Di città, fondazioni, ecisti e …santi

La presenza massiccia del mondo ellenico in Sicilia, dato innegabile, si concretizza non soltanto nel retaggio culturale che è rimasto, con locuzioni e termini che rinviano alla lingua dei greci, ma anche con le storie di fondazioni di città e paesi che vengono attribuite a eroi diventati semidei o dei nel corso del tempo, ai quali veniva conferito il titolo di archegete (ἀρχηγέτης), cioè capo di un esercito e in senso lato capo di Stato, oppure ecista (οἰκιστής), capo di una spedizione coloniale come tante ne sono avvenute in Sicilia e scelto solo in un secondo momento come personaggio del mito e del culto locale. Anche se ecista e archegete a volte coincidono, il concetto di fondo rimane sempre quello di una guida, una personalità forte in grado di condurre e guidare uomini in guerra prima e in pace poi, secondo uno schema consolidato nel tempo che prevedeva un consulto da parte dell’ecista, prima della partenza, dell’oracolo di Apollo a Delfi. Poi, una volta raggiunto il luogo, l’ecista tracciava il solco della città e ne delimitava il confine, distribuendo i terreni conquistati in misura equa. Per ogni colonia fondata, come racconta Tucidide, l’ecista aveva il compito di assicurare non solo la colonizzazione nell’immediato, ma anche il successivo controllo commerciale e militare dell’area. In un modo o nell’altro, si trattava comunque di rivestire con una patina di nobiltà e di eroismo avvenimenti sanguinosi come tutte le conquiste operate attraverso l’intervento di eserciti. Vicende legate a supremazie territoriali, guerre per la conquista di spazi adatti alla coltivazione, mire espansionistiche trovano nella mitizzazione degli uomini una giustificazione alle azioni compiute e il giovamento che ne era derivato li elevava al ruolo di eroi prima e, dopo la morte, li consacrava addirittura agli onori divini.

Tempio di Segesta

Questo accadde in buona sostanza in Sicilia da quando, nel 756 A.C., i greci arrivarono per la prima volta nell’isola, a Zancle, l’odierna Messina, e ne fecero una colonia, proseguendo poi con Naxos-Tauromenion, Catania e Siracusa. I Calcidesi dell’Eubea a Messina, i Corinzi a Siracusa, i Rodii e i Cretesi a Gela, i Dori, assieme a coloni provenienti dalla già consolidata Zancle, a Himera. Discorso a parte meritano Megara Hyblea, l’odierna Augusta, che diede i natali ad Epicarmo, al quale si deve la nascita della tragedia greca, e Selinunte, fondata da coloni megaresi ed oggi considerata uno dei parchi archeologici più grandi d’Europa. A Taormina e Lentini l’ecista Teocle, a Siracusa Archia, a Catania Evarco, a Megara Lamis, a Selinunte Pammilo, e poi Pentatlo di Cnido, la cui tragica vicenda è legata al tentativo fallimentare della conquista delle Isole Eolie, come racconta lo storico Diodoro Siculo, Biblioteca Historica, libro V, 9, 1-3: «Essendo le isole [Eolie] di nuovo e sempre più disabitate, alcuni di Cnido e di Rodi, malcontenti del pesante giogo imposto dai re di Asia, decisero di inviare una colonia. Scelsero come loro capo Pentatlo di Cnido, che faceva risalire la sua origine a Ippote, discendente di Eracle…Pentatlo e i suoi uomini navigarono fino alle vicinanze del capo Lilibeo in Sicilia e trovarono che gli abitanti di Segesta e Selinunte erano in guerra fra loro. Persuasi dai Selinuntini ad allearsi con loro, persero nella battaglia molti uomini fra i quali anche Pentatlo».

Parco archeologico Giardini di Naxos

I sopravvissuti, giunti a Lipari, sotto la guida di tre improvvisati ecisti di nome Gorgos, Thestor e Epithersides, sono convinti a restare e scelgono di dedicarsi sulle isole da un lato all’agricoltura e dall’altro alla pirateria, attività facilmente realizzabile per la stessa conformazione della più grande delle “sette sorelle”. In questo modo riescono a mandare a Delfi ricchissimi bottini. Di un’altra vicenda iniziata in modo tragico parliamo quando citiamo lo sfortunato Lamis, ecista di Megara morto all’improvviso per cause naturali appena giunto in terra di Trinacria. Gli emigranti, dopo molte peripezie, riuscirono comunque a fondare una colonia grazie all’intervento di un re, il siculo Iblone, che donò parte dei suoi vastissimi territori ai colonizzatori, i quali, per rendere omaggio al re indigeno, battezzarono la loro città con il nome di Megara Hyblea. Se questa vicenda da un lato ci racconta di accoglienza e di ospitalità concreta, e forse, anche di grande tatto diplomatico da parte del monarca siculo, dall’altro narra della grande estensione del potere di Iblone sulla Sicilia orientale, al punto tale da poter avere tutto il controllo di un territorio ricchissimo che partiva dal mare e arrivava all’entroterra, a quella che oggi si chiama Pantalica, “tutti morti”, secondo il toponimo bizantino, sede ufficiale del suo potere, nella valle formata dai fiumi Calcinara e Anapo, fortezza praticamente invalicabile e inaccessibile, dove scavi archeologici condotti da Paolo Orsi e Bernabò Brea hanno portato alla luce ambienti di un palazzo sontuoso e persino i resti della zecca di stato, oltre ad una necropoli estesissima che indica un numero enorme di abitanti e di una civiltà progredita nel villaggio preistorico preesistente alla conquista greca. E se all’inizio le città fondate erano vicine o molto vicine al mare per evidenti motivi logistici e commerciali, quasi a voler mantenere un legame con la città madre di provenienza, altre colonie vennero fondate nel tempo nell’entroterra siciliano, con altri ecisti o fondatori.

Gela colonizzò Akragas, Agrigento, strategicamente vicino al mare, Siracusa, ad esempio, fondò a sua volta Acre, Palazzolo Acreide, ma anche Casmene e Camarina, nella parte più orientale della Sicilia, unico esempio di polis autonoma, patria di quel Psaumide, trionfatore col carro da mule nella ottantunesima Olimpiade, esaltato e ricordato da Pindaro nella sua IV Ode Olimpica. Delle sublimi virtù delle corone d’Olimpia / O Camarina, figliola d’Oceano, accoglie Il fiore con placido cuore / E dai cocchi dal piè non mai stanco / Il premio che Psaumide vinse.

Discorso a parte merita la colonizzazione della parte occidentale della Sicilia, dove rimaneva ancora forte la presenza fenicia prima e cartaginese. Due considerazioni prima di chiudere: in Sicilia Dori e Ioni riuscirono a convivere in modo continuo, al punto tale che si riscontrano anche delle vere e proprie fusioni tra i due gruppi etnici, almeno fino alla fine del V sec. A.C., quando questa unione finì in modo violento. Inoltre, della stratificazione culturale si è impadronito anche il sincretismo religioso, che per certi versi ha finito per paragonare gli eroi greci, con i dovuti distinguo, ai santi cristiani.

Adriana Antoci