Più clima e meno armi

Cosa accadrebbe se i governi destinassero i fondi per le armi al clima? Che saremmo già a metà o più del processo di transizione, cioè di quel percorso intrapreso per ridurre fino a zero le emissioni di CO2. Secondo l’Agenzia europea per l’Ambiente servirebbero 4.500 miliardi di dollari all’anno per arrivare ad una soddisfacente transizione. Solitamente si dice che non ci siano questi soldi, ma in realtà non è proprio così, visto che nel 2022 si sono spesi 2.240 miliardi di dollari per l’acqusito di armi.

Basterebbe destinare questi fondi ad altro, cioè alla crisi climatica per avviarsi ad una soluzione del problema che si fa ogni giorno più urgente.

Ma evidentemente i paesi preferiscono continuare a occuparsi di guerra. E come sappiamo bene l’Italia gioca un ruolo importante del settore dell esprotazioni di armi. Da sempre sappiamo che le armi usate nei conflitti, mine e bombe comprese, arrivano proprio dal nostro paese. Tanto che, nel corso degli ultimi 5 anni, c’è stato un aumento dell’86 per cento dell’export di armamenti che ha posizionato l’Italia in cima alla classifica della crescita percentuale.

Gli Stati Uniti mantengono il primato assoluto con un aumento del 17 per cento seguiti dalla Francia che ha superato la Russia. Quest’ultima a causa del conflitto in essere con l’Ucraina, ha smesso di esportare armi. Il volume di affari del mercato delle armi rappresenta la metà di quanto sarebbe necessario per la transizione energetica del nostro pianeta. E sarebbe di certo auspicabile investire in soluzioni per il clima anzichè nell’industria bellica.

Il podio degli importatori mette in cima l’India, seguita dall’Arabia Saudita e dal Quatar.

Il volume globale dei trasferimenti internazionali di armi è diminuito secondo i dati del Stockhokm International Peace Research Institute, ma solo in minima parte: tra il 2014/2018 e il 2019/2023. Il settore rimane comunque uno dei più attivi.

Forse sarebbe ora di aprire gli occhi e comprendere che la vera urgenza sta nella salvaguardia del Pianeta e nel benessere (oltre che nella sopravvivenza) delle future generazioni.

Redazione