Ciaravuli e fattucchiere

Non poteva mancare l’interesse per la vita di ogni giorno di Ester di San Germano, arrivata a Ibla da un ambiente “estraneo” e lontano. L’A. nel volume “ Usi e costumi della Contea di Modica” ci offre uno prezioso spaccato su pregiudizi e superstizioni degli abitanti di un paese dove accanto ai fortissimi legami psico-religiosi tra individui e famiglie, si affiancavano credenze basate su antiche superstizioni e ancestrali paure, ma anche legate a fenomeni naturali. L’A. riporta un lunghissimo elenco di credenze e di superstizioni , accumulate nel corso di secoli. Il popolino crede che le eclissi portino disgrazie, che i venti impetuosi annuncino un delitto, che quel simpaticissimo insetto che è l’ape di San Nicola(1) con il suo ronzio porti la buona nova, che la bolla dei luoghi Santi(2) calmi i temporali e li faccia passare senza danni: quando iniziavano fulmini e tuoni con scrosci di pioggia la bolla veniva aperta ed esposta su un mobile e si recitava il ritornello “San Ciuanni santu ranni, senza priculi e senza danni” ( San Giovanni santo grande, senza pericoli e senza danni). Le fattucchiere godevano di gran prestigio: raccoglievano erbe selvatiche nelle notti di luna piena e preparavano filtri con il vino per ogni “necessità”; per un amore non corrisposto durante la preparazione ripetevano il ritornello” ti rugnu u sancu re ma vini-pirchì tu mi vulissi beni ( ti dò questo sangue delle mie vene , purchè tu mi voglia bene).

Spassosa la storia di madre e figlio per un matrimonio di convenienza: la madre, all’insaputa del figlio, lo promette a una ragazza non propriamente illibata, ma danarosa ( ha in dote un dammusu – locale a piano terra- di 35 onze, la biancheria a 4, e 5 migliaia di viti) che porta in tavola “ pani e cutieddu”. Poi cerca di persuadere il recalcitrante promesso sposo; con l’aiuto della fattucchiera c’è il rimedio per fare tornare la ragazza pura “ Comu nova”: una magnifica ricetta quasi impossibile da realizzare. Il semplicione deve cercare di prendere una nidiata di uova di gheppio e per tre mattine mangiarne le uova, inginocchiato, al levar del sole; mentre li mangia fare una croce a terra , passarci sopra la lingua, e incrociando le mani sul petto, recitare l’invocazione:

Setti sunu l’armali machinusi sette sono gli animali prodigiosi

Lu cuccu, lu bacuccu il gufo comune , lu bacuccu ( uccello di fantasia per fare rima)

lu jizzu, lu rrizzu il gheppio, il riccio

lu scuzzariu la tartaruga

lu rrospu e lu mmirdariu il rospo, lu mmirdariu ( animale inventato )

Jizzu ca si nell’ovu- a la me zita scippaci u chiovu ( gheppio che sei nell’uovo strappa questo chiodo alla mia fidanzata), poi continua la cantilena con l’invocazione a ognuno di questi animali; alla fine arriva la richiesta finale “ Scippa lu viecciu e cciantici u nuovu ( strappa il vecchio e pianta il nuovo.) ( S A. Guastella . Vestru- Cu si fa zitu e aviri nun mmò corna ( Chi si fidanza e non vuole avere corna). l’A. poi racconta che maghi e fattucchiere con le parole “mammalucchine” scongiuravano tutti i mali , oppure facevano gli opportuni scongiuri, infilando degli aghi nella testa o nel cuore di una bambola di pezza, per impetrare vendetta per una passione fatale non corrisposta. I popolani credono che malattie contagiose e mortali sono portate da untori e soffiatori , come pure mettono di nascosto un pezzo di carne cruda sotto lo scalino della porta del “nemico”per fargli la fattura e fargli venire un malore sconosciuto e incurabile.

I nobili, oltre alle parole mammalucchine per tutelarsi contro chi vuole il loro male, hanno “ u contru”( scongiuro motivato) per non essere colpiti da fatture e maledizioni: in questi frangenti si affidano a esseri mostruosi e animali come serpi, lucertoloni, rospi e simili. Un esempio di un nobile che si fa gli auguri e poi li accompagna con i “contro” per impedire agli invidiosi di nuocere al lui e alla sua famiglia, è scolpito nella pietra e costituisce un mirabile esempio di come alla ignoranza e alla superstizione si contrappone la bellezza. Il balcone centrale di palazzo Cosentini (3) su via Commendatore a Ibla è sorretto da cinque mensole riccamente scolpite, organizzate su due registri. Nella mensola centrale del registro superiore è raffigurata una donna con un bambino in braccio, nelle due mensole mediane vi sono due figure femminili che reggono una cornucopia, nelle due laterali due fanciulle con il seno nudo.

Nel registro inferiore cinque grandi mascheroni reggono un gheppio, un serpente,( il mascherone centrale è rovinato) un lucertolone, l’ultimo esce la lingua. Don Raffaele Cosentini augura alla sua famiglia fertilità ( la donna con il bambino) ricchezza ( le due figure con la cornucopia) e bellezza alle sue donne ( le figure con il seno nudo). Contrappone ai suoi nemici i mostri che vengono mangiati dai mascheroni: l’ ultimo fa uno sberleffo agli invidiosi che passano. Il popolino ha grande fede nelle “truvature”( non se ne è mai trovata una!) per le quali fa riti e recita formule speciali, ovviamente con variazioni personalizzate per essere sicuri che non si possano copiare. La più celebre di queste “truvature” si trova in una grotta sulla sommità di una collina il cui ingresso ha la forma di una capra accucciata(4) e perciò si chiama “Capra d’oro”. Per prendere il tesoro si deve andare a mezzanotte dentro la grotta, accendere due candele e liberare tante api di San Nicola precedentemente catturate e chiuse in un fazzoletto senza maltrattarle. Mentre le api svolazzano si recita lo scongiuro personalizzato per chiedere alla capra d’oro di degnarsi di lasciare prendere il tesoro, costituito da monete d’oro e pietre preziose scintillanti. Il tesoro è dove si posa la prima ape.

Tutti quelli che tentarono la prova dicono che furono talmente abbagliati e affascinati dallo splendore del tesoro che sospesero lo scongiuro , sentirono un belato terrificante, le candele si spensero, la montagna tremò, per cui terrorizzati scapparono di gran corsa. Tutti i tentativi sono falliti, la capra d’oro si vuole tenere il suo tesoro.

Altra grande superstizione è quella “re patruna ro luocu” ( delle padrone del luogo), anime erranti condannate a vagare intorno a dove è sepolto un tesoro o dove fu commesso un delitto. Si presentano come monachelle o frati o dame bianche con rumore di catene, di mobili rovesciati di stoviglie fracassate; chi riuscirà ad afferrarle si troverà tra le mani il solito tesoro. Sovente andava a finire che al prolungarsi di queste visioni, interveniva il sacerdote che esorcizzava la persona che aveva queste “visite”, benediva la casa e tutto cessava alla vista della Croce. Un’altra superstizione, e tra le più interessanti, è quella dei “ciaravuli”, incantatori di serpenti, di vermi, guaritori di malattie, questa volta con la benedizione di San Paolo(5), e con la narrazione di un prelato della fine del ‘700 commissario della Santa Inquisizione e Vicario Foraneo, nientemeno. “Nella città di Ragusa vi sono certe famiglie con la “gratia gratiae” che sono chiravoli, queste sono le famiglie S. Angelo e Cono quale virtù nelle donne dura insino che sono vergini e con la saliva sanano i morsi dei serpi e sputanto un serpe se ne muore, cosa admiranda. Di ciò ne fa menzione Cornelio A Lapide ,gesuita e esegeta fiammingo- 1567-1637-, nel proemio dei suoi commentari sopra l’epistola di S. Paulo”( Francesco Paternò Castello –Il Microscopio Historico o vero le Raguse illustrate- manoscritto inedito- proprietà biblioteca Ottaviano Piccitto). Il ciaravulo è quella persona nata la notte del 24 giugno, ricorrenza della festa di San Paolo, ha i poteri sin dalla nascita, deve prestare una specie di giuramento al Santo, e viene messo a conoscenza dei segreti e impara come fare gli esorcismi nella mezzanotte del 25 gennaio o del 24 giugno.

Il ciaravulo con la pressione e il massaggio di tre dita sullo stomaco di un bambino e un’orazione segreta a San Paolo riusciva a fare uscire dallo stomaco il groviglio dei vermi o a inertizzarli per essere poi espulsi naturalmente. Quando una persona veniva morsa da un serpente la madre di questo ciaravulo/a metteva la saliva sul punto offeso, sicura di una pronta guarigione. Il 24 giugno nei paesi dove San Paolo è patrono durante la processione i ciaravuli tengono attorcigliati i serpenti( innocue biscie) sulle braccia e sul corpo e li cedono alle persone festanti che non ne hanno paura. Io stesso, molti anni fa, prima che l’Arcivescovo di Siracusa proibisse ai palazzolesi di portare i serpi durante la processione dinanzi alla statua del Santo, ne ho preso uno che mi si è pacificamente attorcigliato sul braccio senza tentare di mordermi. Il serpente, simbolo della perversione razionale, è legato alla persona di San Paolo che morso da un serpente velenoso guarì suscitando grande stupore. Per questo i ciaravuli sono legati a San Paolo e dominano i serpenti con il suo patrocinio.

Ultimo segno di questo millenario culto a San Paolo l’abbiamo nell’architrave (6) dell’antico ingresso della chiesa secentesca di San Paolo a Ragusa Ibla. Due serpenti affrontati separati da una rosa, si annullano a vicenda; la rosa rimane intatta, simbolo dell’umanità che non può essere abbattuta da un essere maligno.

Andrea Ottaviano