Il mistero di Bansky

Bansky, un mistero da scoprire. Dopo la sua apparizione da Sotheby nel 2018, anno in cui ha stupito il mondo con la distruzione della sua opera “The balloon”  alla fine dell’asta, e il murales veneziano del 2019 “Il bambino migrante”, Milano omaggia l’artista britannico. Rimmarrà infatti allestita fino a fine febbraio la mostra  “The world of Bansky” presso la galleria dei mosaici della stazione Centrale, quella che viene considerata la porta della città meneghina. La mostra che non è ufficialmente riconosciuta dall’artista di Bristol com’è nel suo stile da sempre contrario alle manifestazioni ufficiali, è immersiva e presenterà 130 opere tra le quali 30 inedite dello street artist considerato oggi tra i più importanti dell’intero panorama. Al pubblico sarà proposta anche una sezione video che ripercorrerà la vita e l’opera di Bansky.

Ma chi si nasconde dietro questo pseudonimo che è diventato famoso in tutto il mondo per una serie di opere e murales? Le ipotesi sono diverse e si sono alternate in questi anni, ma ormai sembra che tutti convergano nel nome del leader dei Massive Attak,  gruppo trip hop della fine degli anni Novanta, Robert Del Naja. Chiunque sia l’artista è conosciuto non solo per i suoi disegni eseguiti seguendo la tecnica dello stencil, ma anche per le sue azioni volte alla protesta verso un sistema economico e sociale considerato inaccettabile. Lo stencil è una tecnica utilizzata anche da altri street artists, come Blek le rat, Tristan Manco ed El Chivo. Ma a Bansky si deve l’uso di questa tecnica in modo frequente.

Non solo “The Ballon”, cioè la bambina che lascia andare un palloncino rosso a forma di cuore, ma anche l’elicottero che fa cadere verso terra cervelli, o il rivoluzionario che anziché lanciare pietre o sparare, lancia un boquet di fiori, Bansky è tutto questo e anche di più. A Venezia, nel 2019  ha cercato di convogliare l’interesse del pubblico presente in città in occasione della 58esima biennale sul problema dei migranti, dipingendo su un muro un bambino naufrago in segno di protesta verso le discussioni dell’allora Governo sulla chiusura dei porti. Ma non è stata certo la prima volta che l’artista ha realizzato opere con un fine sociale e di protesta, come il periodo delle incursioni in diversi musei, quando Bansky entrava di soppiatto nelle gallerie d’arte blasonate e appendeva clandestinamente opere realizzate in perfetto stile ma con particolari del tutto anacronistici.

Di Banksy si sa  che arriva da Bristol la stessa città dei Massive Attak, anche la data di nascita è incerta, come la sua identità. Rimane comunque un punto di riferimento per molti artisti di strada e writers. Le sue opere sono spesso a sfondo satirico e riguardano temi politici, culturali ed etici. E la sua arte nasce nella scena culturale underground britannica, controcultura per eccellenza quindi. Non vende nulla delle sue opere, disegna sui muri e negli spazi pubblici e per veicolare i suoi messaggi utilizza una serie di personaggi, quali poliziotti, membri della famiglia Reale britannica o ratti, bambini e scimmie. Come “the kiss”, murales che vede due poliziotti baciarsi appassionatamente e che vuole intervenire a favore dei movimenti e della comunità Lgbt+.

L’opera che più di tutti ha una valenza politica è sicuramente quella realizzata sul muro che separa la Cisgiordania da Israele: 70 chilometri di divisorio dove Bansky è intervenuto con 9 opere sul perimetro della struttura. In questo caso i soggetti sono quasi tutti bambini che vorrebbero eliminare il muro e che sono ritratti mentre cercano di aggirarlo in volo o aggrappati a palloncini, o ancora cercano di bucarlo con semplici palette e rimangono a guardare cosa c’è al di là. In questo caso gli squarci sulla parete divisoria sono stati realizzati grazie alla tecnica del Trompe-l’oil.