Di castelli, di dame, di cavalieri

C’era una volta una grande castello dove abitava una principessa. Un visconte, di passaggio da quelle parti, la vide e se ne innamorò immediatamente. Le favole che si raccontano ai bambini prima di dormire a volte cominciano così. Ma la realtà in Sicilia supera la fantasia, sempre, come scrisse Luigi Pirandello, che di questa terra è stato profondo conoscitore. Ad una ventina di chilometri da Ragusa, lungo la strada che conduce verso il mare, c’è davvero una costruzione molto somigliante ad un castello. E in questo castello visse davvero una principessa di cui si innamorò un francese, un visconte, uno dei tanti viaggiatori stranieri in Sicilia che rimase così affascinato da luoghi e persone da stabilire là la sua dimora. Andiamo con ordine. Intono alla metà del XVII secolo, il barone Vincenzo Arezzo acquistò da uno degli ultimi discendenti di casa Cabrera la tenuta di Donnafugata e ne ricevette regolare investitura. Attorno al primo nucleo formato da una torre di avvistamento del XIII secolo, si cominciò a costruire una masseria e la casa padronale. La profonda vocazione agricola del territorio ragusano obbligava i proprietari terrieri a controllare le attività che si svolgevano sul fondo, a seguire i lavori di trezzeria, semina e mietitura oltre che la raccolta delle carrube, patrimonio della zona, delle mandorle e delle olive. Il nome Donnafugata non tiri in inganno chi legge queste righe.

Non si tratta di un toponimo nato da una leggenda che racconta di donne in fuga, donne rapite o, peggio, uccise, ma nasce più semplicemente dalla presenza in zona di una sorgente di acqua, chiamata fonte della salute, trascrizione del termine arabo che in dialetto siciliano divenne Ronnafuata e in seguito Donnafugata, come spiega in modo egregio Gaetano G. Cosentini nel suo saggio intitolato “Ibla lontana”, Il Gattopardo edizioni. Si deve però al barone Corrado Arezzo De Spuches la trasformazione della costruzione da semplice casa di masseria a vera e propria “casina” di villeggiatura. L’opera compiuta dal barone ha determinato la pianta della casa, la costruzione del parco e la corte esterna con le case adibite a magazzini e abitazioni dei fittavoli. Una impresa durata anni, nel corso dei quali il barone ha abbellito e migliorato la costruzione, prendendo spunto anche da quel che aveva visto nei suoi lunghi viaggi all’estero, e che adesso, pur nel miscuglio di stili che non individua uno stile omogeneo o un periodo storico preciso, si presenta ai visitatori con l’aspetto magnifico che le ha valso il nome di Castello. Una possente costruzione su tre piani con ben centoventi stanze, alle quali si accede attraverso una scalinata in pece nera (materiale di cui la provincia di Ragusa abbonda). Un labirinto, ispirato a quello di Hampton Court, e un coffee house all’interno del parco, una cappella all’ingresso del portone principale, un salone affrescato con gli stemmi delle famiglie nobiliari della Sicilia, una biblioteca ricchissima di volumi e di quadri preziosi di antenati, tra cui spicca quello di donna Giulia Cosentini, andata in sposa proprio ad uno dei discendenti degli Arezzo, un piccolo teatro all’interno della corte principale, mobili di pregio, arredi preziosi e addirittura, vista la grande influenza del senatore Arezzo, la stazione ferroviaria a pochi metri dal castello stesso.

I terreni in prossimità del castello

Questo è quello che vide il visconte Gaetano Combes de Lestrade quando giunse per la prima volta a Donnafugata, ospite del senatore Corrado Arezzo e della sua famiglia. Il francese era un noto storico ed economista e si era recato in visita dal barone Arezzo per conoscere un territorio che in realtà non era la scelta principale dei viaggiatori stranieri che preferivano visitare Siracusa. Tra i due nacque subito una grande affinità culturale. Corrado Arezzo era un raffinato cultore del bello, come la sua dimora racconta, un esteta e poeta che aveva raccolto attorno a sé la migliore intellighenzia iblea del tempo, da Paolo La Rocca Impellizzeri a Giambattista Marini e che trovò nel visconte non solo un validissimo interlocutore, visti i suoi studi di sociologia e diritto internazionale, ma anche un marito per una delle sue nipoti, Clementina, mentre l’altra, Maria, andò sposa al messinese Francesco Marullo Balsamo, conte di Condojanni e con lui morì nel disastroso territorio del 1908 che rase al suolo la Regina del Bosforo d’ Italia, come veniva chiamata la città dello stretto, lasciando come lascito testamentario la costruzione di un ospedale a Ibla, che ancora porta il suo nome. Il Visconte arricchì la biblioteca, migliorò la conduzione dei terreni grazie anche ai suoi studi, rese il Castello di Donnafugata dimora amabile e conosciuta all’estero. L’ultimo suo erede, il conte Gaetano Testasecca, vendette la proprietà al Comune di Ragusa nel 1982.

Adesso il Castello, aperto a turisti e visitatori, è sede del MUDECO, il museo del costume e fa parte delle case della memoria. Piccole curiosità aneddotiche: il toponimo Donnafugata si ritrova nelle pagine de “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e indica la dimora di campagna, tanto amata dal principe Fabrizio Salina e che si trova a soli tre giorni di carrozza da Palermo. Impensabile quindi pensare che si tratti del castello del barone Arezzo, logisticamente troppo lontano dalla bella Aziz. Eppure, in queste stanze che ancora raccontano di storie di amori e di poesia venne Luchino Visconti, ospite di una famiglia di Ibla, prima di girare il suo Gattopardo: lui, esteta e amante del bello proprio come il barone, rimase affascinato dalla sua decadente patina di malinconica nobiltà ormai al tramonto. Ancora: durante gli anni della seconda guerra mondiale i magazzini della proprietà vennero adibiti ad ospedale da campo da parte dell’esercito tedesco, mentre gli alti ufficiali avevano occupato la splendida casa del barone Majorana, una dimora di campagna ad un centinaio di metri dal castello, e il coffee house all’interno del parco venne aperto e adibito come sala di ritrovo e di intrattenimento per gli ufficiali e anche per i villeggianti del luogo. Utilizzato come scenografia da registi del calibro dei fratelli Taviani e di Tornatore, il castello in estate è sede di un vivace cartellone di manifestazioni culturali.

Adriana Antoci