Quella faccia da “pesce lesso” ha raggiunto Harold Ramis nella dimensione parallela di Gozer. Probabilmente è da là che arriva il puro genio di questi personaggi che definire umani risulterebbe riduttivo. Perché lo spirito da cui erano posseduti risultava talmente irresistibile da non poter trovare posto sulla tavola degli elementi. Richard Pryor, John Belushi, John Candy, sono solo alcuni esempi di questi atomi impazziti che hanno conquistato il mondo della commedia negli anni Ottanta e sono rimasti sospesi nel tempo grazie ad una vitalità sul grande schermo che gli ha consacrati all’immortalità. Ad oggi viviamo tutti nel riflesso di Ghostbusters, tanto per dirne uno, e questo non è affatto un caso, bensì un disegno cosmico che rasenta la metafisica.
Ivan Reitman, regista e produttore cinematografico, ha rappresentato in immagini e in movimenti tutto ciò che la fucina del National Lampoon (il “clan” comico che ha rivoluzionato la commedia americana) sia mai riuscita a partorire. Un artigiano vestito d’artista, sempre pulito, generosamente schivo e investito di quell’umiltà che si trova solo nei grandi Signori o nei cavalieri dell’epoca romanza. Personalità brillante che sapeva dosare personalità e mestiere, ricreando i presupposti per la commedia perfetta, in quanto padrone dell’unica e sola qualità che si addica ai grandi comici: il ritmo.
Quello di Reitman era il senso del ritmo per eccellenza, la gestione compatta e coesa di cast composti da mine vaganti che altrimenti avrebbero rischiato di perdersi nei propri – alluncinanti ed altrettanto geniali – deliri.
Si è spento a settantacinque anni, giovane nel corpo e nello spirito, dopo una lunga malattia. Iniquo come chi dovrebbe vivere per sempre si ritrovi schiavo della biologia tanto quanto chi conduce una vita anonima. Ma a rendere eterna una figura c’è sempre il suo lascito; la memoria, di cui dobbiamo renderci custodi, nel sacro vincolo del rispetto della bellezza. Nella comicità di Reitman c’è davvero tanta bellezza.
Non solo Ghostbusters, anzi; questo “esteta delle sceneggiature altrui” ha saputo dare dinamismo alla figura tagliente di un nume assoluto quale Danny De Vito, regalandoci Junior e Gemelli, scoprendo e sfruttando due copioni epocali, scritti rispettivamente da Chris Conrad, Kevin Wade e Timothy Harris; penne brillanti di una Screen Writers Guild (l’associazione degli sceneggiatori statunitense) davvero bistrattata ad Hollywood – checché se ne dica – e che a ragion veduta lamenta condizioni di lavoro sfavorevoli, specie se guardiamo alla potenza espressiva dei dialoghi, vero fulcro del cinema buono made in USA.
Ed eccolo ancora lì, sornione e riservato, a muovere le fila di un’altra commedia che è rimasta nella storia (specialmente al botteghino): Dave, Presidente per un Giorno, un film realizzato sartorialmente su misura, addosso a Kevin Kline. E’ vero che con quel Kline, al massimo del massimo (quello di Un Pesce di Nome Wanda e di In&Out) era davvero difficile sbagliare, eppure il rischio esisteva eccome. Ma Reitman, da buono slovacco, lavora sodo e mette poesia in tutto ciò che fa, e regala l’ennesima perla fatta anzitutto di ritmo.
Tornando alle origini, accennavamo al National Lampoon. Il National Lampoon è stato e sempre sarà la più grande fucina di comicità statunitense. Un periodo d’oro, irripetibile. Nato come rivista satirica e demenziale, come risposta nerd al Saturday Night Live, ben presto diventa qualcosa di troppo grande per rimanere solo su carta stampata, e i comici che sopra vi scrivevano diventano essi stessi i protagonisti del SNL, in una sorta di invasione, di conquista crossmediale.
Avanti anni luce, l’esperienza diventa un tripudio, e si rispecchia nella folle creatività di John Belushi, Chevy Chase, Dan Aykroyd, John Candy, Bill Murray, Harold Ramis, Rick Moranis, e tanti altri membri di una galassia di risate mai vista e sentita prima. Un fulmine che dura nemmeno dieci anni e che dovrà resistere alla batosta dell’eroina, della depressione, della morte. Perché il genio, troppo spesso, è associato ad un male di vivere che fa letteralmente morire dal ridere. La morte di Belushi è un giro di giostra selvaggio che pare non risparmiare nulla e nessuno, un baratro nero che avvolge l’intero settore e rischia di spegnerlo per sempre. John Landis, il più grande regista comico d’America al momento (Una Poltrona per Due, Il principe cerca moglie, Beverly Hills Cop) rinuncia a tantissimi progetti e tutto sembra andare verso un inevitabile declino. Tutto, apparte Ivan Reitman. Amico vero, uomo integro, professionista autentico, è lui che tiene insieme i pezzi con lucidità e prende per mano la vena artistica di Aykroyd e Ramis, facendoli tornare nei binari del successo: Ghostbusters vede la luce e il mondo del cinema avrà la sua perla nera, il suo unicum, la sua consacrazione dissacrante.
Il mondo aveva bisogno di Ghostbusters e per farlo era necessario Ivan Reitman.
E chi chiamerai?
Michele Simonetti