Cenobi e monaci in Sicilia

“Si vedono arrivare a due a due, perché gli apostoli, nei vangeli, vanno a due a due. Il predicatore è vestito come un eremita, con vesti di lana, pelli di agnello o di capra. Un mantello e un cappuccio completa il suo vestire.”(PETIT F;, Norbert e l’origine des Premontrès, Les èdiction du Cerf, Paris, 1981).

Intorno al XII secolo, che vide i grandi movimenti di riforma della Chiesa per un ritorno al vero spirito evangelico, sotto la spinta delle lacerazioni interne alla Chiesa, il cui potere non era più solo spirituale, ma diventava sempre più temporale, non furono pochi coloro i quali decisero di rifugiarsi in cenobi, o monasteri per vivere esperienze di preghiere e mortificazione. Da san Norberto di Xanten, passando per i cenobi ispirati alla vita e al pensiero dei grandi padri della chiesa orientale, quali ad esempio san Basilio, la fioritura di questi gruppi di uomini dediti alla esperienza mistica attraversò tutta l’Europa del tempo e, al seguito di vicende politiche e di potere, arrivò anche in Sicilia, dove da poco si era insediata la dominazione normanna, al comando di re Ruggero, che proprio a rimarcare la sua intenzione di conquista, aveva fissato a Troina, città al centro dell’isola, nel 1061, il suo distaccamento per la conquista della Sicilia, utilizzando in questo modo non solo il sistema viario che gli facilitava l’accesso alle città costiere di Messina e di Catania, ma ponendo anche in sicurezza il suo esercito che alle spalle aveva la rocca alta e difficilmente prendibile vicino a Castrogiovanni, l’odierna Enna.

La dominazione normanna ha lasciato impronte profondissime nel mondo siciliano, che non riguardano soltanto l’assestamento politico e le alleanze con il papato, ma anche il modo stesso di pensare e di vivere, con atteggiamenti, vocaboli e locuzioni oltre ad un sistema di costruzioni che tuttora rimane uno dei punti di forza nella Sicilia. Con la dominazione normanna, giunsero nell’isola anche gli ordini monastici che già si erano organizzati in Francia e nel resto dell’Europa. In questa sede si farà un cenno soltanto ai monasteri istituiti sul versante meridionale dell’Etna e a al cenobio di san Giorgio a Gratteri. Le nozioni a titolo informativo potranno dare un’idea di massima di come il profondo legame tra chiesa e potere costituito nel medioevo ha consolidato radici profonde nella mia terra. Nella Valle del Simeto, nel comprensorio che adesso comprende Adrano e Paternò e che si estendeva sino a Santa Maria di Licodia, e dove ancora la presenza musulmana era forte, Ruggero, dopo l’incontro avuto con papa Urbano II, proprio a Troina nel 1088, iniziò a riorganizzare le diocesi isolane, iniziando dalla valle del Simeto e ponendo a capo dei vertici uomini di origine bretone, francese e tedesca, proprio per assicurarsi attraverso uomini fidati il controllo del territorio.

Ansgerio, monaco benedettino, nominato abate del monastero di Sant’Agata, esercitò nella valle del Simeto non solo il potere spirituale, ma anche e soprattutto quello temporale amministrando su un territorio vastissimo, che si estendeva dal mare fino al cratere dell’Etna. Tutto questo determinò la nascita e la fioritura di monasteri, priorie e grangie benedettine, partendo dalla prioria di san Leone de Pannachio, la prima in assoluto. Dala piccola chiesa chiamata così per la vicinanza all’omonimo monte, di origine chiaramente bizantine a risalente all’VIII secolo e considerata anche punto di ritrovo per viandanti e pellegrini, la colonizzazione benedettina della valle del Simeto si completerà nel corso del secolo contribuendo alla ri-cristianizzazione del territorio, ma anche alla messa a coltura del territorio pedemontano e della Piana di Catania dove monasteri e cenobi erano allocati. E trasformarono col tempo i monaci in proprietari terrieri fino alla promulgazione delle leggi dell’Asse ecclesiastico del 1866. Sul versante nord orientale della Sicilia, invece, il duca Ruggero d’Altavilla, figlio di Ruggero primo re della Sicilia, sempre nello stesso periodo fondò il cenobio di Gratteri, intitolato a San Giorgio, come ovvio che fosse visto che il santo uccisore del drago era il protettore dei normanni. A Gratteri e nel cenobio di san Giorgio vissero i monaci premostratensi, gli unici in Sicilia, anche se studiosi come Backmund vorrebbero indicare la presenza nel monastero di monaci cistercensi, ma con ogni probabilmente il cenobio risente dell’influenza di due fra le figure più illuminate del Medioevo quali Bernardo di Chiaravalle, cistercense, e Norberto di Xanten, premostretense.

Dotato di terreni, casali e mulini,il cenobio fiorì nel tempo, divenendo da pauper et esiguo a cospicuo et dives, osservando la regola bizantina di san Basilio, vegetariano ante litteram e lasciando una vasta impronta culturale e religiosa nel territorio, di cui il lascito più importane rimane il culto di san Cono, abate pima e poi dedito alla vita eremitale. Nel cenobio di san Giorgio, grazie a Ruggero d’Altavilla conte di Sicilia, arrivarono le reliquie provenienti da Gerusalemme e che venivano custodite all’interno del monastero: le spine della corona di Gesù, una scheggia della Croce di Cristo, un brandello del velo della Madonna e un osso di San Giacomo apostolo. I monaci premostratensi rimasero a Gratteri per un arco di tempo limitato, circa un secolo, perché infatti già nel XIV secolo si dedicarono alla educazione dei giovani e allo spirito missionario. Due curiosità: pare che i monaci del cenobio per un certo periodo di tempo si dedicassero all’alchimia e agli incantesimi e che il loro tesoro sia nascosto nei boschi, dove furono costretti a lasciarlo prima di fuggire per evitare di incappare nelle ire funeste dei mariti del luogo che volevano vendicare il disonore subito dalle loro donne.

Inoltre, pare che il termine gratteri derivi da coppa, cratere, e starebbe ad indicare la presenza nel cenobio del Santo Graal, la più grande e desiderata delle reliquie della Cristianità, mai trovata. Sembra che fregi e pietre scolpite all’interno dell’abbazia rimandassero ai simboli dei Templari, difensori del cristianesimo e della santa reliquia. Una salamandra, o un drago?, una croce ottagonale divisa in otto spicchi, capitelli decorati hanno alimentato queste voci al punto tale che persino Hitler, ossessionato dai simboli di potere, si interessò alla leggenda della reliquia e mandò i suoi emissari a cercarla senza alcun risultato. Un ultimo cenno va fatto al cenobio di san Marco che si trovava sulla strada provinciale Palazzolo Noto, accanto al fiume Manghisi, luogo di culto e preghiera scavato nella roccia calcarea, uno egli esempi più interessanti di chiese rupestri negli Iblei.

Adriana Antoci