Io, Caligola

E’ sostanzialmente un nomade che ama la propria vita vagabonda, Stainer che è entrato nella famiglia PlaceBook Publishing & Writer Agency con il libro “Io, Caligola”. Stainer vive tra Spagna, Italia e Messico, perennemente in movimento. Laureato in comunicazione (o giornalismo, come lui stesso sottolinea, per gli spagnoli) conosce inglese e spagnolo e qualche rudimento dell’arte della boxe. Scrive con lo pseudonimo Stainer “qualsiasi cosa gli passi per la testa”. Vi proponiamo la sua intervista che, come i lettori scopriranno, altro non è se non la realizzazione di un suo desiderio.

Perchè hai scelto uno pseudonimo?

Una volta lessi un manga ambientato nel Giappone degli antichi samurai.

Era la storia di questo condannato a morte; prima di essere decapitato, gli veniva detto che non veniva punito in quanto persona colpevole di qualcosa: veniva punito il male che era dentro di lui.

Ecco, uno pseudonimo serve essenzialmente a dividere la mia noiosa persona fisica, quella che paga le tasse e fatica ad arrivare a fine mese, dal mio Frankenstein; il mostro che incarna tutti i vizi e le virtù del suo creatore ma che vuole essere giudicato per quello che scrive, non per chi lo ha creato.

Steiner

E allora diciamo ai lettori di Kukaos chi è Stainer?

Stainer è un soldato di tutte le cause perse, uno “stronzo pedone di un universo in guerra” come lo definì William Burroughs ( aggiungendo che ci possono anche essere altri universi in pace ma che questo che ci ha toccato è in conflitto permanente ). Le sue armi sono la contemplazione e il disperato tentativo di applicare un po’ di ragionamento e di riflessione su tutte le situazioni che lo circondano. Non sempre ci riesce. E allora applica la saggezza buddista e si ricorda che tutto è sofferenza e tanto vale farci una risata sopra.

Come ti sei avvicinato alla scrittura?

Da piccolo ero introverso ma contento di esserlo, padrone del mio ricco mondo interiore. Mi piaceva leggere e pertanto quando davano il tema in classe lo scrivevo bene. Non ho scritto praticamente nulla nel corso dei primi quarant’anni della mia vita, ma ogni volta che lo facevo mi dicevano che scrivevo bene (oppure si incazzavano, il che è comunque buon segno ). Timoroso di star buttando nel cesso un talento senza nemmeno metterlo alla prova, mi sono azzardato a mettere nero su bianco il mio uragano interiore.

Ti ispiri a qualche autore?

Mi piacciono moltissime scrittrici e scrittori diversi. Tuttavia, quando devo scrivere direi che mi ispiro principalmente ad Hunter Thompson ed Henry Miller.

Come hai scelto il titolo del tuo libro?

Il titolo del libro è un omaggio ad “Io, Claudio” di Robert Graves. Ed è anche una dichiarazione di intenti: Caligola è un disadattato che in parte appartiene ad un’altra era ed in parte è forse arrivato troppo presto e nel posto sbagliato del globo terracqueo. L’autonominarsi imperatore delle cause perse, scegliendo lo stesso nome di un predecessore esecrato e ricordato nei secoli solo per la sua pazzia ed i suoi eccessi, è però anche una rivendicazione; un po’ come se il nostro eroe dicesse ai lettori “Va bene, visto che non mi avete voluto com’ero io adesso vi darò qualche annetto di pazzo e assurdo impero di risate (le mie) e terrore (il vostro)”.

Tu vivi in diversi paesi, quanto il tuo stile di vita ha influenzato la tua scrittura?

Il mio stile di vita è una conseguenza della mia essenza e la mia essenza influisce sul mio stile di vita. Io sono un satellite, ho una nazionalità perchè ho un passaporto ma non ho nessuna patria, orbito intorno ad alcuni luoghi come fossero dei pianeti ma non mi troverai mai troppo a lungo nello stesso posto. Sono nato in campagna e sono stato deportato in paese contro la mia volontà. Da lì in poi ho capito che non ero fatto per la stanzialità. Mi sposto, esploro, mi sposto un po’ più là. Fino a che scoprirò un nuovo pianeta attorno a cui orbitare e non mi sposterò più. Quelli saranno i miei Campi Elisi. Lo stesso si applica alla scrittura: oggi esploro la provincia di Grosseto negli anni ’80, domani magari mi puoi trovare nel Messico del 2030.

E che messaggio vorresti arrivasse ai lettori?

“Io, Caligola” voleva narrare la storia di una generazione provinciale e anonima che rischia di scomparire dalla storia come una parentesi tra la Guerra Fredda e l’11 Settembre, attraverso le peripezie di uno dei suoi componenti sfigati ma non troppo (perchè comunque nato in un posto dove si mangia e si ha un tetto).

Ho l’impressione che tutti i nati a inizio anni ’80, almeno, tutti quelli che “non ce l’hanno fatta” in tempo a salire sul cavallo della modernità ma che si sono trovati invischiati nella guerra di trincea del barcamenarsi quotidiano e tutti quei poveri bastardi provincialotti che sono finiti a mettersi il mi piace ai propri post di “Buongiornissimo kaffè?!?”, sì insomma tutti questi qua di cui anch’io in definitiva faccio parte, finiranno come la schiuma dei libri di storia, come quelli che avevano vent’anni tra le due guerre mondiali e di cui non ci preoccupiamo di sapere assolutamente nulla.

Forse, visto la mediocrità dell’epoca che ci ha toccato vivere sarebbe anche giusto così.

Ma qualcosa mi dice che tutto lo sporco che metti sotto il tappeto prima o poi torna fuori e genera orrori. Allora forse è meglio spazzarlo via per non ripetere gli stessi errori di sempre.

Vorrei che chi si riconosce nelle pagine del libro sapesse che non è solo, che anche da lontano c’è qualcuno che sta dalla sua parte e che non si è arreso.

E che lo invita nel bene o nel male ad usare la propria testa, visto che non è mai troppo tardi.

Nel tuo libro c’è un po’ di tutto, è uno specchio del nostro modo di vivere?

Viviamo rincoglioniti dalla tecnologia e dall’ignoranza che ci illudono di vivere in un eterno presente, in cui niente è mai stato inventato prima e se togliamo le foto di gattini e culi niente merita la nostra attenzione per più di dieci secondi. Se chiedessimo alla solita donnina o al solito omino come siamo arrivati a questo non avrebbe nessuna idea di come ciò sia successo, perchè è talmente rincoglionita/o da non ricordarsi nemmeno come si chiama se non guarda la sua carta d’identità.

Con questo non voglio dire che prima le cose fossero migliori, anzi facevano comunque schifo; la differenza è che adesso per attirare l’attenzione possiamo sparare qualsiasi cazzata in maniera virtuale ed instantanea, e che abbiamo delegato tutta la nostra espressività e socialità a questa abitudine. Prima dovevi esporti in prima persona, in ciccia e ossa; da ciò se ne deduce che almeno ci risparmiavamo tantissimo inutile rumore di fondo che invece adesso è diventato la nostra ragione di vita. Quello che forse incarna di più l’essenza del libro è il voler mostrare come siamo arrivati, vertiginosamente, come scimmie tecnologiche impazzite, a questo modo di vivere.

Ci siamo arrivati perchè ci siamo fatti sfuggire dalle mani il senso del modo di vivere precedente.

E non avevamo capito nemmeno quello, figuriamoci questo.

Progetti letterari futuri?

Scrivere un’odissea messicana, in cui per il protagonista non ci sia nessun ritorno a casa ma solo un’altra fuga in avanti.

E desideri da realizzare?

Da piccolo quando passavo le estati attorno a casa dei miei, davanti al bosco, giocavo ad immaginarmi che qualcuno mi intervistasse ed io gli spiegavo chi ero e cosa mi piaceva.

Ecco, ho già realizzato il desiderio. Ci sono voluti solo trent’anni.

Bianca Folino