Guardian Angels – Seconda Parte

Curtis Sliwa. Forse qualcuno di voi – tra i più attenti al dibattito politico statunitense – avrà già sentito questo nome; eh già, è proprio lo stesso Curtis Sliwa candidato per il Partito Repubblicano alle ultime elezioni amministrative di New York.
Proprio lui, il “populista” di quartiere, il fiero rappresentante della destra sociale e di estrazione popolare sconfitto alla tornata elettorale amministrativa, fondò i Guardian Angels nel politicamente remoto 1977.
Inizialmente noti come “The Rock 13” o “I fantastici 13”, i Guardian Angels erano composti dai dipendenti del Mc Donald’s di Canarsie, sobborgo al confine col Bronx, di cui Sliwa era direttore.
Si prodigavano in pulizie e preservazione del decoro urbano ma ben presto si trovarono a svolgere con un certo orgoglio funzioni di “vigilantes” nei dintorni della sede e sulle metropolitane che prendevano per recarsi al lavoro.
Già, perché il particolare più interessante (e al contempo più avvilente) della questione è che i Guardian Angels (nome assunto un paio d’anni dopo) erano formati in buona parte da portoricani e afroamericani, poveri lavoratori precari anch’essi residenti nelle zone più degradate di quella città che si fregiava, al tempo, del poco glorioso titolo di “Capitale mondiale del crimine”: New York.
In definitiva le casse comunali in dissesto, il debito pubblico enorme, l’edilizia scellerata e lo stato di completo abbandono in cui versavano località marginali come il Bronx o il Queens, furono le condizioni perfette per far dilagare la delinquenza e la corruzione in tutto il tessuto urbano e rappresentarono la miccia atta ad infiammare il culmine paradossale dell’ingiustizia e dell’iniquità sociale: la classica “guerra tra poveri”.

Curtis Sliwa oggi. Il popolare attivista e conduttore radiofonico si presentava davvero così durante la campagna elettorale per diventare sindaco di New York. Forse i repubblicani hanno puntato sul cavallo sbagliato.

È evidente: se dal versante municipale non ci sono abbastanza fondi e si operano tagli sulla sicurezza e sull’urbanistica e se dal versante privato ci si arrocca nei quartieri “alti” al fine di vivere in una bolla di disinteresse, ignorando qualsiasi svantaggio rappresenti un gap tra ceti sociali, si giunge all’inevitabile situazione in cui tutti coloro che vivono al di là dei grattacieli di Manhattan – persone per bene o delinquenti che siano – arriveranno all’esasperazione e risulteranno vittime e carnefici di loro stessi.
Il calderone bollente che rappresentava la Grande Mela era davvero in procinto di esplodere e un fenomeno come l’hip hop, in un momento storico del genere, rappresentò una ventata di freschezza e una grande occasione culturale per tutti, senza confini, atta alla consapevolezza e al senso civico, in proporzione migliaia di volte superiore all’infelice idea – foriera di ulteriori fratture e disagi – di creare i Guardian Angels.
Ciononostante l’associazione di volontariato più odiata d’America prese piede e divenne ben presto un discusso fenomeno mediatico che per certi versi ghettizzava ancora di più i problemi del Bronx, costituendo all’occhio dei borghesi e dei ricchi un episodio quasi demenziale, un tocco di colore folkloristico che accentuava la distanza ed ergeva l’ennesimo muro di incomprensione.

Che ci crediate o meno, il Bronx alla fine degli anni Settanta appariva così. Un territorio di guerra, un luogo prima demolito e dopo dimenticato dalla corruzione imperante nelle istituzioni newyorkesi. Il crimine e il degrado saranno la risposta alla rabbia e la disperazione. Ma lo sarà anche l’Hip Hop.


Applauditi dal popolo inerme – dagli ultimi, dai semplici, lavoratori incazzati neri con la situazione incontrollabile, ogni giorno esposti a pericoli mortali in metropolitana – fischiati dagli afroamericani e dai latinos “conscious” (i rappresentanti dell’hip hop, del melting pot creativo e culturalmente attivo), scherniti dalle gang e dai rapinatori, ignorati dalla mafia e dai potenti, mistificati dalla radio e dalla tv, mal gestiti e criticati (a parole) dalle istituzioni: così apparivano i Guardian Angels quando millantavano (e qualche volta facevano drammaticamente sul serio) operazioni eroiche come arresti da privati cittadini, annientamento di borseggiatori con il solo uso delle arti marziali, pulizie di vagoni da orrendi graffiti (opere d’arte ben più significative dei loro baschi rossi calati sulla fronte) e numerose altre imprese di cui ormai si sentiva parlare ad ogni angolo della città, e ben presto d’America.
Un fermento che si spanse inarrestabile tra i vari substrati di indigenti che si sentivano ugualmente abbandonati dalle istituzioni e ignorati da chi viveva in centro. Una necessaria baracconata atta a legittimare una contorta e totalmente errata comprensione del senso civico e della partecipazione attiva; l’ennesimo scatto di odio e violenza tra persone che dovrebbero avere gli stessi obiettivi e che invece di guardare al vero colpevole – alla mostruosa macchina burocratica che gli ha spinti fino al limite – a quel pugno di aziende compartecipate col Comune che si spartiscono demolizioni e ricostruzioni aberranti, guardano il “dito che indica la luna”.
Si tratta di un annoso problema, un disastro sociale che colpisce tutt’oggi più che mai, anche qui in Italia, ma che all’inizio degli anni Ottanta trovò la sua radice nelle parole e nelle idee di questo Curtis Sliwa, un polacco/italiano di seconda generazione che comprese quanto rivolgersi alla “pancia” dei propri concittadini fosse il giusto codice per entrare anche nelle loro teste.
Una ricetta facile, uno slogan efficace, una serie di azioni che non servono a niente ma sono subitanee e repentine, un’apparenza che oscilla astutamente tra il sacro e il militaresco ed ecco che si ottiene una sorta di Croce Rossa delle metropolitane, di Esercito della Salvezza dei pendolari.
A suon di botte, inseguimenti e altre prodezze parodistiche e involontariamente ridicole che passarono ben presto in secondo piano, fino a tornare davvero, mestamente, nei ranghi del fenomeno di costume, proprio quello che i milionari distanti, annoiati e distratti della Fifth Avenue, avevano sancito fin dall’inizio.
E tristezza per tutti.

La metropolitana di New York con due ragazzi del Bronx, vista dall’occhio strepitoso del fotografo Ricky Flores. Un grande artista che ha saputo cogliere l’anima latina di estrazione portoricana del quartiere negli anni Settanta e Ottanta.


C’è però un lieto fine in tutta questa amara storiella: il rap, a partire dagli anni Novanta, è diventato il genere musicale più ascoltato al mondo e rappresenta un’industria multimiliardaria che non vanta confini e che ogni anno incrementa la propria fama, attraversando etnie, religioni e idee delle più disparate. Una musica che unisce, un fenomeno culturale di portata immensa che ad oggi rimane forse lo scossone più vibrante e rivoluzionario degli ultimi cinquant’anni, sia a livello culturale che con tutta probabilità umano.
I Guardian Angels sono viceversa un’associazione nostalgica e inutile di cui non frega più niente a nessuno, che si barcamena con corsi di autodifesa e banchetti al parco, diretta da un personaggio pittoresco che ha ammesso a più riprese di aver ingigantito e inventato molte delle eroiche imprese dei suoi vigilantes negli anni Ottanta.
E che ha pure perso malamente quando è stato “pompato” dai repubblicani come il vero volto della nuova destra povera e hardcore, quella che “voterebbero persino i portoricani”.

Michele Simonetti