far risalire all’età del bronzo. Esisteva dunque una società sia pur primitiva composta da pastori e agricoltori ben prima dell’arrivo dei Greci. La conformazione del territorio, che ha visto col tempo diradare i boschi che lo ricoprivano e diminuire i corsi d’acqua dapprima navigabili, la natura vulcanica del sottosuolo, da Vulcano all’Etna, fino al Marsilio, passando per “iddu”, cioè lo Stromboli, la sua bellezza selvaggia dovettero sembrare agli occhi di chi arrivava quel paradeisos che secoli dopo incantò anche gli Arabi. Ma proprio la necessità di spiegare vicende particolari legate alla vegetazione e a fenomeni tellurici purtroppo a volte violenti e devastanti, portò le popolazioni a ricollegare tali avvenimenti a divinità ed eroi. Fu questo il collante che determinò non solo l’orgoglio di rivendicare una propria identità, come affermava Ermocrate secoli dopo, ma anche di istituire un culto religioso indigeno.

Etna

Miti e culti nati in relazione alle manifestazioni di forze sotterranee, di sorgenti calde o minerali erano già presenti in Sicilia prima dell’arrivo dei Greci. Uno su tutti il culto di Demeter, o Kore, o Demetra, preesistente all’arrivo dei Greci nell’isola, poiché la dea della terra ferace, per motivi ovvi e palesi, era già venerata da tempo da popolazioni dedite a pastorizia ed agricoltura. Secondo un meccanismo che verrà reiterato più e più volte nel corso millenario della civiltà, assistiamo anche qui alla stratificazione e alla sovrapposizione di un culto. E se il culto di Demetra, o quello di Aphrodite Erykine, il cui tempio si trova ad Erice, diventano peculiarità del mondo greco al punto da far dimenticare le origini autoctone di tale venerazione, non si può dire lo stesso di altre divinità preesistenti che hanno mantenuto le caratteristiche indigene: Adrano, i Palici, la dea Hybla, la Sybilla di Lilibeo.

In questa sede si parlerà di uno di questi culti, demandando le informazioni che riguardano le altre divinità ad altro momento.Tra le campagne che circondano l’antica città di Adernò, oggi Adrano, alla pendici dell’Etna, i cui terreni lavici sono tra i più fertili dell’ isola, sorgeva l’antico tempio dedicato al culto del dio Adranos. E se nell’etimologia del nome potrebbero essere presenti tracce di un antico culto orientale, non vi è alcun riscontro nella mitologia greco o romana e questo la dice lunga sulla presenza di un culto esclusivamente indigeno, come confermano molti degli scrittori greci, a partire da Ninfodoro fino allo stesso Plutarco. Storici della portata di Creuzer e Freeman affermano che il nome del dio potrebbe derivare verosimilmente dal fiume omonimo che scorreva presso la città di Adrano e che presentava tutte le caratteristiche di un uadi africano, perché compariva e scompariva per poi riaffiorare nuovamente.

Il cane dei Faraoni, si noti la somiglianza con il Dio Anubi

Se a questo aggiungiamo la circostanza che indica Adranos come padre dei Palici, i gemelli venerati a Palagonia, città a poca distanza da Adrano, e che erano ritenuti i primi protettori della gente sicula, appare chiaro come si possa affermare di essere in presenza di un culto autoctono, che rimase tale anche dopo la nascita della Magna Grecia. Si deve ai tiranni siracusani l’espansione e la crescita del culto dedicato ad Adrano, a partire prima da Dionisio il vecchio che fece erigere accanto al tempio una città e, dopo di lui, anche per mire espansionistiche legate alla fertili contrade dell’Etna e al dominio interno dell’isola, dove si estendevano ricchi campi di grano, anche da Gerone, che fondò addirittura una colonia chiamata Catana, vantandosi di farsi chiamare Gelone Etneo da Pindaro.Culto antico, quello dedicato al dio Adrano, identificato a volte addirittura con lo stesso monte Etna, diffuso a lungo in tutta l’isola, se ancora i tempi di Timoleonte, politico e militare greco che operò in Sicilia su richiesta della città di Siracusa tra il 334 e il 335 a.C, se ne venerava l’immagine rappresentata con una lancia in mano, che, se da un lato voleva ricordare l’immagine dell’Ares greco, con maggiori probabilità voleva indicare l’idea di protezione e sicurezza che derivava ai siciliani da un tale culto.

Anubi

Una piccola curiosità prima di concludere: si racconta che a guardia del tempio di Adrano ci fossero i cani, circa mille molossi che di giorno accompagnavano amorevolmente i visitatori del tempio e li accoglievano con benevolenza, e di notte li riaccompagnavano a casa se solo ubriachi, ma se ladri, li facevano a pezzi. Fuori di metafora ed escludendo ovviamente la presenza di un così alto numeri di animali all’interno di un tempio, il grosso cane che aiuta i buoni e castiga i cattivi è simbolo di forza e di difesa, di protezione e di sicurezza, la stessa forza e difesa che veniva attribuita al nume che ivi si venerava. Compagni e seguaci dei Siculi e del loro nume nazionale, anche se si può trovare un riscontro nei sacrifici compiuti dagli spartani in onore del dio Ares prima della battaglia, l’idea dei cani in un tempio indicava la difesa del paese contro i ladri e contro gli invasori stranieri.

Adriana Antoci