“Omero è nuovo questa mattina e niente può essere così vecchio come il giornale d’oggi”.
La frase del saggista e scrittore francese Charles Péguy ben si addice non solo al vate cieco ma anche ad un’altra grande eredità culturale che abbiamo ricevuto dal mondo greco, il corpus delle tragedie e commedie che raccontano di eroi e di dei, di miti e leggende. In realtà, scoprire le origini della tragedia, termine che potrebbe indicare o il canto dei capri o il cambiamento di voce degli attori durante la recitazione, non è così facile ed è stato a sempre uno dei temi che più hanno affascinato gli studiosi. Aristotele e la sua Poetica sono la fonte primaria. Ma il filosofo aveva a disposizione materiale che ormai è andato perduto e quindi i documenti sulle fasi più antiche del teatro nell’Attica sono per noi inaccessibili. Secondo Aristotele, la tragedia sarebbe un’evoluzione del ditirambo satiresco, una improvvisazione corale in onore di Dioniso. All’inizio queste improvvisazioni erano brevi e di tono burlesco, poi, con il cambiamento del linguaggio anche i contenuti divennero più seri e più gravi, al posto del ditirambo si iniziò ad utilizzare il tetrametro trocaico e in seguito il trimetro giambico, come si può dedurre da Erodoto nelle sue Storie. Il ditirambo, da improvvisato assume forma scritta, e viene recitato dal coro, che disposto in cerchio attorno all’ara sacrificale, ne intonava i versi. Sembra poi, che, ad un certo momento dal coro si sarebbe staccato il corifeo, ossia il capocoro, che avrebbe iniziato a dialogare con il coro stesso, diventando un personaggio a parte, chiamato hypocritès, ossia colui che risponde, parola che in seguito prenderà il significato di attore.
Probabilmente, il dialogo che in questo modo nacque tra corifeo e coro diede vita alla tragedia. Da canto epico-lirico, il ditirambo diventa teatro e sarebbe stato Eschilo a fissare le regole fondamentali del dramma tragico secondo uno schema preciso. Un prologo, discorso preliminare, in cui uno o più personaggi introducono il dramma e spiegano l’antefatto a cui segue la parodos, il canto del coro effettuato mentre esso entra in scena attraverso i corridoi laterali, l’azione scenica vera e propria si dispiega quindi attraverso tre o più episodi intervallati dagli stasimi, cioè gli intermezzi in cui il coro commenta o illustra la situazione che si sta sviluppando sulla scena. La tragedia si conclude con l’esodo, in cui si mostra lo scioglimento della vicenda. Tutti i ruoli, senza eccezione, erano interpretati da uomini adulti che portavano una maschera con aperture per gli occhi e la bocca. La prima rappresentazione di un dramma tragico è avvenuta nel 534 a.C. e anche quest’anno a più di duemila e cinquecento anni dalla polis, ritornano a Siracusa le “feste classiche”, appuntamento atteso e che mette in scena emozioni e sentimenti.
Il cartellone di quest’anno porta in scena il Prometeo incatenato di Eschilo, la Medea di Euripide, la Pace di Aristofane, rappresentata per la prima volta a Siracusa e Ulisse, l’Ultima Odissea. Tragedie e commedie rivivono con l’anima e la bravura di grandi interpreti che si sono succeduti sul palcoscenico. Artisti del calibro di Annibale Ninchi, Elena Zareschi, Vittorio Gassman, Valeria Moriconi, Salvo Randone, Glauco Mauri, Elisabetta Pozzi, Lucilla Morlacchi, Giorgio Albertazzi, Ugo Pagliai, Michele Placido e Piera Degli Esposti, registi come Irene Papas, Zanussi, Mario Martone, Orazio Costa, Ronconi, Peter Stein. Negli anni le traduzioni sono state affidate alla bravura e alla esperienza di letterati e artisti come Pier Paolo Pasolini, Edoardo Sanguineti, Salvatore Quasimodo, Vincenzo Consolo, Dario Del Corno, Guido Paduano, Maria Grazia Ciani, Umberto Albini e Giovanni Cerri. Se Medea o Agamennone possono ancora parlare a noi e se Lisistrata o Ercole possono raccontare del loro mondo e delle loro ansie e dolori, dobbiamo tutto questo all’INDA, Istituto nazionale del dramma antico e all’ intuizione del conte Mario Tommaso Gargallo che nel lontano 1913 riunì un gruppo di aristocratici e facoltosi del siracusano e con loro iniziò il percorso che dopo un anno portò alla prima rappresentazione dell’era moderna. Il sedici di aprile del 1914 andò in scena l’Agamennone di Eschilo con la traduzione e le musiche di Ettore Romagnoli, le scene di Duilio Cambellotti e i costumi di Bruno Puozzo. Da allora l’INDA mantiene la memoria degli eventi: immagini, bossetti, materiale sono custoditi all’interno dei locali di Palazzo Greco. Due notazioni pima di chiudere: l’INDA organizza ogni anno anche un Festival dei giovani nel teatro greco di Palazzolo Acreide: ragazzi di tutto il mondo si confrontano recitando i grandi temi sempre attuali della tragedia greca, con lo stesso entusiasmos che ha accompagnato gli attori sulla scena del teatro di Atene.
Infine, le recite che si protraggono per quasi due mesi sarebbe ro impossibili da realizzare se alle spalle delle due ore di spettacolo quotidiano non ci fossero una scuola di recitazione, maestranze, tecnici, sarte e laboratori, un’ossatura composita e indispensabile. L’attività dell’INDA, prosegue anche con tutta una serie di dibattiti e manifestazioni e conferenze che vengono poi pubblicati sulla rivista Dioniso edita dal1931 e diretta oggi da Guido Paduano Collegata all’attività scientifica della rivista è la pubblicazione dei “Quaderni di Dioniso” che raccolgono gli Atti dei Convegni organizzati dalla Fondazione Inda e monografie sui temi del teatro classico e la sua rinascita in età moderna.
Adriana Antoci