Arlecchino: la vera origine della maschera

Arlecchino è forse la maschera più conosciuta, ma dietro il volto festoso c’è un’origine molto più oscura. La versione ufficiale fa nascere il costume raccontando di come un bambino povero, per la festa di carnevale, non avendo i denari sufficienti, avesse cucito insieme tante pezze di colore diverso, dando origine a quello che noi conosciamo come Arlecchino. Ma è davvero così? In realtà no.

All’inizio Arlecchino non era un bambino fantasioso e pieno di ingegno, bensì un demone, ma non un demone qualunque, era il re dei morti. Benché la sua figura sia stata ufficializzata soltanto nel cinquecento, nell’ ambito della commedia dell’arte, Arlecchino ha un’origine molto più lontana nel tempo. Si tratta di un demone sotterraneo associato alla ritualità agricola e al ritorno dei morti. Già nel XII secolo si parla dell’apparizione di una famiglia di Herlechini, cioè un corteo di spiriti e cavalli fantasma, che un prete errante avrebbe incontrato durante la notte. Questa congrega di forze infernali era capitanata da un gigantesco guerriero armato di mazza ed era composta di briganti, assassini, donne di malaffare e monaci peccatori, naturalmente in forma di spiriti. Chiudevano il corteo cavalieri vestiti di nero, montanti enormi cavalli color dell’ebano. Questa credenza ha però origini ancora più antiche, in epoche precedenti il cristianesimo.

Apparterrebbe già agli antichi popoli germanici, i quali credevano che durante alcune notti particolari dell’anno, schiere di anime e di forze maligne, si muovessero attraverso il cielo, molto simili a eserciti, al cui comando c’era la dea Hel, regina degli inferi. Da qui sarebbe nato il nome con cui venivano comunemente chiamati: Holle Konig o Helleking successivamente trasformato in Herlechin o Harlechin, nomi che richiamano palesemente l’Arlecchino che noi tutti conosciamo. Con il cristianesimo gli spiriti pagani diventarono presenze demoniache, diavoli, al punto che anche Dante, nella Divina Commedia, parla di un Alichino, un demone derivato dalla tradizione di Helleking rappresentato come poco temibile e con caratteristiche grottesche e comiche.

Per cui da re degli inferi fu tramutato in diavolo villano e buffone cui erano associati tratti osceni, le sue gesta venivano ridicolizzate nelle rappresentazioni sacre, dove veniva spesso bastonato ed esposto al pubblico ludibrio. Un modo insomma per esorcizzare la paura del maligno. In particolare il carnevale era il momento in cui tutte le regole sociali venivano ribaltate, rovesciando i ruoli e permettendo persino di prendersi gioco dei demoni, a patto che questa Festa dei Folli durasse un solo giorno. Ma l’Arlecchino associato al ritorno dei morti apparterrebbe a popoli pagani ancora più antichi. Essi credevano al ritorno dei loro defunti in occasione del carnevale. Questa festa che ha origini antichissime, avrebbe segnato l’inizio della primavera, quindi un passaggio verso il rinnovamento delle energie. Si credeva che in questa occasione i defunti, gli spiriti, ritornassero aggirandosi tra i vivi. Era perciò usanza prestare loro dei corpi provvisori affinché si manifestassero. E questi erano proprio le maschere, che avevano la funzione di annullare i loro influssi maligni e rendere la loro presenza sopportabile. Non è un caso che esista l’usanza di mascherarsi sia a carnevale che a Ognissanti, la festa dei morti per eccellenza. Gli Harlechini facevano parte di questa schiera di spiriti fin dall’antichità, quindi, per cui l’associazione col carnevale della maschera di Arlecchino fu consequenziale.

Nel cinquecento quando il suo personaggio venne recuperato dalla commedia dell’arte, Venezia, il luogo in cui soprattutto si svolgeva, ne divenne la patria. Attualmente questa maschera è associata a un burlone che si getta a capofitto sulle cose, combinando molto spesso disastri, ma che riesce sempre a cavarsela e a trarsi d’impiccio con la sua genialità. Insomma, proprio un piccolo diavoletto.

Sonia Filippi